Capitolo 15.

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Avete presente quelle quattordicenni eccitate all'idea di uscire per la prima volta con il ragazzino per il quale hanno una cotta secolare? Ecco, sono nulla in confronto a come ero io quel giorno. Niente ceretta, niente unghia da smaltare, niente vestito da scegliere, questo ovvio, ma l'agitazione, quella sì che era presente in tutte le sue forme. Un uomo di 27 anni che fremeva all'idea di dover passare la serata con la donna che tanto amava. Per certi aspetti mi vergognai pure di me stesso quella volta, ero proprio diventato una ragazzina. E mia sorella che urlava e saltellava con me in giro per casa era una cosa davvero inguardabile. Mia madre era felice, ma vederci comportare in quello strano modo, soprattutto al sottoscritto, la lasciava visibilmente confusa. Mio padre, beh, nel suo giorno libero aveva optato per scappare fuori casa, lontano da due pazzi come noi.

Quella sera, prima di vedermi con lei passai un'oretta con dei miei colleghi che mi avevano invitato per scambiarci gli auguri e bere qualcosa, e vedendo che la cosa andava per le lunghe la avvisai di un mio ritardo. Ma dopo subito dieci minuti scappai via da lì, ormai stufo di aspettare per fare gli auguri ai ritardatari. Lei era più importante senza ombra di dubbio.

Verso le 21.15 fui davanti casa sua. Non appena mise piede dentro l'auto le spiegai il mio ritardo, scusandomi ancora una volta.

«Tranquillo, non devi darmi spiegazioni.» mi sorrise osservandomi.

«Beh... credo sia giusto farlo.» lo ammetto, ero un po' in imbarazzo.

Lei mi rassicurò a riguardo, e quando le chiesi se sua madre avesse fatto storie restai stupido dalla sua risposta. Aveva inventato una scusa mettendoci di mezzo il lavoro. Che dire, era una grande. Evidentemente aveva in me più interesse di quel che voleva lasciar credere.

«Non andiamo in spiaggia stasera?» domandò quando vide una strada per lei nuova.

«No. Ho pensato di andare a casa mia, per mostrarti alcune cose oltre che per stare al caldo e in comodità.» E bene sì, avevo deciso di fare qualche passo avanti. Ormai non mi importava più nulla se non di lei. Al diavolo le indagini, il mio obbiettivo di trovare un colpevole, al diavolo il lavoro, al diavolo la paura, al diavolo sua madre, al diavolo tutto. Volevo solo lei e me la sarei ripresa senza lasciarmi influenzare dal resto.

«Vivi da solo?» Era decisamente curiosa, ma la trovavo una cosa normale, in fondo credeva di non conoscermi.

«No, vivo con i miei genitori, ma stasera sono da alcuni parenti, torneranno molto tardi.» spiegai. Arrivammo davanti al palazzo dove ero nato e cresciuto, e, dopo esser scesi dall'auto ed essere investiti dal gelo che aveva preso di mira la città, le feci strada salendo fino al primo piano. Aprii la porta, pronto a farla entrare nella mia vita, nuovamente. E invece restai bloccato alla vista dei miei che stavano per uscire. Farle incontrare i miei proprio quella sera non era di certo nei miei piani.

«Credevo foste già andati via.» dissi dopo qualche secondo di esitazione.

«Stavamo andando adesso.» rispose mio padre spingendo in avanti la carrozzella con mia madre sopra. Mi spostai indietro e li lasciai passare.

Mi voltai di scatto con la testa alle mie spalle quando sentii un «Buonasera» uscire dalla labbra della mia ragazza. Ero stato talmente preso dal piccolo inaspettato che avevo dimenticato di presentarglieli. Anche se per me non ce n'era poi così tanto bisogno.

«Ciao Emily.» mia madre come sempre andò al sodo senza fingere nulla. Era una donna molto diretta per certi versi. Emily mi guardò notevolmente confusa. Non ebbi nemmeno il tempo di aprire bocca che mia madre fece tutto da sé. «So che non ti ricordi di me, sono Ruth, eravamo insieme al servizio civile.»

Annuì. «Mi dispiace, non ricordo di lei, mi scusi tanto. Ma è comunque un piacere fare nuovamente la sua conoscenza.»

«Non preoccuparti, adesso noi andiamo, vero Ronnie?» strattonò il braccio di mio padre per farlo muovere.

«Certo, buona serata e buon natale Emily.» la salutò anche lui.

«Buon natale anche a voi.»

Loro presero l'ascensore mentre noi ci infilammo in casa dove la temperatura era decisamente gradevole, a differenza dell'aria che era piena di tensione e disagio.

«Scusa, mi dispiace davvero tanto. Non immaginavo fossero ancora qui, devi esserti sentita in imbarazzo.» mi scusai entrando in cucina. L'imbarazzo era stato pure mio in quel momento. Non sapevo decisamente come spiegare il fatto che i miei la conoscessero. Non volevo inventare una scusa e mentirle, per cui fui grato a mia madre per averle dettl la sua mezza verità.

«Beh un pochino sì, lo ammetto. Ma non fa niente.»

Provai ad offrirle qualcosa, era la vigilia ed io non avevo pensato a preparare una cena o qualcosa, ma potevo rimediare se solo lei avesse acconsentito. E invece rifiutò gentilmente tutte le mie proposte del menù. A differenza sua, io, optai per prepararmi un bel panino. Volevo smaltire completamente quel poco d'alcol che mi circolava in corpo, ed un panino con un bel bicchiere d'acqua frescs mi sembrarono l'ideale.

«Joey?» mi sentii chiamare mentre ero intento a sciacquare le mani.

«Dimmi Emily» la guardai.

«Non posso più aspettare, perché non ricordo tua madre ne le altre persone del servizio civile?» andò direttamente al punto, e potei notare la sua difficoltà nell'ammettere una delle tante domande che sicuramente la tormentavano. 

Quegli occhi verdi come la speranzaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora