GIORNI DI SOLE

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Appena fuori dall'edificio, Garfield rischiò di inciampare sul marciapiede e ruzzolare per terra. Contare i soldi della sua busta paga camminando per strada non era stata una buona idea. Li rimise nella busta, la ripiegò e la infilò nella tasca posteriore dei pantaloni. Si guardò attorno con curiosità, riconoscendo il familiare ambiente cittadino. Lo stomaco brontolava leggermente, ricordandogli la colazione mancata. Guardò l'orologio al suo polso, notando che il suo incontro di lavoro si era prolungato più del previsto. Ringraziò il cielo che mentre era stato nell'ufficio del suo capo non ci fossero stati disordini in città, perché altrimenti avrebbe dovuto interrompere l'incontro e messo a repentaglio il suo lavoro e la sua copertura.
Mancavano una decina di minuti all'una e lui sapeva che il locale all'angolo aveva un menù particolarmente interessante. Si assicurò che la sua moto fosse ancora al suo posto, poi percorse il marciapiede, passando davanti all'edicola lanciò un'occhiata soddisfatta all'espositore. L'ultimo volume del suo fumetto era uscito appena un paio di giorni prima e lui non poteva che essere soddisfatto della fama che stava acquisendo uscita dopo uscita.
Si fermò al semaforo assieme ad un consistente gruppo di pedoni, tutti in attesa che le auto si fermassero per lasciarli attraversare. Quando questo successe la folla sciamò sulle strisce pedonali, per poi disperdersi una volta arrivati sul marciapiede opposto.
La vetrina esponeva numerose leccornie, ma Garfield sapeva bene a cosa mirava quel giorno. Si mise in coda, aspettando il suo turno. Nel frattempo recuperò il cellulare dalla tasca dei jeans, scoprendo di avere un nuovo messaggio e due chiamate perse.
Era ovvio che si fossero accorti della sua assenza, data la tarda ora. Di solito riusciva a sgattaiolare fuori e rientrare prima di pranzo.
"Torno tra un'oretta" , scrisse. Inviò il messaggio direttamente al cellulare di Richard e rimise via il proprio. Quando sollevò lo sguardo scoprì che era quasi arrivato il suo turno. Lanciò un'occhiata al cartellone appeso alla parete, scorrendolo con un'occhiata rapida senza prestarci veramente attenzione.
«Un panino con un hamburger di soia ed insalata, per favore» chiese accennando un sorriso alla signorina dietro il bancone. Lei ammiccò, poi farcì il panino e lo infilò in un sacchetto di carta. «Nient'altro?» domandò la ragazza sistemandosi il grembiule. «Qualcosa da bere?»
«Un bicchiere grande di succo d'arancia, magari» rifletté Garfield. Aspettò di essere servito e salutò le commesse con un cenno.
«Paga alla cassa»
Una volta fuori il profumino del suo pranzo – e quello del resto dei cibi del locale – era ancora nelle sue narici. Ora non gli restava che trovare un angolino tranquillo e pranzare con calma.
Il parco, pensò, non era molto distante. Tornò alla sua moto, infilò il sacchetto sotto il sedile e mise il casco.
Il parco era più affollato di quanto si aspettasse. Le prime giornate di primavera avevano a quanto pare attirato parecchie persone. Le famiglie che sedevano sull'erba nel bel mezzo di un pic-nick erano un paio. Scrutò il parco alla ricerca di un albero sotto cui sedersi per rilassarsi un po'. Finalmente avrebbe potuto festeggiare le sue vittorie della settimana e, ovviamente, rimuginare un po' sul giorno che, nonostante lui non ne fosse poi così felice, si avvicinava inesorabilmente.

Lilith chiuse gli occhi, seppellì il volto dentro il colletto della giacca nera mentre sbuffava. Seduta su un'anonima panchina di un altrettanto anonimo parco, non poté fare a meno di pensare che essersi persa in quel modo fosse una cosa fin troppo stupida. Nemmeno suo fratello Jerry sarebbe stato in grado di sbagliare così platealmente.
Maledetto autobus, pensò.
Il parco pullulava di persone: coppiette sedute all'ombra degli alberi, un paio di famiglie stavano facendo picnic sui tavolini e bambini si lanciavano palloni. Lilith distolse lo sguardo, sperando che quei rumori fastidiosi smettessero di echeggiarle in testa.
Si concentrò su un anziano dai capelli radi e grigi che si stava avvicinando al laghetto delle anatre ed aveva preso a lanciare pezzi di pane dentro l'acqua. Avvertì un angolo della mente improvvisamente calmo, una lieve malinconia l'avvolse, stordendola. Strinse i denti e chiuse gli occhi. Estraniati, s'impose, queste non sono le tue emozioni.
Un uomo in giacca e cravatta le passò davanti alla panchina. Correva, gli occhi puntati all'orologio da polso, portava con se una ventiquattrore. Diverse sensazioni confuse le rimbombarono in testa, l'uomo si allontanò. Le sfuggì un sospiro stanco, spero che Jerry mi trovi in fretta.
«Ehi, rossa» disse una voce maschile «Posso sedermi?».
Alzò lo sguardo, un ragazzo dai capelli castani le rivolse un sorriso gentile, teneva stretto al petto un pacchetto unticcio e nella mano libera aveva un fumetto. La figura sfumò, una distorsione – simile a un lampo di energia nera – le attraverso gli occhi; ora il castano aveva la pelle verde. Il sorriso, però, era lo stesso.
Avvertì un fondo di tristezza gonfiarle il cuore. No! Pensò Lilith, estraniati, estraniati, estraniati. Lo sconosciuto le sventolò il fumetto davanti ai volto, le pagine le solleticarono il naso «Ehi, mi hai sentito?» chiese «Posso sedermi, Rossa?».
Lilith sbuffò, la sensazione di pesantezza continuava ad opprimerle il cuore «Fai pure, Macchia Verde». Si spostò di lato, ma il ragazzo rimase in piedi con la bocca spalancata. Passò lo sguardo dalla propria mano, al volto della giovane.
«Tu mi vedi? Cioè!» si pizzicò la guancia con forza. Fissò il proprio palmo aperto e batté indice contro un anellino grigio «Non ci credo, si sono scaricate le batterie a 'sto coso?».
«Devo dedurre che non ti vuoi più sedere?» gli chiese.
Lo sconosciuto mosse le mani in segno di diniego: il cuore di Lily s'alleggerì, anche se aleggiavano ancora i rimasugli della sensazione negativa «No, che certo che mi siedo!» proseguì lui. Si lasciò cadere sulla panchina ed inspirò.
Nello stesso istante, anche Lilith prese un profondo respiro. Uno dei motivi per cui detestava essere empatica era l'essere così soggetta ai sentimenti delle altre persone.
Lo sconosciuto poggiò il fumetto al suo fianco e aprì il sacchetto unticcio «Ah!» esclamò, si voltò verso Lily «Non mi sono ancora presentato sono Garfield, piacere». Tirò fuori dal sacchetto un hamburger di soia «Sembri di cattivo umore» commentò con un sorriso, diede un morso e inghiottì rumorosamente «Vuoi un po'?».
«No, grazie» La ragazzina si mordicchiò il labbro inferiore, che seccatore, pensò. Si passò una mano tra i capelli, come faccio a contattare Jerry? Non sono mai stata in questa zona. «Ti piacciono i fiori?» chiese Garfield.
Lilith sbatté le palpebre diverse volte, prima di voltare la testa contro il ragazzo verde «Prego?» chiese «Come hai fatto a capirlo?».
Garfield le sorrise di rimando, accartocciò il sacchetto e lo lanciò dentro un bidone. Si sfregò il naso con l'indice «Hai tante di quelle fragranze addosso, tutte piante che fioriscono in questa stagione» gli sfuggì una risata. Sembrava così vera, eppure, grazie alla sua empatia, Lilith si accorse che il ragazzo si sforzava di essere allegro. «Devo dire che è un poco fastidioso starti vicino» proseguì lui, annusò l'aria intorno a se.
Grazie tante! Lily scrollò il capo, forse l'idea migliore era ignorarlo.
Garfield arricciò il naso, afferrò il fumetto «Sei stata in una chiesa, recentemente? Odori anche d'incenso» strizzò gli occhi, prima di passarsi per l'ennesima volta la mano sotto le narici. Lilith si mise una mano sul colletto della giacca, scostò un lembo e, sforzandosi di non farsi vedere, l'annusò. Possibile che i suoi vestiti si fossero impregnati così tanto d'incenso?
Garfield batté le mani davanti al volto «Visto che sei stata tanto carina da farmi compagnia» disse, «Posso darti un passaggio fino a casa tua? Dove abiti?».
Le spalle le bruciarono, mentre il calore s'espandeva fino alle guance. Doveva essere diventata rossa. Il passaggio di quello strano tizio le avrebbe fatto comodo, ma Jerry l'avrebbe rimproverata. Non poteva lasciare tracce.
«Io» mormorò la ragazzina, incassò la testa tra le spalle «Veramente, dovrei prendere l'autobus, adesso. Ho un impegno».
Un ghigno divertito s'allargò sul volto di Garfield «Non mi dire. Ti sei persa?».
Lilith ingoiò una rispostaccia, «Sì» esalò.
Il ragazzo le rivolse un'espressione comprensiva, la esortò ad alzarsi e la condusse via dal parco «Vieni,» le disse, incoraggiante «la fermata è a nemmeno due minuti da qui». Camminarono in silenzio; la ragazzina, a poco a poco, iniziò a riconoscere gli edifici e i pochi punti di riferimento che ricordava. Al punto che oltrepassò Garfield e prese a camminare, veloce, verso le strisce pedonali. Le sarebbe bastato attraversare la strada per arrivare a destinazione.
Le mani del ragazzo si poggiarono sulle sue spalle, e la costrinsero a compiere un brusco movimento all'indietro «Non così di fretta!» ridacchiò, la spinse dentro un negozio.
La sensazione di lieve infelicità – quella di Garfield – che le aveva stretto il cuore fino ad allora, scomparve. Gli occhi della ragazzina si animarono, felici. Quel tizio verde l'aveva condotta da un fiorista.
Lasciò scorrere lo sguardo sulle piante disposte negli scaffali, si ripeté i nomi con cui erano conosciute comunemente e quelli in latino. Sorrise, fermandosi davanti a un giglio.
«Ti piace?» chiese il ragazzo.
Lilith sfiorò con i polpastrelli il vaso del fiore «Sì» dischiuse le labbra, più che altro, si disse, le piaceva uno dei significati che poteva avere. «Non è il mio preferito, ma sì». Il giglio simboleggiava la purezza d'animo e, per un certo senso, lo invidiava. Si portò una mano al petto; per quanto lo desiderasse, non sarebbe mai stata come quel fiore.
«Davvero?» ora la voce di Garfield era venata di una lieve curiosità «Quale fiore preferisci?».
Un sorriso increspò le labbra di Lilith «Il mughetto».
Lanciò uno sguardo fuori dalla vetrina del negozio: un vecchio autobus si stava avvicinando alla fermata. Lilith lasciò perdere il giglio ed uscì fuori dal negozio, Garfield le corse dietro «Ehi!» protestò «Uffa!».
Lilith si bloccò quando giunse davanti alle strisce pedonali, il ragazzo si piazzò di fianco a lei e le mise tra le mani il proprio fumetto.
«Visto che non hai accettato l'hamburger, il passaggio o i fiori» le sorrise «Almeno permettimi di lasciarti questo». Lilith annuì sbrigativamente, poi attraversò la strada «Arrivederci!» urlò Garfield. La ragazzina strinse il fumetto al petto «Grazie!» disse, salendo sull'autobus.

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