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«Merda!»
La voce del ragazzo sconosciuto sbraita così forte da farmi venire le palpitazioni. Respiro a fondo, tentando di calmarmi il più possibile.
Lecco le labbra e deglutisco, per poi avvicinarmi alla vettura color ciliegia.
«È... successo qualcosa?» Cerco di controllare la mia voce, ma finisco con il renderla solo più tremolante.
Ho un groppo in gola.
È come se le parole mi morissero nel petto, senza produrre nessun suono.
Solo delle sottospecie di mugolii strozzati escono dalla mia bocca.
Se mi accadesse qualcosa, non me lo perdonerei mai.
Devo tornare nell'auto. Non posso restare qui con uno sconosciuto nel pieno della notte, in un luogo così isolato.
«Io ehm ti aspetto in macchina...»
Mi stringo forte le braccia, coperte dalla stoffa scura e tiepida della mia gigante felpa e, con passo spedito, mi incammino verso la decappottabile.
Non vedo l'ora di svegliarmi da quest'orribile incubo infinito e ritrovarmi tra le coperte viola del mio caldo letto.Delle mani grandi e possenti mi prendono per i fianchi, non lasciandomi la minima possibilità di fuga.
«Dove vai, cucciola?»
La sua voce, roca e profonda, mi fa rabbrividire.
Mi volto di scatto verso di lui e incrocio i suoi occhi grigi, che mi scrutano maliziosi.
«Lasciami. Ora.» Il battito cardiaco accelera, mi sembra quasi di avere una mitragliatrice al posto del cuore.
Anzi, senza il quasi.
Raggelo di pura paura sotto le sue mani, ancora salde intorno alla mia vita.
«Basta!» Cerco di sfuggire alla sua presa, ma è forte. È dannatamente forte.
Il respiro è affannato, gli occhi sono pieni zeppi di lacrime trattenute e le mani sono sudate e prive di forza, come tutto quanto il mio corpo.
Sono stata un' idiota. Perché ?
Perché ho preferito dare retta ad uno sconosciuto capace di chissà che cosa, piuttosto che chiedere aiuto a Drake?
Perché sono una fottuta orgogliosa, ecco perché.
Gli stringo forte i polsi e gli conficco le unghie nelle dita, che sono grandi come tre delle mie messe assieme.
Mi di meno con tutto il coraggio e la forza che ho in corpo, fino a fargli sanguinare le mani.
«Sai, mi piacciono quelle come te.» Ride di gusto, mentre mi blocca contro il muro rovinato della casa abbandonata «Sexy e difficili.»
Quelle parole, quello sguardo puntato sui miei punti più intimi, compresi i miei occhi, mi fanno venire voglia di vomitare e di piangere fino allo svenimento.
«Per piacere, lasciami stare.» Ormai non mi controllo più. Le lacrime cominciano a scendere sulle mie guance ininterrottamente e la mia voce non l'avevo mai sentita più disperata e impaurita.
«Non dirò nulla a nessuno, ma non farmi del male.» Lui continua ad avvicinarsi e i nostri corpi si toccano nell'esatto istante in cui lui pronuncia quella frase, quella stra maledetta frase. «Oh,non piangere. Non ti farò del male, vedrai ti farà solo stare bene, cucciola.» Comincia a strusciare il suo petto sul mio, facendo salire le sue viscide mani sotto la mia felpa.
Urlo.
Urlo più che posso, a pieni polmoni.
Urlo fino a non sentire più le corde vocali in gola, fino a sentire il cuore che rimbomba nelle tempie.
Mi arriva un conato di vomito quando comincia ad armeggiare con la sua cintura di cuoio.
«Ecco, ora urlerai per qualcosa di più piacevole.» Sorride mentre si passa la lingua fra le labbra «Per entrambi.»
Chiudo gli occhi e mi sento cedere le ginocchia.
Cado per terra, impotente.
Non posso fermarlo.
Non posso.
Ride, e vorrei tanto che qualcuno, chiunque, sbucasse magicamente dal tombino dietro a quell'essere schifoso e se lo riportasse all'inferno.
Ma non succede.
Non sono in grado di fare più nulla, non mi sento le gambe, le braccia, la voce, il cuore, credo che abbia smesso di battere.
Estrae un coltello dalla tasca posteriore dei pantaloni ed io mi paralizzo.
Tutta la mia vita, ogni singolo istante anche quelli che non credevo di poter ricordare, mi sfrecciano davanti agli occhi.
È così che finisce, tutto quanto?
Ogni lacrima, sorriso, speranza, futuro, scompare in un millesimo di secondo.
Non piango più, non ci riesco.
Vorrei tanto sfogarmi per bene un'altra, un'ultima volta.
Il terrore nel petto è troppo forte, da riuscire a fermare anche le lacrime.
Apro la bocca e, Dio solo conosce il perché, grido il nome di mio padre.
So che non può sentirmi, non so perché ho urlato «Robert» al posto di «papà».
Non chiedetemi il motivo, non ci ho pensato. Mi è semplicemente sgusciato fuori dalle labbra.
Vomito quel nome, come se dovessi farlo apparire qui da un momento all'altro.
«Adelia!» Sbatto le palpebre un paio di volte e il mio aggressore si volta di scatto.
Una voce, la voce di Drake, urla il mio nome.
«Sono qui! Aiut-»
Non finisco la frase. Non ne ho la possibilità. Il mio aggressore mi fa alzare, prendendomi per il braccio con le sue ruvide mani, bloccandomi una seconda volta e mi porta verso il suo pick up.
Non mi do' pervinta.
Mi dimeno, dandogli calci sulle ginocchia, fino a quando le sue mani arrivano al mio collo.
Stringe e stringe, sempre più forte.
Non chiudere gli occhi, non chiuderli.
Cerco di restare lucida, non voglio che vinca lui.
Ma sento la gola chiudersi sempre di più e il respiro farsi sempre più corto.
No. No. No.
Non sta accadendo. Non può finire tutto così.
Malgrado le mie convinzioni, malgrado la mia speranza di tornare nel letto di casa, mia malgrado tutto è tutti, cedo e lascio che le mie palpebre si chiudano definitivamente.Buio.
Grida.
Dolore.
Il nulla.
Silenzio.«Piccola mia, che ci fai qui?»
Mio padre mi apre un cancello dorato.
Non so bene dove mi trovi, ma non è per niente male questo posto sconosciuto. È tutto così calmo e celestiale, come se ci trovassimo in un sogno.
«Mi sei mancato così tanto, papà.»
Appoggio la guancia al suo petto e lo guardo ammirata.
È proprio come lo ricordavo. I capelli biondi che gli ricadono appena sopra gli occhi nocciola, le spalle larghe e possenti e lo sguardo più dolce e amorevole che solo lui riesce a regalarmi. Delle lievi rughe gli incorniciano lo sguardo e mi stringe a sé.
Ecco. Sono al sicuro. Sono a casa.
«Ti va un thè, tata?»
Adoro quando mi chiama in quel modo. Lo dice con un tono di voce così colmo di amore, che mi fa sciogliere il cuore.
Mi era mancato sentirmi così amata.
Mi era mancato il mio papà.
Annuisco e mi prende per mano, come quando da piccina mi faceva attraversare la strada, o quando passeggiavamo per ore e discutevano sull'esistenza dei dinosauri o della fata del dentino.
Mi fa entrare in una casa tutta bianca e oro. Sui balconi ci sono delle meravigliose piante rigogliose e profumate, come quelle dei giardini delle favole che leggevo da bambina.
Vi prego, se questo è un sogno lasciatemi dormire per sempre.
«Siediti, l'acqua sta per bollire.»
Sorride e va in quella che credo sia la cucina. La sedia su cui sono è comodissima, sembra di stare su un batuffolo di cotone, morbido e caldo.
Mi guardo intorno e noto un quadro appeso al muro davanti a un divano color panna. Mi alzo e lascio che la mia curiosità abbia la meglio.
Mi avvicino alla tela, respirando a fondo l'odore familiare di questo posto.
Sembra che ci abiti da anni, ma non ho mai messo piede qui prima d'ora.
È un ritratto di una famiglia.
La mia famiglia.
Mia madre e mio padre si tengono per mano, mentre io sono in mezzo a loro con un sorriso felice in viso.
I miei genitori sono rilassati in volto e sono vestiti eleganti,come me.
Ad occhio e croce, avrò avuto circa sei anni. Anche se non ne sono certa.
I miei erano molto giovani.
Mia madre era bellissima, con i capelli scuri e lunghi raccolti in una treccia di lato e gli occhi azzurri, come i miei, raggianti e soddisfatti mentre posa per il ritratto. È sempre stata una bella donna. Forte e sempre presente.
Mio padre indossava una camicia bianca e le sue fossette sono la ciliegina sulla torta sul suo viso solare. Io indossavo il mio vestito preferito, rosa a quadretti bianchi.
Eravamo ancora una famiglia meravigliosa.
«Tu e la mamma mi mancate molto.»
Mio padre appoggia la sua mano sulla mia spalla e io sorrido, anche se gli do le spalle.
Non mi ha spaventato, sono tranquilla come non lo sono da troppo tempo.
Mi volto e lui mi bacia in fronte. Un altro gesto che mi riporta alla mia infanzia.
«Anche tu ci manch-»
Una fitta al petto non mi permette di terminare la frase e tutto diventa sfocato.
«Papà! Papà!»
Grido, ma non ottengo risposta.
Un'altra fitta, più forte della precedente, mi fa venire voglia di strapparmi i capelli dal dolore atroce.
La villa da favola, i fiori, il cancello dorato, mio padre, diventano sempre più sfocati e scuri, fino ad assomigliare a delle ombre senza un senso preciso.
E tutto ricomincia da capo.Buio.
Grida.
Dolore.
Il nulla.
Silenzio.
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E poi ci sono Io
RomanceAdelia Foster è la classica ragazza piena di difetti, che se ne sta per conto suo tutto il tempo, con un libro in mano e la testa altrove. Decide di dare una svolta alla sua vita ed abbandonare New York per trasferirsi tutta sola nella grande Seattl...