capitolo 8

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Ad
Squilla il cellulare e tasto il comodino per cercare di prenderlo ad occhi chiusi.
Una volta, una caspita di volta che riesco ad addormentarmi senza troppa difficoltà e mi chiamano nel cuore della notte.
I polpastrelli della mano trovano il cellulare che continua a vibrare e fare baccano.
La suoneria mi piace, ma non è mai carino svegliarsi in questo modo.
Non leggo nemmeno il nome di chi mi ha chiamato, porto direttamente il telefonino all'orecchio.
Ho la voce di una che si è appena ripresa da un coma.
«Pronto?» sbadiglio.
«Adelia?»
Una voce calda e maschile proviene dall'altro lato della linea, ma non capisco a chi appartiene.
Ho ancora lo sguardo e la mente appannata dal sonno, non realizzo i fatti immediatamente.
«Chi» sbadiglio di nuovo «Chi parla?»
La persona sbuffa, credo si sia irritata.
«Sono Drake.»
Spalanco gli occhi.
Cosa vuole a quest'ora?
Riguarda Shawn per caso?
«Drake, che cosa vuoi?»
Sono preoccupata.
Se mi ha chiamato lui, allora deve essere accaduto qualcosa di grave per forza.
«Devi venire alla festa.»
Apro la bocca ma la richiudo, venendo interrotta dalla sua frase successiva.
«Shawn è ubriaco e io non ho la macchina.» sospira, sembra esausto.
Lascio cadere la testa sul cuscino e chiudo gli occhi.
Ho un sonno pazzesco.
Non posso lasciare Drake da solo quando ha bisogno di me,insomma non siamo amici
ma qualsiasi cosa siamo, non me la sento di dire di no.
Sospiro.
«Arrivo.»
Sono delusa.
Shawn mi aveva detto che non ci sarebbe andato.
Si è pure ubriacato.
Fantastico.
Drake, invece, mi è sembrato molto strano.
Non lo so più... umile.
Ma non diciamo cazzate, stiamo parlando di Drake.
Il suo orgoglio deve essere sotto le suole delle scarpe per dover ricorrere al mio aiuto.
Non mi ha nemmeno chiamato "biondina", quindi è una cosa seria.
«E Columbia St»
Drake, con il suo solito tono da Drake, si limita a riferirmi l'indirizzo per poi chiudermi il telefono in faccia.
Tante grazie,stronzo.
Guardo l'ora: 2.57 del mattino.
Tiro un lungo sospiro e mi vesto con un paio di jeans neri, delle scarpe da ginnastica e una di quelle felpe enormi, che saranno il doppio della mia taglia, ma sono comode e calde.
Prendo le chiavi della macchina ed esco con ancora l'impronta del cuscino sulla guancia.

La mia Ford Mustang Cabriolet del '96 non mi delude mai e in un batter d'occhio, sono davanti alla villa indicata da Drake.
Era di mio zio Trevor, il fratello di mio padre.
Se n'è andato dopo tre anni dalla morte di mio padre per un tumore ai polmoni.
Fumava anche tre pacchetti di sigarette al giorno.
La morte di papà lo ha distrutto, tanto che ha pensato bene di raggiungerlo il più presto possibile.

Chiamo Drake, che mi risponde dopo il secondo squillo.
«Sono qui fuori.»
Lo informo.
Non risponde, ma chiude la conversazione.
Sta calma Ad, sta calma.
Spengo il motore e rimango nell'auto finché non vedo arrivare Drake che trasporta letteralmente Shawn sulle spalle.
Mi affretto ad uscire dalla vettura e ad aprire la portiera posteriore.
Ti prego, fa che non mi vomiti in macchina.
Shawn ride come un bambino a cui hanno appena raccontato una barzelletta squallida, ma che lo diverte come un matto.
«DAMMI UN BACIO, SOLO UN BACINO DRAKE!!!»
Cavolo, è ubriaco fradicio.
Non si regge in piedi.
Drake lo fa sedere sul sedile e chiude la portiera.
Ci guardiamo e per un nano secondo avverto un sorriso di gratitudine.
Nah.
Torno al volante e lui si siede accanto a me, mantenendo la bocca cucita.

Shawn dorme e mi sta sbavando sul sedile.
Che schifo.
Domani lo laverò con doppia dose di candeggina.
Anzi,oggi. Ormai sono le 3.30 passate.
«Quanto diavolo ha bevuto?»
Non ce la faccio a starmene zitta senza nessuna spiegazione.
«Non lo so, so solo che era in bagno con una bottiglia di vodka pura in mano.»
Drake tiene lo sguardo fisso sulla strada e scuote la testa in segno di disapprovazione.
Pensavo fosse Shawn quello responsabile dei due, ma evidentemente mi sbagliavo di grosso.
«La vodka é la peggiore.»
Mi esce quella frase senza pensarci due volte e mi do' uno schiaffo mentale.
Chiudo gli occhi per un attimo, per ricordare a me stessa come a volte possa essere tanto stupida.
Parlo come una che beve come se non ci fosse un domani.
«Sei così esperta?»
Quasi ridacchia, ma almeno non è più tanto strano.
È la prima volta che mi guarda senza malizia o cattiveria negli occhi.
Sorrido e mi volto verso di lui.
«Ehi, che cos'hai sulla faccia?»
Mi volto di nuovo verso la strada. Non c'è in giro nessuno, tutto è tranquillo e sereno.
Come il ragazzo al mio fianco in questo momento.
Con la coda dell'occhio lo vedo mentre cerca di pulirsi la bocca senza farsi vedere da me, ma invano.
«Che cosa c'è?»
Si indica esasperato il viso in attesa delle mie indicazioni per levarsi un'eventuale macchia, in questo caso inesistente.
«Oh, nulla. Era solo comparso un sorriso, tutto qui.» lo rassicuro ironica «Tranquillo, è andato via. Puoi tornare a fare il cattivo ragazzo.» gli dò una leggera pacca sulla spalla, imitando il gesto che mia madre faceva quando voleva tranquillizzarmi da bambina.
All' improvviso mi viene alla mente un ricordo, una specie di flashback.

Oggi, 22 aprile 2003, compio sette anni.
Dato che la mia casa non ha molto spazio per farci stare tutti gli invitati,festeggeremo a casa di zio Trevor e di zia Sarah. Loro hanno una casa bellissima, c'è persino il giardino con tantissimi fiori colorati e una piscina. Purtroppo, quando ho chiesto alla mamma se potevo farci il bagno, lei mi ha detto che fa ancora troppo freddo e che dovrò aspettare fino a giugno.
Uffa.
Tutto è perfetto,proprio come avevo immaginato.
Ci sono due tavoli pieni zeppi di caramelle e patatine, tantissime bibite che non vedo l'ora di assaggiare e palloncini colorati che svolazzano attaccati a dei fili di spago.
Mancano soltanto i miei amici.
Aspetto seduta sul gradino del portico. Continuo ad avere idee sui giochi che potremo fare tutti insieme, come acchiapparella, nascondino, oh potremmo anche giocare alle principesse e ai pirati!
Si, sono sempre più convinta che questa sarà una festa coi fiocchi.

«Non è ancora arrivato nessuno, piccina mia?»
Zio Trevor si siede accanto a me e mi sorride.
Scuoto la testa e la appoggio sulla sua spalla. Sono qui seduta da tantissimo tempo, saranno passati mille anni.
«Magari hanno avuto un incidente con dei draghi sulla strada.»
I draghi sono imprevedibili e lo zio sembra d'accordo con me.
Ridacchia e mi avvolge le spalle con il suo braccio muscoloso.
«Ti va di entrare? Potremmo giocare a qualcosa insieme.»
Sorrido ma non sono molto convinta.
E se i miei amici arrivassero proprio mentre sono dentro con lo zio?
Lo guardo e lui cerca di convincermi. «Hai sentito?» si guarda intorno preoccupato.
Faccio di no con la testa e lui mi prende sulle spalle. «Sembrava il ruggito di un drago, dobbiamo andare a controllare che non si sia mangiato tutte le caramelle!»
Lo zio comincia a correre e mi fa saltellare sulle sue spalle. È così divertente stare con lui!
Arrivati in giardino, zio Trevor, mi fa scendere e cominciamo la caccia al drago.
«Ma che cosa state combinando, voi due?»
Zia Sarah e la mamma ci guardano divertite mentre controlliamo sotto il tavolo.
«Diamo la caccia a un drago!» esclamo, alzandomi in piedi e correndo verso la mamma.
«Oh, vi possiamo aiutare?» zia Sarah si mette a carponi e va sotto il tavolo con lo zio.
«Dai Rose, vieni anche tu!» la zia chiama la mamma che si accovaccia e mi dà una pacca sulla spalla.
«Papà tarderà. È impegnato con il lavoro, arriverà questa sera. » sorride «Sai che non è colpa sua, vero?»
Certo che lo so, lui non preferirebbe stare in ufficio piuttosto che venire alla mia festa di compleanno.
Annuisco e lei mi stampa un bacio sulla fronte.
«Allora, dov'è questo drago dispettoso?» si mette le mani sui fianchi e io le indico il tavolo.
«Forza andiamo!» mi prende per mano e ci infiliamo sotto il tavolo, insieme a zia Sarah e zio Trevor.

«Perché stai sorridendo?»
Drake mi guarda e io non incrocio i suoi occhi, mi limito a parlare rivolta alla strada deserta.
«Oh, nulla. Stavo solo pensando.»
Cerco di rimanere sul vago.
Non mi piace raccontare della mia vita agli estranei.
«Oh, siamo riservati.» alza le mani da finto innocente.
Alzo le spalle.
«Si. Non sono come altre, ricordi?»
Ridacchia.
«Si, decisamente.»

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