Capitolo 1.

367 24 1
                                    

Anche quella mattina, come da routine ormai da mesi, uscii di casa, pronto per andare all'accademia. Era passato molto più di un anno dall'ultima volta che avevo baciato la mia ragazza, esattamente 19 mesi. Dio solo sa quanto mi mancava farlo, quanto ci stavo male. Male non tanto per i baci mancati, ma più per il fatto che lei si fosse dimenticata completamente di me.

Il giorno che lei si risvegliò in ospedale e il medico ci avvisò di una piccola amnesia temporanea, beh, pensai alla qualunque, ma che mai si sarebbe dimenticata di me. E invece quella amnesia sembrava essere solo e unicamente collegata a me. Ricordava tutto tranne gli anni passati insieme. Non ricordava i due anni in cui eravamo stati insieme. Ricordava tutto il resto della sua vita, ma in quella sua vita aveva eliminato la mia presenza. Come se io fossi stato solo uno di quei sogni di cui il giorno dopo, una volta svegli, nemmeno si ricorda.

Mi viene in mente quando a 18 anni la conobbi. Lei era una ragazzina di soli 14 anni, così impacciata e buffa che finì per inciampare e rovesciarmi sulla maglia il frullato che aveva appena comprato al chiosco che stava sulla via. Quella mattina ero diretto al negozio di fiori per il mio primo giorno di lavoro, giusto per tenermi impegnato durante i mesi estivi prima dell'inizio del college. Ricordo che stavo per cantargliene quattro, infuriato per avermi rovinato quella giornata, ma restai imbambolato da quei due occhi da cerbiatta verdi con qualche ramatura di un bel nocciola. Lasciai che si scusasse e accettai anche, senza accorgermene, le sue scuse. Finimmo per andare a comprare una maglietta insieme e lei si propose di riportarmi la mia come nuova. Lì la salutai lasciandola con la mia maglietta, e arrivai in ritardo al mio primo giorno, immaginando di non rivederla mai più. E invece due giorni dopo la vidi entrare in negozio con una busta contenente la mia maglia pulita e profumata. Lì iniziò il nostro percorso di amicizia. Io e la cerbiatta eravamo diventati inseparabili. O così si sperava. Il resto diciamo che lo conoscete un po'.

Tornando a noi, la scelta più imbecille ed "egoista" che potessi fare fu quella di giurare a sua madre che non l'avrei cercata fin quando Emily stessa non si fosse ricordata di me. Il tutto solo perché minacciava la mia libertà. Lì per lì accettai, perché il dottore aveva parlato di un problema temporaneo, quindi immaginavo che lei si sarebbe ricordata di me in poche settimane, massimo mesi. Ma dopo 19 mesi, la situazione non era cambiata.

Giurai vendetta contro il colpevole dell'incidente se Emily non fosse tornata quella di prima. E dopo soli sei mesi di attesa, non venendo a sapere di nessun miglioramento, ne di un nome sul presunto colpevole, presi la decisione che avrebbe soddisfatto la mia sete di vendetta: entrare in polizia.

Le indagini erano ferme, o comunque riservate, e l'unico modo per rendermi utile era quello di entrare nell'arma. Abbandonai il college che ormai frequentavo saltuariamente e senza alcuna voglia, e mi iscrissi in accademia.

Era dura, ogni giorno sempre di più, ma avrei raggiunto il mio obbiettivo. Io avrei fatto giustizia all'amore della mia vita, e sì, anche a mia madre, visto che ahimè era stata coinvolta in quell'episodio finendo per passare il resto dei suoi giorni su una sedia a rotelle.

«Oggi condivideremo la palestra con i ragazzi del corso di vigilanza.» udii, da parte del nostro istruttore, la precedente frase non appena con i miei colleghi di corso entrammo nella palestra dell'accademia per l'allenamento settimanale.
Questo voleva dire una sola cosa: lei.

Quegli occhi verdi come la speranzaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora