11.

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Per la seconda volta in due giorni, Ian correva.
Correva più veloce possibile verso chissà quale posto. Mickey non aveva lasciato nient'altro che quella foto, una misera frase e un barbone scorbutico.
Come avrebbe fatto a rintracciarlo? Dove era diretto?
Ian non lo sapeva, non riusciva a darsi una spiegazione logica per quel l'improvvisa fuga, o meglio, aveva una spiegazione logica, ma si rifiutava di ammettere l'abbandono da parte del ragazzo.
Così correva.
Correva e basta, mentre dentro di lui cuore e cervello erano impegnati in una lotta frenetica che impiegava tutte le energie restanti del ragazzo.
Arrivò alla stazione più vicina, qui i messicani prendevano il pullman per tornare in patria, se Mickey voleva andare in Messico (e Ian era sicuro che volesse andarci), allora lo avrebbe trovato lì. Già si immaginava di incrociare lo sguardo del moro ed improvvisare una scena da stupido film rosa di seconda mano, non vedeva l'ora. Cercò freneticamente tra i passanti, chiamò il nome dell'amato più e più volte, ma di Mickey Milkovich nessuna traccia.
Stava ancora cercando quando il primo autobus scassato e stracolmo di persone, partì per il Messico. Un pullman che avrebbe benissimo potuto portare anche Mickey. Forse era troppo tardi.
Ian cadde in ginocchio con la testa tra le mani proprio mentre il secondo autobus si allontanava dalla stazione. Un paio di ragazzi si fermarono a controllare lo strano americano rosso che piangeva in ginocchio, qualcuno provò a chiedergli come stesse, ovviamente non ricevette nessuna risposta.
Ian continuò a maledirsi mentalmente mentre calde lacrime sfuggivano al suo controllo e finivano a terra, se non fosse stato bipolare Mickey lo avrebbe portato con se? Oppure semplicemente Mickey aveva deciso di vendicarsi per il precedente abbandono e voleva far sentite Ian esattamente come si era sentito lui in quei terribili tre anni?
Ora probabilmente era in viaggio verso il Messico e chissà se si sarebbero più rivisti, chissà se Mickey si sarebbe costruito una nuova famiglia in Messico.
Chissà.

Ian Gallagher non sa per quanto tempo è rimasto in ginocchio su quella strada polverosa, forse ore, forse solo pochi minuti. Non si è reso conto conto nemmeno della voce che lo chiamava imprecando, dell'auto che si era fermato a pochi metri da lui o del ragazzo che era sceso e a grandi falcate lo aveva raggiunto, si era accucciato accanto a lui e lo aveva stretto tra le braccia.
Non se ne reso conto finché il suo odore non lo invase completamente. Alzò gli occhi e incontrò quelli azzurri di Mickey che stava ancora imprecando nel cercare di calmarlo, la mano del rosso quasi si mosse da sola verso la sua guancia e un sonoro schiaffo partì prima che il moro potesse anche solo tentare di scansarsi.
"Ma che cazzo, Gallagher!" urlò Mickey portandosi una mano alla guancia dolorante, saltò al collo del ragazzo sbattendolo a terra e iniziarono una rissa di quelle che caratterizzavano ogni più importante momento della loro relazione.
Lottarono finché un uomo dai folti baffi e la faccia da tipico messicano di nome Paco, non li separò. I due si guardarono in cagnesco mentre il sangue sulla faccia si mischiava alla polvere che in qualche modo copriva gli occhi neri e le lacrime che continuavano a scorrere senza controllo sulle guance dei due.
Dopo una sfuriata, il presunto Paco andò via, l'auto ripartì e la stazione riprese il proprio ritmo, solo i due ragazzi rimasero fermi a guardarsi, Mickey continuava ad imprecare e a controllare se tutti i denti fossero al proprio posto, Ian semplicemente lo guardava ed era come se il resto fosse scomparso.
"Torniamo a casa." Commentò il rosso pulendosi la faccia con una manica. "Io non posso tornare a casa. Tu devi tornare a casa, io devo partire. Cazzo, Gallagher, non è così difficile. Devo andare, lo capisci?" Mickey sospirò stanco passandosi una mano sul volto ancora dolorante "E tu non puoi venire con me. Vorrei portarti via, ma non posso." Per tutta risposta Ian si avvicinò al più basso e gli posò delicatamente le mani sul collo fissando lo sguardo nel suo. "Non partire. Possiamo trovare una sistemazione qui, puoi venire a stare da me oppure in qualche buco abbandonato. Non posso venire con te, ma non lasciarmi. Ti nasconderai qui finché le acque non si saranno calmate poi troveremo una qualche cazzo di soluzione. Ti aiuterò io, ma non andare." Mentre parlava la sua voce era ferma, ma Mickey poteva sentire le sue mani tremare al contatto con la proprio pelle pelle. "È un suicidio, Ian. Se qualche sbirro del cazzo mi vede qui, io sarò fottuto e lo sarai anche tu. Figurati poi nascondersi per tutto quel tempo, probabilmente continueranno a cercarmi per tutto l'anno. Vuoi farmi da balia? Perché io non ho voglia di uscire di notte come il fottuto Batman." Allontanò le mani del rosso, senza però lasciarle andare, Ian non vacillò nonostante avesse capito la piega che il discorso stava per prendere. Con tutte le forze che gli erano rimaste attrasse il moro tra le braccia affondando la testa contro la sua spalla. Lo strinse tanto forte da fargli mancare il respiro e Mickey, come una bambola di pezza tra le sue braccia, non si ritrasse né ricambiò, semplicemente si godé quel calore che lo invadeva ogni volta. Certo un piano del genere era una gran cazzata, non c'era alcuna possibilità di farla franca e avrebbe dovuto cercarsi un nascondiglio sicuro, una "casa" provvisoria, ma sempre meglio che starsene in Messico da solo a cercare di succhiarsi il cazzo come faceva Jody, il fidanzato di Sheila, la pazza che aveva sposato Frank. Doveva accontentarsi di svegliarsi la mattina in qualche buco del cazzo, ma avrebbe avuto Ian.
Era una grandissima stronzata. Un suicidio. Ma per svegliarsi con il culo di Ian Gallagher accanto a se ogni mattina, valeva la pena tentare.
Scappare in Messico?
Nah.
I Milkovich non scappano.

"Brutto figlio di puttana, ci guardano tutti. Scollati e andiamo a casa."


NOTA
So che è un capitolo insensato, ma non ho di meglio da offrire.
Sorry.

Aspetterò | GallavichDove le storie prendono vita. Scoprilo ora