Capitolo 8.

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Domenica mattina, altra mattinata ai mercatini, forse pure più caotica del solito. Diciamo che la giornata era partita pressoché al meglio, avevo visto Emily come sempre, mi ero fatto qualche risata e sembrava a posto così. Ma quando dopo le 9 cominciai a vedere il traffico aumentare sempre più mi venne voglia di scappare via. Dovevamo avere l'occhio molto più vigile del solito, e cercare di controllare quanti più passanti possibili. Ero arrivato all'ora di pranzo che non reggevo proprio più. Dovevo continuare a lavorare fino al primo pomeriggio, e fortunatamente intorno alle 13 riuscimmo a prendere una mezz'ora di pausa per un caffè. Avevo fissato a mente i consigli di mia sorella, per cui ogni giorno cercavo di metterli a punto, ma fino ad allora non ero riuscito a farlo sul serio. Quel giorno però sembrava essere quello giusto.

Andai al solito bar per la mia pausa, e caso volle che anche lei facesse pausa nello stesso momento. Avevo appena finito il caffè quando decisi di soffermarmi un altro paio di minuti lì fuori. La vidi arrivare, e allora mi misi di lato in modo da poterla fermare senza che lei si accorgesse della mia presenza prima che la afferrassi. E così feci, uscii subito dal mio rifugio e le afferrai il polso attirandola a me.

«Ma che diamine..?» si lamentò prima di accorgersi di me. Mi guardò malissimo dopo avermi messo a fuoco, ma andava bene così. «Ma sei impazzito? Per poco non mi facevi sbattere la testa.» mi urlò contro, ed io, in modo poco gentile la misi con le spalle al muro, bloccandola poi con il mio corpo davanti al suo. Non mi passò nemmeno per la mente che lei avrebbe potuto stendermi a terra con una sola mossa, eppure non ci fece nemmeno la prova.

«Magari ti riparte la memoria.» gli dissi con tono arrabbiato. Non era quello l'intento. Avrei voluto parlarle in modo normale, pacato, possibilmente gentile, e invece stavo dando il peggio di me senza volerlo.

«Cosa stai dicendo?» era confusa.

Non sapevo cosa risponderle, come giustificare quella frase, per cui cambiai discorso. «Chi ti ha detto di darmi del tu?»

«Mi sono stufata di te e nemmeno ti conosco, sei così odioso, antipatico e prepotente che non vedo perché dovrei essere cortese nel parlarti. Tu infondo non lo fai.» Mi aveva colpito un'altra volta. Involontariamente le strinsi il polso che ancora tenevo con la mano. Le stavo facendo male, ma se non fosse stato per il suo lamento non me ne sarei reso conto.

La guardai dispiaciuto allentando la presa. La osservai in silenzio. Osservai ogni segno, ogni lineamento del suo viso, finendo per perdermi dei suoi occhi. Poi cominciai ad accarezzarle le guance che tanto avrei voluto baciare. La vidi provare a ricambiare il gesto -nonostante la paura che le incutevo lei ci provava a fare qualche passo verso me, sicuramente guidata dal suo inconscio-, ma finii per bloccarla.

«Non permetterti di toccarmi, solo io posso farlo.» questa volta ero sicuro di cosa dicevo. La volevo vicino, ma se lei mi avesse anche solo sfiorato io avrei finito per baciarla, e non potevo.

«Non ti ho dato il permesso.» rispose. E se la mettiamo alla pari lei aveva anche ragione.

«Ho detto: solo io posso farlo.» mi ritrovai involontariamente a stringerle nuovamente il polso. Mi facevo schifo da solo. Non ero quel tipo di uomo, eppure la rabbia che mi provocava dentro tutta quella situazione mi portava a far uscire un parte oscura di me che non avrei mai pensato di avere.

«Ok, ho capito. Ma ti prego, lasciami, mi fai male.» mi supplicò.

Allargai immediatamente la stretta, e mi ritrovai ad accarezzarla ancora, forse pure più dolcemente di prima. Era una modo per chiederle scusa, per chiederle perdono dei miei orrendi atteggiamenti.

«Emy.» la voce di un bambino in lontananza che la chiamava mi fece sbuffare. Avevo capito che avrei dovuto allontanarmi, e forse era pure giusto così.

Mi avvicinai al suo orecchio, e prima di andare via le sussurrai: «Non finirà qui, non questa volta.» Questa volta non sarebbe finita davvero. Avrei rimediato a tutto, dovevo solo provare a calmare la rabbia, anche perché lei non c'entrava nulla, non era colpa sua e non meritava un trattamento così indecente da parte mia.

Quegli occhi verdi come la speranzaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora