23.

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"Non ne sapevo nulla..."

"Perché avresti dovuto?"

Mickey sapeva che quella confessione avrebbe portato a galla mille altri problemi dando così vita all'ennesima lite. Da quando erano tornati insieme non avevano fatto altro che litigare, accusarsi a vicenda e far pace con la tacita promessa, ovviamente falsa, che non sarebbe mai più successo. Lo sapevano entrambi, ma nessuno dei due sembrava volerne parlare.

Eppure stavolta Mickey era convinto che quella conversazione fosse la prova definitiva, superare questa cosa li avrebbe portati ad un livello più alto, persino più in alto di quanto avevano affrontato con la bipolarità. Il moro la prese come una sorta di verifica finale per sapere se avrebbero davvero potuto continuare a stare insieme, ma per superarla avrebbe dovuto svuotarsi completamente, incolpare Ian dei suoi errori e prendersi le proprie responsabilità. Sarebbe stato un vero e proprio spargimento di sangue.

Era una guerra.

"Come perché? Ti avrei aiutato..." La sicurezza di Ian aveva iniziato a cedere, ma il suo sguardo era ancora saldo, incastonato nel suo come una gemma nella roccia. "Non volevi nemmeno parlarmi. Svetlana ti ha dovuto pagare per farti venire da me!" il tono del giovane Milkovich si fece più alto, non abbastanza da essere sentito in casa, ma abbastanza da far sobbalzare Ian. "Ma se lo avessi saputo..." "Non avresti preso i soldi, saresti venuto a trovarmi in ospedale, mi avresti chiesto scusa per tutto e sarebbe finito tutto bene, vero? Stavo male, Ian, stavo malissimo e l'ultima cosa di cui avevo bisogno in quel momento era la tua fottuta compassione." Lo interruppe bruscamente Mickey, lo sguardo gelido non faceva trapelare tutto il rancore e la disperazione che provava il ragazzo "Mio padre continuava a darmi il tormento, mio figlio a stento mi riconosceva ed ero costretto a pagare per aver cercato di aiutarti, cosa che inoltre non ti ha nemmeno fatto piacere dato che me lo hai rinfacciato anche l'unica volta che mi sei venuto a trovare, oltretutto non per tua volontà. Ero solo." Un pugno nello stomaco avrebbe fatto meno male, entrambi sembravano feriti, ma nel profondo Mickey provò una sensazione che non gli piacque affatto. Rabbia soppressa negli anni nei confronti di Ian, odio puro che si era sviluppato in una piccola parte del cervello, nonostante si ripetesse di continuo che non avrebbe mai potuto odiare quel ragazzo, il sentimento si era rannicchiato nel profondo della sua mente in attesa del momento esatto in cui uscire e rovinare tutto. "Mickey, stavo male anch'io. Non ragionavo più, ero spaventato dalla malattia, dalle conseguenze che avrebbe avuto su di noi. Ti ho già detto queste cose, se avessi saputo come stavi realmente tu, forse avrei reagito in modo diverso, forse mi sarei ripreso..." il rosso tentò un approccio, voleva accarezzargli almeno la guancia, sapere tramite un solo gesto, che non stavano andando verso la fine, ma Mickey si ritrasse, era ancora troppo scosso per sopportare quella vicinanza.

Mickey Milkovich era abituato all'odio, lo provava da sempre nei confronti di tutto e tutti, ma Ian era l'Eccezione. Credeva che la sua vita fosse divisa in due fasi: Prima di Ian, quando anche solo posare lo sguardo su un altro ragazzo lo metteva a disagio; e Dopo di Ian, quando anche solo toccargli il braccio o sentirlo ridere lo rendeva felice, una scolaretta alla sua prima cotta. Si sentiva così e non se ne vergognava affatto...forse un po' sì. Ian era, in sostanza, il faro che lo aveva trascinato fuori da quel mare di odio, eppure anche la sua luce iniziava ad affievolirsi.

"Mi sono piantato un coltello nella milza." Esordì nel vano tentativo di ridurre quella terribile sensazione "L'ho fatto subito dopo aver finito il tatuaggio. In realtà speravo che l'infezione mi avrebbe steso prima, ma poi mi sono detto che, se dovevo morire, volevo che fosse veloce e non per causa tua." Le lacrime presero a scorrere sulla pelle chiara e lentigginosa del rosso, ma Mickey non provò pena, pensò che in realtà fosse giusto così e si odiò per questo. "Mi sono svegliato in ospedale, sentivo Svetlana e Susan che discutevano in corridoio e per un attimo avrei voluto averti lì per dirti che non era colpa tua, ma poi ho pensato che a te non te ne sarebbe fregato un cazzo. Mi sentivo un coglione, non ero stato capace nemmeno di ammazzarmi quindi Terry aveva ragione." "Quante volte ci hai provato?" Ian aveva paura della risposta, la sua mente si annebbiava un po' di più ad ogni parola e qualcosa nello sguardo del ragazzo lo fece rabbrividire. "Altre due volte. Terry aveva organizzato l'ennesima imboscata, lo avevano sistemato a due celle da me, mi tormentava giorno e notte, non mi lasciava nemmeno dormire e non potevo toccarlo. Una sera, prima di tornare in cella, sono entrato in lavanderia e ho bevuto un flacone di bagnoschiuma che qualche coglione aveva lasciato a terra. Le guardie mi hanno costretto a vomitare, sono stato chiuso per due settimane nel reparto psichiatrico." Prese un respiro, quei ricordi non erano facili, li aveva repressi nel momento in cui avevano chiuso la bara del finto Mickey, aveva davvero sperato che finissero sottoterra con lui. "L'ultima volta è stata...due settimane dopo la visita del tuo ragazzo, Terry lo era venuto a sapere, io stavo già male di mio, ho tentato di buttarmi dalla staccionata del secondo piano, mi hanno afferrato due stronzi per le braccia." Ian capì perché in quei giorni non gli fu possibile entrare, mentre lui si disperava davanti al cancello, seduto su quella sudicia panchina, Mickey dall'altra parte delle mura lottava letteralmente contro la voglia di farla finita. Si sentì improvvisamente in colpa per le sfuriate contro le guardie e il centralinista e per tutte le volte che aveva cercato di entrare di nascosto. "Ho dovuto fare sedute su sedute, prendevo medicine del cazzo che mi rendevano apatico. Avevano già pronti i documenti per trasferirmi in qualche ospedale psichiatrico dell'Illinois, ma Susan cercava di rimandare la cosa, faceva sempre gli straordinari, non vedeva suo marito da settimane. Mi sono sentito un peso anche per lei per questo sono evaso." Terminò il moro con fare stanco, quel discorso lo aveva sfiancato anche più del previsto, gli sembrò che tutte le cicatrici accumulate negli anni iniziassero a pesare sulla sua pelle. "Quando ti ho trovato sotto il ponte tu..." "Non volevo farla finita, volevo solo riposare un attimo. Non avevo niente da perdere quindi avrei cercato Yevgeny per salutarlo e poi me ne sarei andato. Non volevo morire in questo schifo di posto." Si portò una mano tatuata alle tempie che avevano preso a pulsare in modo allucinante "Alla caserma ho sperato di vederti, ma tu non c'eri e ho pensato che fosse un segno, che fosse davvero finita. Poi mi hai trovato." Si interruppe, la voce iniziò a cedere, portò anche l'altra mano ad afferrarsi la testa, un gesto disperato che scateno nel compagno la voglia irrefrenabile di fargli sentire che lui era lì, che lo avrebbe aiutato a superare la cosa. Per una volta sarebbe stato lui ad occuparsi dell'altro, se lo era promesso. "Ti ho cercato per tutta la città quel giorno, in realtà per due giorni. Non potevi davvero credere che fosse finita, Mickey. Tra noi non può finire, ovunque saremo non sarà certo un fottuto segno a separarci, dovessi trovarti oltreoceano, può andare a farsi fottere anche l'oceano. E che si fotta il destino, io verrò a cercarti ovunque tu sarai e stai pur certo che ti troverò. E faremo a botte, litigheremo, scapperemo di nuovo, ma alla fine io sarò sempre tuo e tu sarai sempre mio perché io e te, brutto stronzo, ci apparteniamo e abbiamo bisogno l'uno dell'altro. Ci siamo capiti?"

Lo pensava davvero, Ian, quello era forse l'unico punto fisso della sua mente instabile. Lo avrebbe trovato, sempre. Poteva avere tutti i ragazzi del mondo, vivere ovunque e fare qualsiasi cosa, ma sapeva che se Mickey fosse riapparso nella sua vita, che fosse la sua camicia o solo una sua foto, lui sarebbe tornato, avrebbe lasciato tutto pur di tornare e ogni volta si sarebbe sentito di nuovo a casa. Mickey d'altro canto, non era sicuro che quella fosse la verità, in fondo Ian era il suo primo amore, l'unico a dirla tutta, e forse nei suoi confronti aveva sviluppato un'ossessione malsana, forse quel giorno sarebbe davvero dovuto fuggire in Messico, anche se mente e cuore erano, per la prima volta, in accordo che prendere quel bus fosse la più grande cazzata che potesse fare. "Ti amo, lo sai?" proruppe Ian, facendosi spazio a forza nei suoi pensieri, come fin troppo spesso accadeva negli ultimi tempi. "I tuoi fratelli ti amano, Yevgeny ti ama, persino Svetlana lo fa. E, anche se non mi va molto a genio, anche Jimmy-Steve ti ama. Non sei solo, non lo sarai mai." Gli toccò la guancia con il palmo caldo, stavolta non si ritrasse sebbene non fosse totalmente a suo agio "Dovessi prendere a calci in culo Terry per il resto della sua vita, non gli permetterò di fartelo credere mai più." Mormorò sapendo che tenerli lontani sarebbe stata la parte più difficile, Mickey portò la mano a coprire la sua, ne sentì il calore, ma non bastò a rincuorarlo. "Non voglio più stare così, Ian, io quei pensieri del cazzo non li voglio più fare." E intendeva proprio tutti quei pensieri, dal suicidio all'odio, non voleva nemmeno più scappare, ma aveva bisogno di più di una carezza per quello. "Domani andremo da Susan, okay? Lei non vede l'ora di rivederti e..." si interruppe quando la mano di Mickey tirò via la sua "Va bene, ma devo chiederti una cosa." La voce bassa pietrificò Ian "Cercherò un appartamento a poco prezzo, andrò a stare lì per un po'. Ho bisogno di tempo." Il cuore del rosso perse un battito "Perché vorresti..." Lo stava lasciando? Tutto quel discorso non era servito davvero a niente? La domanda successiva lo spiazzò, stavolta però sapeva la risposta, la sapevano entrambi.

"Mi aspetterai?"

"Aspetterò."


FINE.

Ho aspettato un po' per mettere questa parola perché in realtà non ero molto sicura che fosse davvero la fine, troppe cose lasciate in sospeso e a cui avrei voluto dare una soluzione. IL motivo per cui termino qui la narrazione è molto semplice: andare avanti sarebbe come forzare le cose. Perché nella vita non sempre le cose vanno come desideriamo e non sempre vi è un lieto fine, eppure ho voluto lasciare un finale aperto perché le parole di Ian sono vere, per me che le ho scritte e, spero, per voi che le avete lette. Quando due persone si appartengono la distanza non importa, le pause non importano, ci sarà sempre una qualche forza mistica che li riporterà l'uno nelle braccia dell'altro.

Ora ammetto che  io stessa odio i finali aperti che non portano da nessuna parte, ma stavolta credo sia giusto così. Ho iniziato questa fanfiction perché volevo ringraziare Mickey MIlkovich (e ovviamente Noel FIsher), so che sembrerà da pazzi, ma quel personaggio per me non è solo una finzione, un attore che interpreta un ruolo, ma qualcosa di più. Ho attraversato e, in realtà, sto ancora attraversando un periodo difficile, la mia vita è in un punto di stallo proprio come questa storia, e Mickey nel suo piccolo mi ha aiutato davvero tanto, il suo essere così mi ha ricordato me, il modo in cui ha affrontato i problemi mi ha fatto pensare che anche io potessi diventare così forte da fregarmene del mondo esterno. Volevo dargli il giusto finale proprio per questo e speravo vivamente che sarebbe coinciso con il mio giusto finale, ma non sarà così. E mi sono accorta che continuando ad allungare e aggiungere argomenti stavo solo cercando di aggrapparmi a lui per non cadere in un nuovo cambiamento, non andava avanti lui come non andavo avanti io. Mickey starà bene, Ian starà bene. Si ameranno e saranno felici e di questo ne sono più che certa. Anche io lo sarò, ma per esserlo devo iniziare ad accettare quei cambiamenti che avvengono costantemente nella mia vita e devo iniziare staccandomi da questa storia, dovrò allontanarmi anche da Mickey, pur tenendolo sempre stretto a me. 

Con la fine di questa storia, in conclusione, sto chiudendo un capitolo importante della mia vita e voglio ringraziare ognuno di voi per avermi supportato e sopportato, non sono una scrittrice, ma sapere che tante persone apprezzano il mio modo di scrivere e le mie idee, mi ha dato forza e mi ha spinto ad andare avanti a testa alta. Sto pensando di scrivere altre cose, in realtà, e se vorrete aiutarmi in questo ve ne sarò grata, anche se non vorrete comunque.

Grazie. 

E tanti salviacorni a tutti!

Aspetterò | GallavichDove le storie prendono vita. Scoprilo ora