Cercai di staccarmi da lui ma con scarsi risultati, le sue braccia mi avevano imprigionato al suo corpo, la sua lingua cercava di farsi spazio nella mia bocca, ma per quanto mi facesse male non gli avrei concesso questa soddisfazione. Riuscì a staccarmi e gli tirai uno schiaffo così forte che le impronte delle mie dita rimasero impresse sul suo lurido viso. Lui si portò la mano sul volto e ghignò divertito.
Me ne andai, passandomi le mani sui capelli disperatamente, dovevo andarmene, dovevo tornare a casa, quel luogo portava solo guai su guai e ne avevo abbastanza. Avevo abbastanza di tutto e di tutti, di quelle persone che ti fanno credere di essere tuoi amici e che poi in fondo si rivelano per quello che sono veramente, ero stanca di persone che ti promettevano nuovi inizi ma che poi non arrivavano mai.
Mi fermai sul marciapiede, aspettando che un taxi passasse e me ne tornai in hotel. In taxi mandai u messaggio a Mary dicendole che non avrei fatto la sfilata, davanti all'entrata pagai il taxi, scesi e entrai in hotel, ritirai la chiavi e chiesi alla commessa se poteva cercarmi un volo per Los Angeles al più presto.
Salì in camera, presi la valigia dal letto e l'aprii sul letto, spalancai le porte dell'armadio, tirando fuori tutto quello che avevo portato, e buttandolo a caso nella valigia.
Sistemai un po' e provai a chiamare Nash ma niente. Scesi le scale e andai alla reception dando le chiavi e prendendo il biglietto del volo dandole i soldi.
Saltai sul taxi e andai all'aeroporto: nel tragitto appoggiai la testa sul finestrino, le strade passavano davanti ai miei occhi come se io non facessi parte di quel mondo, come se non dovessi più provare dolore.
Arrivai all'aeroporto, scesi e dopo aver fatto tutte le varie procedure, mi sedetti sull'aereo, accanto a me si sedette un uomo, più o meno di 50 anni, tutto vestito elegante, stava al cellulare e probabilmente lavorava, ignorandomi.
Voltai la testa e sospirai, presi il cellulare e lo accesi un'ultima volta prima di spegnerlo definitivamente, niente telefonate o messaggi, andai un attimo sulle notizie vidi alcune foto mie e di Steven mentre ci baciavamo. In quel momento l'unica cosa che volevo era fermare il tempo, tornare indietro a quando avevo 8 anni, a quando la vita non era così dura, a quando l'unico vero problema era con chi condividere la merenda, con chi scambiare le figurine o leggere i fumetti. A quando c'era ancora papà, a quando la mia famiglia era veramente una famiglia, a prima di crescere a tornare alla spensieratezza di un tempo.
Spensi il cellulare, sperando di arrivare in tempo, e mi abbandonai con la schiena sul sedile scomodo.
Dopo 7 ore
La voce metallica mi fece svegliare, non avevo chiuso occhio tuta la notte e avevo dormito solo 2 ore e mezzo. Mi alzai, presi la mia roba e scesi dall'aereo pensierosa, accesi il telefono ed erano circa le 8 e un quarto, ritirai la mia valigia, e mi incamminai vero l'esterno dell'edificio, dove presi un altro taxi che mi portò a casa. Mano a mano che ci avvicinavamo mi sentivo sempre più impaurita, sapevo di trovare Cam a casa mia voleva trascorrere questi giorni con i miei fratelli. Senza accorgermene il taxi si fermò
-Mi scusi può aspettare qui?- chiesi gentilmente, tirando la valigia fuori dal portabagagli
Taxista-Certo-
Mi avvicinai alla porta e suonai il campanello, la porta venne aperta da Hayes che mi guardò con uno sguardo rammaricato.
-Ehi- dissi amorevolmente
Lui i schioccò un bacio sulla guancia e mi diressi in cucina dove Cameron e Nash si guardavano male: Cam aveva la vena sul collo che pulsava e Nash aveva gli occhi iniettati di sangue
Io-Ciao-dissi a bassa voce lasciando il trolley sulla porta.
Io-Cam possiamo parlare? In privato?- dissi riferendomi a Nash
Cam- No possono benissimo rimanere- la sua voce aspra graffiò il mio cuore,
-Ok, allora...ecco...quando ero a Budapest ho conosciuto un ragazzo che ha cercato da subito a volermi baciare ma l'ho respinto-
Cam- Certo come no-
Io-Come scusa?- dissi risentita
-Sai le fotografie hanno il potere di parlare, anche troppo bene-
-Ma di cosa stai parlando?-
-Victoria basta mentire, abbiamo capito tutti il tuo gioco-
Nash scattò sulla sedia in preda ad un attacco d'ira
-Tu non devi assolutamente azzardarti a dare della puttana a mia sorella.- disse mentre cercava di darsi una controllata.
Cam- Ma io non l' ho detto, lo hanno detto le foto.-
Il mio cuore si ruppe, la mia mente ripeteva quelle parole.
Lo pensava.
Mi aveva dato della puttana, mi sentivo maltrattata emotivamente.
Ma una cosa che avevo imparato dalla vita o che la vita mi aveva portato a fare era quella di non abbattermi e di andare avanti. Spinsi fino in fono al mio cuore quel groppo che avevo in gola, alzai la testa, mi sistemai i capelli, tirai la mia parte più dura e salii le scale pronta per una nuova vita..........
STAI LEGGENDO
Cuore di ghiaccio|Cameron Dallas
FanfictionE' strana come la vita certe volte si comporta nei nostri confronti:ci dona una piccola felicità che ci fa stare bene, ma poi ce la distrugge, ci fa soffrire...ma poi ne fa arrivare un'altra e il ciclo ricomincia da capo.Giusto? Sbagliato? Chissà...