Capitolo diciotto.

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Esher, 28 Maggio 2015

Il cielo sulle nostre teste é di un intenso celeste, e solo sulla base si intravedono dei batuffoli di nuvola dolcemente appollaiati all'orizzonte. Un venticello leggero riempie i nostri occhi di una tranquillitá e di una pace che fino a poco tempo fa mai sarei stato in grado di associare ad un posto simile. Ed invece eccomi qui, a sentire il mondo accarezzarmi la pelle, con la schiena contro un albero del giardino di una clinica, le mani affondate in un groviglio di idee e capelli, ed il cuore che suona una melodia che sembra poter superare le pareti del mio corpo e risuonare per il giardino.
"A cosa stai pensando?" Domanda Louis "Sento il tuo cervello muoversi da qui."
"In realtá mi stavo solo godendo il momento" faccio io in risposta "sai qualcuno anni fa mi insegnò a sentire la natura fin dentro il sangue” E davvero non riesco ad identificare con precisione il momento esatto in cui abbia iniziato ad ascoltarlo e a vivere il mondo, invece di rimanere solo spettatore, ma è grazie a lui che sono in grado di sentire ogni cosa, di assaporare il vento che mi scompiglia i capelli, il sole che attraversa il mio corpo, la musica che non deve rimanere solo strumento e voce, ma anche cuore e anima. E’ grazie a lui che mi sono reso conto che la vita non aspetta, che la vita va veloce e che sta a noi essere in grado di goderci ogni piccolo istante, ogni piccolo particolare, perché non ritornerà e non ci sarà mai più qualcosa di simile. E’ stato lui semplicemente ad insegnarmi a non aspettare il momento perfetto, ma a rendere perfetto ogni momento, e mi do dello stupido giorno e notte, perché in tutti gli anni in cui mi è stato vicino mi ha solo insegnato come dovevo comportarmi quando sarebbe andato via, ed io non l’ho fatto. Mi sono fatto prendere da paure e dubbi quando ogni istante insieme nascondeva un pezzo del puzzle che solo adesso mi sono deciso a mettere insieme. Perché mentre mi insegnava che la vista dall'alto è certamente bellissima, ma che è molto meglio essere lì sotto, lì in mezzo, dove tutto é grande, e puoi vedere ogni dettaglio, ogni momento, ogni vita aggrappata alla terra, lui stesso si aggrappava con ogni forza alla speranza di essere in qualche modo salvato non dal panorama, o dagli idoli, o dalle icone, si aggrappava alla speranza di poter essere salvato da me.
“Lo conosco questo genio?” ribatte ridacchiando e alzandosi per appoggiarsi alla mia spalla con la testa. Un genio tormentato come tutti quelli prima di lui, un ragazzino che mi ha dato le direttive per salvare l'uomo che sarebbe diventato, un genio che ha sparpagliato le incognite del suo essere nella vita di tutti i giorni di due ragazzini che non sapevano cosa stavano facendo, ma dovevano rimanere insieme.
“Oh un pazzo fissato con i telefilm, la moda e i ciliegi.” rispondo guardando l’uomo accucciato al mio fianco, paragonandolo al ragazzino che non riesco nemmeno ad immaginare quanti anni fa mi accolse al nostro solito posto con una sigaretta fra le labbra e un libro sulle ginocchia. Non ricordo quanti anni siano passati, non ricordo perché ci vedemmo lì quel giorno e non ricordo di certo cosa indossassimo, ma ricordo la sua espressione, i capelli in disordine, gli occhi stregati e cosa mi disse appena mi vide.
“Voglio fare con te, ciò che la primavera fa con i ciliegi” sussurra con gli occhi chiusi “lo ricordi ancora?”
“Se un poeta che parla di primavera ti farà venire i brividi” gli prendo le mani e lui mi guarda “significa che non morirai mai da solo.” Mi mordo il labbro inferiore con forza, perché quei momenti sono impressi a fuoco nella mia mente, e lui mi domanda se me ne ricordi. La forza delle parole, quelle stesse parole che mi hanno accompagnato durante i periodi bui, quelli dove lui non c'era, ed io avevo bisogno di un appiglio, e lo trovavo in quello che lui amava, in quello che lui ama. E i suoi ragionamenti, che velati svelavano le sue paure, le sue poesie preferite che cullavano e alimentavano al tempo stesso i suoi demoni, le sue speranze che si scontravano con quel muro d'acciaio che è la realtà agli occhi di un ragazzino.
"Non ti rendi conto di quanto tu sia importante per me, vero?" Domando con ancora le sue mani fra le mie. Come può ancora credere che io non gli voglia bene? Che per me sia un peso? Che per me non sia fondamentale? "Non ti rendi conto di come ogni tua parola sia parte di me stesso?"
"Come lo potrei credere Harry?" Scuote la testa e scioglie il nodo che le nostre mani avevano creato per accarezzarmi una guancia "Non potrei mai sperare che un fallimento come me abbia lasciato delle cicatrici sulla tua anima."
"Sei tu che non capisci" faccio chiudendo gli occhi e beandomi del suo contatto "eri il mio eroe Louis, lo sei tutt'oggi." Non capirà mai che quando battevo i piedi contro mia sorella, quando urlavo dietro mia madre, quando piangevo sotto il cuscino era sempre lui che mi veniva in mente, pensavo che cosa avrebbe fatto qui il mio Lou? E andavo avanti, con una cicatrice sul corpo forse, ma il sorriso nel cuore "Eri il mio appiglio il mio faro guida, la mia àncora." E sbaglio anche a parlare al passato, perché nonostante lui sia quello da salvare, é ancora e sempre la sua faccia che mi da la forza per alzarmi ogni mattina ed affrontare la nostra battaglia. "Sei sempre stato colui a cui aggrapparmi quando la quotidianetà diventa troppo grigia perché con il tuo azzurro riesci a spazzare tutto via." Si butta fra le mie braccia, trattenendo singhiozzi asciutti e riempiendomi di scusami e non ti merito, e di parole che non capisco, preda del fuoco che arde fra le nostre pelli che si toccano, e rimango quasi in apnea fin quando rialzando il volto, con gli occhi lucidi, l'espressione afflitta ma allo stesso tempo sempre fiera, sussurra quasi direttamente sulla mia pelle "Sei sempre stato la mia primavera e il mio ciliegio, ma é difficile ricordarselo quando nella propria vita non esistono più le mezze stagioni."




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