Edward Gluskin

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*Eddie è interpretato da Francesco Silvestre*

Passò una settimana dal mio primo giorno al Mount Massive, e ciò che mi causava maggiore inquietudine arrivò molto presto.

Una mattina, infatti, lavorai pochissime ore dato che quella stessa notte sarei dovuta tornare lì a sorvegliare i pazienti. Sapevo che un giorno sarebbe successo. Speravo solo di esserne all'altezza.

Arrivai un po’ prima, così da poter controllare meglio la situazione, finché finalmente non si fecero le 10. I dottori andarono via subito dopo aver somministrato dei sedativi ad alcuni pazienti. Io rimasi tutto il tempo nel mio ufficio, ad aspettare che se ne andassero, per poi iniziare.

Percorrevo quei corridoi ogni mezz'ora, e tutti dettagliatamente

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Percorrevo quei corridoi ogni mezz'ora, e tutti dettagliatamente. A volte origliavo da dietro le porte delle stanze dei pazienti, e non credo ci sia bisogno di dire quanto fosse inquietante ciò che sentivo.

Ogni tanto veniva a trovarmi Mike, distraendomi un po’ raccontandomi qualcosa di lui. Mi disse che era sposato, e che aveva due figli, ma i quali purtroppo non poteva vedere quasi mai a causa del suo lavoro “riluttante”, come lo aveva definito. Ancora non capivo cosa gli facesse nutrire tutto quell'odio.

Più spesso andavo nella prigione, credevo fosse il luogo al quale dovevo prestare più attenzione.

Camminavo cauta davanti le celle dei pazienti, soprattutto quella di Walker

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Camminavo cauta davanti le celle dei pazienti, soprattutto quella di Walker.

A volte mi fermavo a parlare con qualcuno di loro, e le cose che mi dicevano erano parecchio insolite. Parlavano di esperimenti segreti o ripetevano alcune frasi  probabilmente dette precedentemente dai dottori.

L'unico che, nonostante non dormisse, taceva, era Eddie. A volte alzava lo sguardo, posandolo su di me di sfuggita, per poi riabbassarlo. Oppure disegnava qualcosa su un piccolo taccuino che teneva sotto il cuscino.

Un giorno, vidi finalmente quale fosse il soggetto dei suoi disegni: erano abiti da sposa

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Un giorno, vidi finalmente quale fosse il soggetto dei suoi disegni: erano abiti da sposa.

“È meraviglioso.” gli sussurrai una notte mentre ne stava disegnando uno.

Ma non mi rispose. Mi guardò solo di sfuggita per poi tornare al suo taccuino.

“Non ti dispiace se resto a guardare, vero?” gli chiesi.

Tacque. Lo presi come un no.
Mi sedetti perciò a terra, continuando a guardarlo. Era così misterioso.

“So di non starti molto simpatica, ma dovrò stare qui per molto tempo ancora, quindi magari potremmo provare a…”

“Non voglio essere tuo amico.” mi interruppe “e poi guarda che bella compagnia con una troia del cazzo come te.” ribatté.

“Perché ce l'hai così tanto con me?”

Mi fulminò con lo sguardo.

“Perché tu e tutta la tua compagnia siete solo dei ripugnanti pezzi di merda, ingannatori e approfittatori! Meritate una di quelle morti strazianti, lente e dolorose, e vi auguro di marcire all'inferno!” continuò avvicinandosi alle sbarre della cella.

“Parli dei dottori che ci sono qui?” domandai.

A quella domanda, la sua espressione divenne improvvisamente seria e forse anche un po’ triste. Ma nel caso lo fosse stato, perché?

“Va via di qui.” disse tornando lentamente al letto.

Capii che probabilmente non aveva più voglia di parlare, e voleva stare solo...

“Ma sta sempre solo…” pensavo mentre mi allontanavo.

Forse ormai si era abituato alla sua solitudine. Ma perché avrei dovuto fuggire? Cosa c'era di spregevole in quel luogo? Queste domande mi rimbombavano nella mente mentre ritornavo alla mia stanza. Eppure, non era un caso. Molti altri pazienti avevano mostrato di odiare quel posto, di esserne addirittura terrorizzati. Perfino Mike lo odiava. Ma perché? Qual era il mistero che incombeva tra le mura di Mount Massive?

E non mi sfiorava nemmeno l'idea che tutto fosse finto, frutto della mente malata dei pazienti, perché non lo era. Nonostante il loro stato di salute, c'è sempre un fondo di verità nei loro assurdi discorsi. Tutti sono abituati a dire la classica frase “è pazzo", ma non è mai così del tutto.

Ne ero certa. Lì dentro c'era qualcosa che non andava, qualcosa di oscuro e ripugnante che si stava cercando di tenere nascosto.

Outlast: we will be beautiful, darling. Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora