SEGNI PROFONDI

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Suonò la campanella, caccai i libri dentro lo zaino e di fretta mi avviai verso l'uscita. Quella mattina la prof di inglese mi aveva interrogato per recuperare l'insufficienza. Nonostante avessi cercato di impegnarmi e avessi studiato per giorni, arrivai a malapena alla sufficienza. Ebbi l'impressione che la prof mi avesse voluto punire per tutti i brutti voti che avevo preso precedentemente ma non me ne curai più di tanto. Mentre mi accingevo a raggiungere l'auto di Vero, mi accesi una sigaretta. Feci 2 lunghe tirate e la lanciai per terra. Aprii lo sportello della macchina e sprofondai sul sedile. "Come è andata l'interrogazione?" Chiese mia sorella mentre faceva manovra controllando dallo specchietto retrovisore. "Quella stronza si è vendicata, ho risposto a quasi tutte le domande e mi ha dato appena la sufficienza. Io credo che avrei meritato di più!" Dissi rabbiosa. Mentre percorrevamo la strada di tutti i giorni per tornare a casa mia sorella si buttó: "Senti è un po' che te lo volevo dire, non te la prendere anche con me ma penso che la mamma abbia ragione. Che ti succede Kim? Sei strana ultimamente, ti sento sai la notte quando rientri ubriaca, ti sento quando vai in bagno e vomiti perché hai esagerato e poi sei sempre arrabbiata e triste. C'è qualche problema? Me lo puoi dire lo sai." Disse senza mai guardarmi.
Ci fu un attimo di silenzio. "Non ho niente! Perché continuate tutti a dirmi la stessa cosa?" Risposi infastidita. "Ok ok stai calma però." Replicò lei. Rimanemmo in silenzio per un po' poi pensai che mia sorella non aveva colpe, non centrava nulla con i miei problemi. Era sempre stata la prima persona a cui raccontavo tutto e sapevo che di lei mi potevo fidare. Era da un po' di tempo che avevo cominciato a farmi del male. Mi sentivo in colpa e sentivo il peso di questo segreto troppo grande che custodivo solo e soltanto io, da sola. Sapevo che non era una cosa "normale" quella che facevo e avevo bisogno di condividerla con qualcuno e chi meglio di mia sorella. A un certo punto presi coraggio e dissi: "Ferma la macchina ti devo far vedere una cosa." Mia sorella mi guardò sorpresa. "Cosa?" Disse titubante, mise la freccia accostò l'auto ad un muretto, spense il motore e mi fissò. Feci un lungo sospiro e con le mani che tremavano tirai su la manica del maglione scoprendo i segni di quel peso troppo grande che mi portavo dentro. "Ecco." Dissi a bassa voce e non riuscendo a guardarla negli occhi. "Ma che cazzo hai fatto?" Disse Vero preoccupata. "È un po' che lo faccio, non mi chiedere il perché, non lo so neanche io. Lo so che non è normale ma non dire nulla a mamma e papà ti prego." Dissi con voce supplichevole questa volta guardandola. Mia sorella fece un lungo sospiro. "No. Non dico niente a mamma e papà ma tu mi devi promettere che non lo farai mai più da oggi in poi. Non risolvi niente così." Mi guardò con aria di rimprovero.
"Hai ragione, non lo farò più."
Arrivammo a casa e mio padre mi venne incontro. "Kim, io e tua madre abbiamo parlato un po' e pensiamo che tu abbia bisogno di fare due chiacchiere con un dottore, uno psicologo. Che ne dici?" Mi disse calmo e deciso allo stesso tempo. Spalancai gli occhi e infuriata dissi subito: "Uno psicologo? Voi pensate che io sia pazza vero? Non ho bisogno di parlare con nessuno, mi dovete lasciare in pace e no, non andrò da nessuno psicologo!" Mio padre mi stava fissando. "Guarda che le persone che si rivolgono ad uno psicologo non sono pazze! Sono persone normali che magari stanno attraversando un periodo non troppo facile." Disse cercando di convincermi. "Ti ho detto di no! Non voglio andarci!" Non riuscii a finire il discorso che iniziai a piangere. "Abbiamo già preso appuntamento, ti aspetta lunedì. Devi farci solo 2 chiacchiere. Non ce l'avere con noi, lo facciamo per il tuo bene. Un giorno ci ringrazierai, vedrai." Rispose. Ormai avevano deciso.
Me ne andai in camera mia piena di rabbia.
Io non volevo andarci dallo psicologo. Non volevo parlare con nessuno. Non volevo essere scoperta. Non volevo raccontare i fatti miei a uno che neanche conoscevo e poi io non ero pazza, dallo psicologo ci andavamo i malati di mente!
Era sabato sera e mi preparai per andare in discoteca con i miei amici.
Quella sera non potevo immaginare che quello che sarebbe successo me lo sarei ricordato per il resto della vita.
Come al solito cominciammo a bere io, Laura, Marco, Carlo e Michele. Giravo per le sale della discoteca insieme alla mia migliore amica. Drink e sigarette. Due chiacchiera qua e là. Musica. Giramenti di testa. "Kim posso parlarti un secondo?" Era Carlo che ancora una volta voleva parlarmi. Gli feci cenno che avremmo parlato più tardi, ora dovevo divertirmi con la mia amica. Si avvicinò anche Marco e mi sussurró qualcosa all'orecchio. "Non ho capito niente, la musica è troppo alta!" Urlai. Ci spostammo più in là e Marco ripetè di nuovo: "Ho pensato a quello che mi hai detto l'altra sera...se vuoi io sono qua!" E mi fece l'occhiolino. Lo guardai stupita, non avevo capito di cosa stesse parlando. "Dai non fare la finta tonta, hai capito!" Disse. "No non ho capito veramente a cosa ti riferisci!" Risposi.
Fece un cenno con la mano e subito capii di cosa stava parlando. Gli avevo confessato di essere ancora vergine e aveva pensato che sarebbe potuto essere lui la mia prima volta. "Tu sei pazzo!" Scoppiai a ridere e me ne andai a ballare con Laura.
Più tardi le cose andarono diversamente. Ubriaca mi ritrovai in strada mano nella mano con Michele. Mi portò in un vicolo dove vi era un ristorante poco distante dalla discoteca. Il locale era chiuso a quell'ora, ci arrampicammo su un balcone e ci sedemmo per terra. Non sapevo neanche io come fossi finita la e sopratutto proprio con Michele. Ci ritrovammo a baciarci e mi confessò che Marco gli aveva raccontato le mie confidenze: sapeva che non avevo mai fatto l'amore. Ci sdraiammo e cominciò a toccarmi il collo, poi le sue mani scivolarono sempre più giù. Prima il seno poi la pancia e ancora e ancora. Sfilò via le mutande e ci ritrovammo a fare sesso. Non ero convinta di cosa stavo facendo, non avevo avuto neanche il tempo di pensarci ma lo lasciai fare comunque. Ero rigida e non riuscii a lasciarmi andare. E anche se lui sapeva che ero ancora vergine non trattenne l'entusiasmo. Provai un dolore tremendo, mentre lui preso continuava sempre più forte io intanto resistevo. Sentivo le guance bagnate da qualche lacrima, senza neanche le forze per sottrarmi a quello che stava succedendo. Mi trovavo per terra sul pavimento freddo e sporco del balcone di un ristorante a notte fonda in pieno inverno con addosso un ragazzo che non amavo e che neanche mi piaceva. Pensai che era la mia prima volta e l'avevo sprecata così.
Mi rialzai, presi le mutande buttate lì a terra e le infilai velocemente, mi accorsi che c'era del sangue. Provai un gran senso di disprezzo e vergogna verso me stessa, volevo tornare a casa. Dissi a Michele di tornare dentro dagli altri io dovevo sistemarmi e volevo rimanere un po' da sola e prendere una boccata d'aria.
Accesi una sigaretta e passeggiai più volte lungo quella strada ripensando a ciò che era appena successo. Mi rimproverai per la troppa leggerezza con cui affrontai una cosa tanto importante e che non sarebbe dovuta succedere così. Ero stata un'incosciente. Mi ero fidata di Michele perché sapevo che aveva una cotta per me da parecchio tempo, che era lì non soltanto per farsi una scopata con la prima stupida che incontrava. Almeno qualcuno sarebbe stato felice quella sera, qualcuno ma non io.
Rientrai in discoteca e subito cercai Laura per comunicargli che volevo tornare a casa. Fui bloccata ancora da Carlo. Mi sbarrò la strada e mi stava fissando. "Spostati dai sto cercando Laura, voglio andare a casa." Dissi infastidita.
"Perché con Michele?" Disse guardandomi negli occhi. "Perché cosa?" Replicai. "Ha già raccontato tutto, sei stata con Michele qua fuori." Disse quasi arrabbiato. Lo guardai scocciata anche io. "Che vuoi da me Carlo? Io faccio ciò che voglio!" Lo spinsi per passare e me ne andai a cercare la mia amica. La vidi che sorrideva a un ragazzo. "Laura andiamo? Voglio tornare a casa per favore." Dissi quasi supplicandola. Salutò il ragazzo che aveva appena conosciuto e ci dirigemmo verso l'uscita. A un tratto sentii qualcuno tirarmi il braccio con forza. Mi girai e mi ritrovai scaraventata in un angolo con la schiena appoggiata al muro. Carlo era di fronte a me a due centimetri dal mio viso e le mani avanti appoggiate al muro per non lasciarmi scappare di nuovo. "Ti ho detto che devo parlarti perché scappi?" Sbuffai infastidita e non feci in tempo a rispondere che sicuro continuó: "Kim io mi sono innamorato di te." Disse fissandomi negli occhi. Rimasi immobile per qualche secondo. Non me l'aspettavo e non sapevo che dire. "Non sei innamorato di me è soltanto una cotta domani ti passa." Cercai di farla più semplice. "No Kim non è una cotta, ti penso continuamente da quella sera. Io voglio stare con te." Disse fermo. Mi toccai la fronte con la mano e sospirai . "Io non voglio stare con te però, io non voglio stare con nessuno. Domani ti passa fidati." Infilai la mia mano tra i suoi morbidi riccioli e gli accarezzai la testa. Mi chinai per liberarmi dalle sue braccia e me ne andai.

17 dicembre
Mi vergogno.
Mi vergogno di me stessa e di quello che sono diventata.
Mi vergogno di tutte le cazzate che ho fatto.
Voglio essere lasciata in pace da tutti.
Mi domando dove è andata a finire la dignità per me stessa.
Stasera non la dimenticherò mai.
Stasera non ho mantenuto la promessa che avevo fatto a mia sorella.

Poi un giorno per una cosa stupida scoppi a piangere disperata e capisci che hai toccato il fondo, più giù di lì non puoi andare.
Ero crollata e non trovando nessuno attorno a me pronto ad aiutarmi, mi ero rialzata da sola ancora una volta, come sempre.
Cercavo disperatamente di cambiare e forse invece avrei solo dovuto imparare ad amarmi.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Sep 29, 2017 ⏰

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