Come una maratona di film in TV

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La serratura della prigione scattò e il rumore risuonò per tutta la cella, svegliando Garfield di prima mattina. Il ragazzo pareva aver preso il suo arresto quasi come una vacanza, non aveva provato a scappare, né aveva sventolato ai quattro venti di essere uno dei Titans fino a quando non l'avevano scoperto da soli, costringendolo a sfilarsi l'anello per la perquisizione, ed anche allora era rimasto docile quando lo avevano dotato di un braccialetto che annullava i suoi poteri. Aveva appreso con un sospiro che avrebbero contattato la torre per informare gli altri membri della squadra dell'accaduto e, dopo aver ringraziato gli agenti per la premura, si era steso sulla schiena e si era addormentato quasi all'istante.

Era stato abbastanza tranquillo ma, nel notare il sole sorto oltre la finestrella che era sulla parte alta della parete, non poté che provare un lieve senso di irritazione nei confronti degli altri, quando aveva capito che era già mattino.

Lo scortarono all'ingresso, dove trovò Robin ad aspettarlo vestito di tutto punto della sua calzamaglia nera e rossa. L'amico lo fissava cupo da sotto la maschera, ma Garfield era felice di non doverlo guardare negli occhi, perché era certo che il suo sguardo avrebbe potuto ucciderlo senza neanche il bisogno di un potere sovrannaturale.

Gli parlò prima che potesse lamentarsi della sua condotta: «Amico! Mi hai lasciato dentro una notte intera! Non potevi venire ieri stesso?»

Ma Robin non diede segno di pentimento. «Avrei potuto lasciarti dentro per sempre» borbottò. «Hai idea di quello che ci hai fatto passare? Un Titan dovrebbe essere un modello per la comunità, non farsi arrestare! Noi dovremmo essere la giustizia, non un intralcio ad essa!»

Garfield fece roteare gli occhi. Non aveva voglia di discutere, ma doveva ammettere di essere d'accordo con l'amico. «Lo terrò a mente, sì. Ora possiamo per favore andare a fare colazione? Ho avuto l'impressione che volessero giustiziarmi tramite digiuno» tentò di scherzare, ma subito il sorriso gli si spense. Robin non dava affatto cenno di divertirsi. «Ok, hai vinto. Mettimi pure in punizione» concluse. Non aveva voglia di litigare e non vedeva l'ora di mettere qualcosa sotto i denti e farsi una bella doccia. Sorrise all'agente che si avvicinava per restituirgli i suoi oggetti personali e, come prima cosa, infilò in tasca il suo anello di copertura. Attese che gli togliessero il braccialetto che gli annullava i poteri, poi riprese la giacca ed infilò il portafoglio nella tasca dei pantaloni.

Mentre lo scortava fuori, verso la sua moto, il silenzio ostile di Robin iniziò a diventare irritante. Garfield sapeva che avrebbe aspettato che fossero lontani da orecchie indiscrete, prima di dirgli ciò che stava pensando. Infilò il casco e si sedette dietro l'amico, che mise in moto e si infilò nel traffico di Jump City.

Erano fermi ad un incrocio, quando il Ragazzo Meraviglia decise di interrogarlo. «Perché hai impedito che la polizia la prendesse?»

Le orecchie di Garfield si piegarono, mentre lui trovava il modo migliore per parlargli di Lilith. «Lei non è cattiva, non meritava di essere arrestata»

«L'altra sera ha distrutto mezzo museo» gli ricordò Robin con calma. «e mi hanno raccontato che ti ha attaccato in pieno centro senza una ragione apparente»

Garfield tossicchiò. «Ecco, vedi, una ragione c'era. Stavo parlando con Raven e le ho detto delle cose veramente brutte, Lilith l'ha saputo e si è arrabbiata perché Rae c'era rimasta male»

«Perché tutti decidono di parlare con lei alle mie spalle?» domandò Robin, indispettito. Lanciò un'occhiata all'amico e poi ripartì con le altre auto quando il semaforo fu verde. «In realtà» disse alzando la voce «quello che vorrei veramente sapere è perché Raven non viene a parlare direttamente con me. Lei non ci vuole tra i piedi, Garfield, credevo che finalmente te lo fossi messo in testa» sbuffò, inclinandosi per voltare a destra e raggiungere una traversa familiare.

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