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conversazioni sconnesse (il narrastorie)

— mi devi perdonare, ma, quando parlo, finisco sempre per aprire quarantotto parentesi».

«ma no che non ti perdono!... se ne apri quarantotto, di parentesi, vuol dire che ne hai quarantotto, di storie da raccontare... e, dico io, mica male, no?».

«hai ragione; è che mi piaceva quando spegnevi la luce grande e parlavi poco — mi dicevi che quando amavi preferivi non essere loquace... e niente, mi sarebbe piaciuto anche se fossi rimasto — ma mi dicevi pure che quando amavi tanto, poi preferivi andartene prima, sennò si faceva troppo tardi [e questa cosa andava bene, veramente; però poi, dopo un po', il cuore me l'ha spezzato]...»

sta in silenzio, il groppo in gola — e mi dico che forse sta inseguendo i fantasmi e i mulini a vento di quello che è stato il nostro insipido passato prossimo.

(sensi di colpa, segni del tempo)

e quindi chiedo: «come prima parentesi t'è piaciuta? dici che può andare?».























nota: [ti meriti un amore che sappia di poesia e di caffè].

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