Capitolo 4.

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Se c'era una cosa che odiavo tanto di quella accademia era il fatto delle regole rigide. Le giornate non erano mai tutte della stessa durata: un giorno si finiva a orario di pranzo, un altro la sera alle sei. Ciò non mi permetteva di essere libero, e cosa peggiore non potevo assentarmi se non con un certificato medico. E pure quello già lo avevo sfruttato per Emily da pochi giorni, e il mio medico era contro a falsificarne un secondo. Quella mattina ero venuto a sapere, tramite il profilo facebook di Alisha, sorella di Emily, che la mia donna, perché quello era, avrebbe fatto l'esame di fine corso. Mi ero informato qualche settimana prima per capire se fossero stati esami aperti al pubblico, ma ahimè erano chiusi. Ma nonostante tutto mi ero promesso di andare a vederla all'uscita. Progetto ovviamente fallito, grazie alle lezioni extra di quel giorno sarei rimasto chiuso in quell'edificio fino alla sera.

Ci era pure vietato di usare i cellulari, ma io da bravo trasgressore quale ero, soprattutto nell'ultimo periodo, durante il pranzo che quel giorno avveniva all'orario di merenda -sempre per abituarci alla dura vita- cercai di non farmi beccare mentre controllavo nuovamente il profilo di Alisha in cerca di qualche novità. Ovviamente trovai un post di congratulazioni in cui aveva menzionato la sorella, ma non riuscii a leggere perché qualcuno picchiettò alle mie spalle.

«Parker, lo spionaggio non è visto di buon occhio dalla polizia. Alla prossima è fuori.» quello che ci controllava alla mensa mi aveva beccato.

Mi scusai e feci sparire il telefono all'interno della tasca. Per poi tirarlo nuovamente fuori una volta arrivato in macchina dopo le lunghe tre ore di psicologia. La mia Emily era ufficialmente entrata nella vigilanza. Lasciai un mi piace, anche se non avrei dovuto, e chiusi tutto.

Avevo sempre sperato di realizzarmi prima io di lei in carriera, e invece anche questa volta lei mi aveva superato. Mancavano ancora diversi mesi prima che io potessi indossare una divisa, e ogni giorno facevo la conta alla fine di quella tortura. Non vedevo l'ora di iniziare a fare qualcosa di più produttivo, ero stanco delle regole, delle lezioni spesso inutili, degli allenamenti, e soprattutto delle punizioni alle quali io ero spesso sottoposto. La mia testa calda non aiutava di certo.

Quella sera saltai la cena, troppo nauseato ancora dalla poltiglia che avevo mangiato per pranzo, e passai la serata sdraiato sul mio letto e con il computer sulle gambe, cercando qualche informazione riguardo all'incidente. Durante il corso avevo anche imparato un paio di tecniche da hacker. Senza dubbio tecniche severamente vietate da usare al di fuori di quelle lezioni, e soprattutto non per scopi privati, ma credo che ormai avete ben capito che tipo sono.

Dopo una ventina di minuti ero riuscito ad avere l'elenco dei possibili colpevoli, eppure nessuno aveva più del 50% di certezza. Era un ennesimo buco nell'acqua, e senza poter accedere ai filmati che erano in mano alla polizia non potevo nemmeno scartare le faccia innocenti da quelle possibilmente colpevoli. Deluso, dal mio lavoro da poco eseguito, sbuffai e chiusi tutte le pagine aperte.

Aprii una nuova pagina di Safari e mi distrussi a guardare le foto del profilo di Emily. Poi notai un post in cui era stata menzionata, uno dell'ultimo minuto. Lei si trovava in un locale poco distante da casa mia a festeggiare con un paio di colleghi.

In tempo record mi cambiai e fui in auto diretto a quel locale.

Arrivai senza perdere nemmeno troppo tempo nel traffico, e mi andai a sedere al bancone. Ordinai una birra e nell'attesa mi guardai intorno per trovarla. Era ad un tavolo, abbastanza distante da dove mi trovavo io. Fermai al volo il cameriere che stava passando, e gli ordinai un bellini.

«Vedi quel tavolo, in fondo vicino al paravento.» indicai, e lui annuì. «Devi portarlo alla ragazza col top bianco. Emily.»

«Chi dico che lo manda?» chiese il ragazzo

«Un amico. Non indicarmi, lei sa.» No, lei non sapeva , ma nemmeno il cameriere doveva sapere altro. «Aspetta.» lo fermai. Presi un tovagliolino dal dispenser e afferrai la penna che lui aveva attaccata al taschino della polo blu notte. Scrissi sopra: "Congratulazioni tesoro!". Lo consegnai e mi assicurai che lui lo consegnasse insieme al bicchiere. Lo osservai fino a che non fece la consegna e subito andò via senza dare spiegazioni.

Vidi lei leggere il bigliettino, e poi girarsi a destra e a manca per cercare di capire il mittente. Alla fine rassegnata lo bevve.

Finii anche io la mia birra e stetti lì a guardarla fino a che non la vidi alzarsi in piedi per andare via. Pagai e la seguii fuori. Poi ognuno per la sua strada.

Odiai tantissimo il non poter essere seduto con lei e i suoi amici. Avrei voluto farle passare una bella serata, festeggiare con lei anziché stare ad osservarla da diversi metri distanza, e a malincuore per non poterle stare accanto.


Quegli occhi verdi come la speranzaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora