Capitolo 20.

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Erano passati giorni, settimane ormai, ed io restavo chiuso in camera mia uscendo solo per andare in bagno, e quando avevo proprio fame per mangiare qualcosa. Saltavo tutti i pasti della giornata, così come saltavo il lavoro. Mi fingevo malato, e speravo con tutto me stesso che non mi mandassero dei controlli a casa che non avrebbero capito il mio stato. Ero davvero ammalato, di una malattia che nessun medico era capace di curare. Mi mancava, era come non avere ossigeno. Avevo anche finito le lacrime, insieme agli insulti che rivolgevo ai miei famigliari ogni qualvolta provavano ad interagire con me. Mi ero ridotto in uno stato pietoso, che nemmeno un esorcista sarebbe stato capace di tirarmi fuori.

Sentivo mia sorella urlare felice per l'inaspettata nevicata che si era abbattuta su Southport, e mia madre che continuava a ripetere di non ricordarsi dei fiocchi di neve da quando era bambina. In effetti io stavo vedendo la neve per la prima volta. La guardavo che scendeva oltre il vetro della finestra, e più la guardavo più mi intristiva. Non capivo cosa la gente ci trovasse di bello. Io amavo il sole della mia Southport, odiavo pure la pioggia che spesso si abbatteva su di essa. Smisi di guardarla e mi concentrai sul bianco del soffitto.

Sentii il suono del campanello dopo circa una quindicina di minuti, e captando qualche traccia della felicità di mia sorella nell'accogliere l'ospite immaginai fosse mia zia, dato il rapporto amichevole che avevano quelle due.

E invece appena la porta di camera mia si spalancò capii che l'ospite era per me.

Internamente sorrisi, esternamente restai freddo, proprio come il tempo lì fuori. La vidi coprirsi gli occhi con una mano dopo aver chiuso la porta, e lì per lì non ne capii il motivo.

«Scusa, non immaginavo... Ehm... Potresti coprirti?» disse in imbarazzo.

Abassai lo sguardo sul mio corpo e mi ricordai di essere solo con un paio di mutande addosso. Non mi curai di portare una coperta sul mio corpo, in fin dei conti lei mi aveva esplorato tutto, non c'era motivo di nascondermi.

«Smettila e togli quelle mani.» l'imbarazzo l'avrebbe abbandonata ben presto «Cosa ci fai qui?»

Tolse la mano, e quando mi guardò di nuovo arrossì. Evidentemente si aspettava che mi coprissi.

«Ti avevo detto che era finita.» aggiunsi, visto che lei non spiccicava parola.

«Sì, ed io diciamo che non ho capito bene cosa dovesse finire.» mi stava prendendo in giro, decisamente.

«Finire tutto, il fatto di vederci, di parlare... Quello precedente doveva essere il nostro ultimo incontro. Ma visto che sei qui allora sarà questo l'ultimo.» E invece avrei voluto alzarmi da quel letto e stringerla forte tra le mie braccia. Le ero grato per essere lì con me, ma il mio orgoglio non era dello stesso parere.

«Te lo scordi, tu non ti libererai di me.» Sembrava davvero decisa a non mollare questa volta.

«Ma perché dovremmo continuare? Tu non sai nemmeno chi sono. Ti servivo per sapere la verità e adesso la sai. Non vedo il motivo per cui continuare.»

«Per quelle per esempio.» indicò le nostre foto. «per queste» indicò le nostre facce, in quel momento davvero orrende. Io sentivo gli occhi gonfi, sicuramente contornati da occhiaie, e lei non era da meno. Non aveva pianto come avevo fatto io, probabilmente, ma era sicuro che non avesse chiuso occhio come me. «Tu stai male per questa assurda situazione ed io, pur non ricordandomi di te, sto male per lo stesso motivo.»

«Non voglio dover subire un arresto per stare con te.» ed ero un bastardo. Avevo detto ciò che mai nella mia vita avevo pensato. In quel momento ero disposto a stare con lei anche sotto tortura.

«Non succederà.» disse «Se solo avessi risposto ad una sola chiamata in questa settimana sapresti che non sei più in pericolo.»

«E secondo te ci credo... pff.» risi, forzatamente.

«Perché stavo insieme ad un idiota del genere?» Non lo so nemmeno io perché.

Continuò ad insultarmi. «Non capisco come con la tua stupidità ti abbiano fatto entrare in polizia.»

«Stammi bene a sentire» mi alzai dal letto, ormai infastidito, e la feci arretrare fino a metterla con le spalle contro il muro «Evidentemente non ero idiota, né stupido, quando stavi con me, quando ti scopavo, o quando ancora ti servivo per portarti in giro. Non ero un idiota quando ti riempivo di complimenti e di coccole. Non lo ero, no.» ero arrabbiato, e mi stavo sfogando. «E per quanto riguarda il fatto di entrare in polizia, se l'ho fatto è stato per te, per vendicarmi di quel bastardo che ha causato l'esplosione.» strinsi i pugni per la rabbia. «Io nella mia vita ogni cosa che ho fatto è stata per te. E al posto tuo non parlerei così quando non ricordi o non sai.»

Stette in silenzio per diversi secondi, e dopo provò a scusarsi.

«Vattene!» la cacciai via. Mi aveva ferito, anche se sicuramente non era sua intenzione farlo. In realtà mi aveva solo sbattuto la verità in faccia, ed io l'avevo presa un po' troppo sul serio.

Stava per uscire come le avevo ordinato di fare, quando invece la vidi tornare sui suoi passi.

Quegli occhi verdi come la speranzaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora