Dodici, o forse tredici?
Rossella aprì gli occhi pesanti lasciando che si abituassero pian piano al sole che filtrava dalle tende. Non sapeva da quanti giorni aveva smesso di fare quell'incubo ricorrente e, nel suo cuore, non riusciva nemmeno a spiegarsi come ci fosse riuscita. Semplicemente, una notte James non era più venuto a trovarla e da allora non si era più fatto vedere. Tuttavia, erano ricominciati la tachicardia e il fiato corto ogni volta che usciva dalla propria camera.
Come se fosse tenuta a freno da un masso di svariati chili, si alzò tirandosi su a sedere sul letto. Anche se erano passate quasi due settimane dal rientro a casa, continuava a non sembrarle vero di essere davvero lì: lasciò che lo sguardo spaziasse sul mobilio art-decò e sull'enorme finestra. Un tenue sorriso amaro spuntò immediatamente al contatto visivo con il mazzo di rose arancioni appoggiato al davanzale. Certo, non erano belle come quelle che aveva comprato Andrew per lei, ma glielo ricordavano comunque. Glenys era stata dolcissima a prendergliele senza dirle nulla.
"L'altra volta le guardavate con sguardo così incantato che non ho potuto fare a meno di prendervele, signorina." Le disse con tono materno mentre gliele porgeva, ancora incartate. Rossella dovette trattenersi dal piangere e, senza pensarci, le si buttò al collo cingendola in un caldo abbraccio.
Non avrebbe saputo come ringraziarla a dovere quella volta, perché, con un gesto così banale, l'aveva resa felice come lo era stata poche altre volte.
Un sospiro profondo e scese dal letto, avvertendo la stanchezza prendere possesso delle ginocchia che tremolarono appena, mentre avvertiva il contatto con il tappeto sotto ai piedi. Fuori il sole splendeva radioso, rendendo l'atmosfera ideale per una passeggiata lungo un viale come quello di Santa Clara, peccato che non avrebbe potuto andarci da sola come un tempo. No, si era giocata quella carta andando appresso a Andrew: era stata una lunga serie di sbagli, sbagli che non avrebbe commesso se solo avesse accettato subito il suo destino. L'idea di dover abbandonare la propria casa per andare a stare in un'altra dove sapeva si sarebbe sentita fuori posto, era un peso enorme da poter sopportare e non le avrebbe sicuramente reso più facile la vita sapere che Louis si sarebbe preso cura di lei. Sì, in fondo era stato gentile l'ultima volta che lo aveva visto... ma ciò che era successo nell'ultimo mese avrebbe cambiato la percezione che lui aveva di lei? Senza accorgersene, il sorriso che aveva assunto poco prima si appiattì, fino ad incurvarsi in una linea convessa di labbra screpolate.
Si mosse per inerzia fino all'armadio, da cui trasse un abito floreale leggero e dai colori verdastri. Lo guardò apatica e, quando se lo infilò addosso, scoprì con amaro stupore quanto le stesse largo rispetto all'estate precedente. Si posizionò di fronte allo specchio, iniziando a intrecciare i capelli ramati con distrazione e tenendo costantemente d'occhio il proprio riflesso sulla lastra argentata: non c'era più una persona a guardarla, quanto piuttosto un manichino di fattura scadente rovinato dallo stress psico-emotivo, dall'alcol, dal malessere che le attanagliava lo stomaco ogni giorno sempre di più... era come vivere sull'orlo di un baratro, dove le sarebbe bastato il minimo disequilibrio per cadere di sotto. A volte, in rari momenti, prima di dormire sperava che quel passo fosse a portata di mano per porre fine a tutto quello che stava passando.
Finita la treccia simulò quello che più avrebbe potuto assomigliare a un sorriso, invano e si diresse verso le scale che conducevano alla sala da pranzo, dove la stava aspettando tutta la famiglia.
Avrebbe potuto farcela, le cose sarebbe andate bene, sarebbe stata bene con Louis.
Forse lo ripeteva per sopravvivere al proprio peso emotivo, ma non ci stava riuscendo granché bene e se ne accorse nel momento stesso in cui incrociò lo sguardo penetrante e duro di Ronald, seduto a capotavola con accanto le altre due donne della famiglia. Una forte tensione aleggiava nell'aria e la si poteva percepire anche solo rimanendo fermi e immobili. Elizabeth stava delicatamente spalmando della marmellata su una fetta di pane, mentre sua madre girava il the fumante in una tazza di porcellana bianca, entrambe in silenzio e con lo sguardo basso. Di Glenys, invece, non c'era traccia anche se si sentiva una sorta di nenia in francese provenire dalla cucina. Il rumore indistinguibile della domestica intenta a cucinare.
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L'odore pungente del legno nero
Historical Fiction1931: Chicago è una città ormai preda del crimine organizzato e i pochi banchieri che sono sopravvissuti al crack finanziario, avvenuto poco più di un anno e mezzo prima, cercano di tirare avanti con qualsiasi mezzo. Ronald Ashworth è uno di questi...