Capitolo 12.

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Quella sera tornando a casa ero tormentato da tantissimi pensieri, pensieri rivolti a lei ed a quei miseri cinquanta minuti che avevo passato in sua compagnia. Volevo solo passare più tempo possibile insieme a lei, fregandomene di tutte le conseguenze che potevano esserci a seguito. Finii per saltare la cena, inizialmente. Avevo lo stomaco chiuso, troppo agitato per pensare a quando avrei potuto vederla. Il natale era ormai giunto, mancava davvero pochissimo, e di conseguenza i turni lavorati suoi, così come i miei erano un po' sballati: colleghi che prendevano le ferie, chi assenti per malattia, e poi c'erano le emergenze di controlli e furti che aumentavano particolarmente.

Il giorno dopo era sabato, ed io volevo a tutti i costi passare del tempo con lei. Feci mente locale e per le 17 avrei dovuto essere libero. Presi il telefono, e senza pensarci le scrissi.

"A che ora finisci domani?"

Inviai, sperando che avesse ancora lo stesso numero, e che avesse salvato ancora il mio.

"Perché hai il mio numero ed io ho il tuo?"

Il cuore mi balzò in gola vedendo la sua risposta a soli pochi secondi di distanza dal mio messaggio. Sorrisi e non persi tempo a risponderle.

"E' così da molto tempo. Dimmi a che ora finisci"

"E' sabato quindi non prima delle 20"

"Passo a prenderti vicino casa tua alle 20.30 . Sii puntuale"

"Ok capo"

Risi per la sua ultima risposta. Mi rendeva felice con poco, e senza nemmeno rendersene conto.

Decisi di chiudere lì, e mi rilassai sul letto giusto un paio di minuti.

Sentii la porta d'ingresso, e dal baccano capii che mia sorella aveva fatto ritorno a casa. Mi alzai con l'intenzione di andare in salotto, e invece finii per entrare in cucina e prendere un pacco di patatine, dirigendomi poi in salotto. Mio padre era già andato a letto, mia madre guardava ancora un telefilm, e mia sorella, uscendo dal bagno con le ciabatte al posto delle scarpe, venne a sedersi sulla poltrona accanto a dove avevo preso posto io.

Come se quelle due pettegole avessero percepito la mia aura particolarmente positiva, puntarono i suoi occhi su di me, cominciando a fissarmi.

«Che c'è?» chiesi aprendo il pacchetto di patatine al formaggio.

«Mamma, anche a te manca qualche pezzo del puzzle?» Rieccole con il loro terzo grado pronto ad attaccarmi.

«Sì cara, manca un pezzo bello grosso.»

«Non vi manca proprio nulla.» cercai di farle placare, ma non ci fu verso.

«Joey!» mia madre mi richiamò «Parla!» mi impose, facendomi quasi pentire di essere uscito fuori dalla mia tana. Però in fondo le adoravo, erano la madre e la sorella perfetta che tutti vorrebbero avere.

«Ma davvero... non c'è nulla di che.» cercai di restare neutro «Stasera siamo solo stati quasi un'ora insieme, da soli, in macchina.»

«E questo è nulla?» mia sorella mi tirò un cuscino in faccia mentre io ridacchiai. A mia madre mancavano solo dei pompon in mano, le braccia già le stava agitando in modo grandioso.

«Certo che è nulla, perché domani sera passerò con lei molto più di una banale ora.» Se tutto sarebbe andato secondo i mie piani ci avrei passato l'intera serata insieme.

Quelle due pazze cominciarono ad urlare di gioia, mia sorella perfino mi saltò addosso abbracciandomi e facendo rovesciare il pacchetto col contenuto che tenevo in mano per terra.

«Che succede?» mio padre sbucò fuori dalla stanza da letto, visibilmente preoccupato dal caos che si era creato in quel divano.

«Joey domani uscirà con Emily.» mi sorella diede la notizia.

In realtà non sapevo cosa sarebbe uscito fuori, ma non era nemmeno un'uscita. Non sapevo come definirla precisamente. Ci saremo visti, avrei fatto nuovamente il cazzone, e chissà come sarebbe finita.

Mio padre stava per dire qualcosa ma il suono del mio telefono lo interruppe.

Spinsi via Valery e lo estrassi dalla tasca. Sbarrai gli occhi leggendo il suo nome.
Corsi a chiudermi in camera mentre tutti mi chiedevano conferma se fosse lei o meno.

«Non devi chiamarmi se qualcuno della tua famiglia o chiunque altro può sentirti. Chiudi subito la chiamata.» Risposi infastidito dopo aver trascinato il dito sulla cornetta verde che stava sullo schermo. In realtà ero tutt'altro che infastidito, ero felice, ma la preoccupazione di sua madre nei paraggi era molto alta.

«Sapevo si rispondesse con pronto. E tranquillo sono in garage da sola.» al solito mi fece sorridere.

«Sta diluviando ed è tardi. Dovresti essere a letto. Cosa stai combinando?»

«Perché sei tu l'intestatario della mia moto e non me lo hai detto?» fu diretta.

Volevo saltare di gioia, improvvisare un balletto stupido, ma mi lanciai solamente sul letto in modo poco delicato. Ecco dove volevo arrivasse, ma non volevo lo facesse nel bel mezzo di un diluvio a tarda sera.

«Perché la tua moto in realtà è mia.»

«Perché?» chiese dopo alcuni secondi di silenzio.

«Non è importante saperlo. Tranquilla, puoi tenerla. C'è un motivo se l'ho lasciata nel tuo garage.» stavo cominciando nuovamente a parlare più del dovuto.

«Non capisco.»

«Non devi capire, non ora.» era giusto così, forse «Adesso va' a dormire e non dire a nessuno di questa cosa.» chiusi la chiamata, forse un po' troppo in fretta. Avrei voluto restare a telefono con lei anche tutta la notte, se solo la situazione fosse un tantino diversa.

Quegli occhi verdi come la speranzaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora