Capitolo 7.

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I giorni sembravano passare sempre più veloci, d'altronde è sempre ciò che succede quando si vive qualcosa di piacevole. Ogni giorno lo passavo più ad osservare lei che a fare tutto il resto. Il mio turno era stabile sempre in quel luogo accanto al semaforo, che puntualmente era rosso al suo passaggio e la costringeva a fermarsi davanti ai miei occhi. La guardavo, sempre, e nonostante non potessi vedere i suoi occhi per via del casco integrale sapevo quanto le dessi fastidio.
Le avevo scattato tantissime altre foto, tutti in omenti in cui lei sorrideva.

Quel giorno invece era andato avanti davvero lentamente, quasi l'orologio sembrava fare uno sforzo con la lancetta dei secondi, rallentando di conseguenza anche quella dei minuti e delle ore.
Non so per quale assurdo motivo, quella mattina il posto di blocco era stato spostato in un altro punto della città, e di conseguenza non avevo avuto l'opportunità di vederla. Anche l'orario si era prolungato fino a metà pomeriggio, lasciandomi bloccato in centrale a sgobbare anziché andarla a trovare ai mercatini.

Ero triste, parecchio. Il non vederla mi portava dentro tanta di quella malinconia da annerire tutta l'atmosfera che mi circondava. Tendevo ad essere nervoso ed irritabile, e forse esageravo pure, ma non riuscivo a fare altrimenti. Quella sera me l'ero persino presa con mia sorella, che mi aveva imposto di fare la spesa al posto suo, perché troppo impegnata a ripassare per l'esame che avrebbe avuto il giorno dopo. L'avevo mandata a quel paese senza pensarci su troppo.

Entrai al supermercato, accompagnato dal mio alone nero, e afferrai un cestino rosso in malo modo, tant'è che una commessa mi fulminò. Ma chi se ne fregava di lei e del suo sguardo minaccioso, l'avrei potuta far fuori solo dicendole un'insignificante e inutile sillaba. Iniziai a buttare malamente nel cestino tutto ciò che citava la mini lista che avevo in mano, e finii per ritrovarmi davanti il reparto ortofrutta. Avrei dovuto prendere della frutta e dell'insalata, e invece nemmeno il sacchetto vuoto riuscii ad afferrare. Lei era lì davanti a me.

Sorrisi interiormente. Vederla quando invece avevo già previsto di andare a letto immaginandoli soltanto i suoi occhi per quel giorni mi fece stare un po' meglio. Restai fermo ad osservarla prendere degli avocadi e metterli dentro al sacchetto che poi non riuscì a chiudere. Aveva alzato lo sguardo scontrandolo col mio. Verde e azzurro che si fondevano. Restammo a fissarci, l'un l'altro, per pochi secondi che invece erano diventati minuti: l'orologio aveva deciso di correre proprio quando non doveva. Poi sbuffò e si avvicinò alla bilancia per stampare lo scontrino, mentre io la seguivo con gli occhi. Buttò il sacchetto nel carrello e tornò a guardarmi, ma questa volta non era incantata come pochi attimi prima, era piuttosto infastidita.

«Cosa c'è?» chiese con quel fastidio che mi uccise dentro. Era proprio una giornata no quella, ed ora lo era totalmente. La guardai con un velo di rabbia che traspariva dal mio volto, ma non era rivolta a lei. Era più rabbia verso sua madre che aveva rovinato la mia vita, e verso me che l'avevo lasciata fare indisturbata.

Sua sorella Alisha si materializzò al suo fianco e mi salutò con un ciao, che io ignorai scappando via. Lasciai perdere pure la spesa e mi rifugiai in macchina.

«Fanculo!» urlai sbattendo le mani e la testa sul volante. Odiavo quella situazione, diventava ogni giorno sempre più insostenibile, e il fatto di cominciare ad averla faccia a faccia e finire sempre per parlarci in un modo o nell'altro, ecco... non aiutava affatto. Forse era meglio quando la osservavo soltanto da lontano.

Ritornai a casa, ed entrai sbattendo rumorosamente la porta, lanciando le chiavi in malo modo sul mobile all'ingresso. Mi madre mi guardò contrariata, e mia sorella uscì allarmata dalla sua camera.

«E la spesa dov'è?» domandò vedendomi senza alcuna busta in mano.

La ignorai e andai a chiudermi in camera. Avrei solo voluto buttarmi sul letto e piangere come un bambino, ma non lo facevo, non volevo abbattere il muro che avevo costruito. Non volevo distruggere la forza che mi ero imposto di avere.

«Joey!» mi richiamò. E poco dopo fece irruzione in camera.

«Esci!» le urlai contro. «Subito!» continuai, ma lei non era intenzionata ad ascoltarmi. E come se ci fosse una riunione di famiglia, in quella stanza arrivò anche mia madre. Mancava solo mio padre che per fortuna era ancora a lavoro.

«Cosa succede?» mia madre parlò.

«Niente, andate via.» camminavo avanti e indietro per la stanza, e loro mi stavano solo irritando maggiormente.

«Cosa è successo con Emily?» fece bingo, come sempre.

Sospirai sedendomi sul letto, ormai arreso dal fatto che se non avessi parlato quelle due non si sarebbero smosse da lì.

«Succede che... ve l'ho tenuto nascosto, ma io e lei...»

«Oddio siete tornati insieme.» mia sorella fece ipotesi del tutto errate. Sarei stato una bomba di energia positiva se solo anche lei si fosse improvvisamente ricordata di me, figuriamoci se ci fossi tornato insieme, avrei saltato in aria due metri.

«No. Abbiamo solo parlato, ma non parlato di noi.» mi strofinai le mani sul viso, non sapevo come spiegare. «Abbiamo solo scambiato due inutili chiacchiere, prive di significato.» non saprei nemmeno era possibile definirle così. «Ed è partito tutto da me, e sembra che ogni giorno finisco per avvicinarmi di più a lei. La seguo e osservo più di prima, sempre più da vicino, e se capita finisco per dirle qualche banalità.» continuo raccontandogli anche di quando l'ho fermata di proposito. «Mi manca. Solitamente dopo tre anni ci si arrende e si va avanti, e invece io non riesco a farlo. Continuo a star male sognando di riaverla indietro un giorno o l'altro.»

«Non credi sia meglio non vederla? Non fare più nulla di tutto ciò che fai se ti fai solo del male.» disse mia madre, ed io non ero per niente d'accordo.

«Mi faccio più male se non la vedo.» risposi.

«E allora continua a lottare.» uscì dalla stanza.

«Lotta, e continua a parlarle se ti capita.» disse mia sorella sedendosi accanto a me e abbracciandomi «Se quella stronza di sua madre le nasconde la verità tu fai il possibile per guadagnare la sua fiducia, e fattela amica. Ricorderà se la aiuterai in segreto. Falle visitare luoghi vostri, falle ascoltare canzoni vostre, falle fare tutto ciò che vi riguarda senza dirle nulla, e lei finirà per ricordare.» mi consigliò «Doveva essere una cosa temporanea, ma senza un input questo temporaneo finirà per diventare permanente.»

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Passate a dare un'occhiata alla mia nuova storia: KEMP.

E passate anche da @graydarkrose e la sua storia Bedlam [h.s].

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