Novembre 1929
Erano passati due giorni da quando Ellen mi aveva annunciato la morte di Al, e quel dolore al cuore non si era ancora affievolito. Fissavo con aria mesta il vestito nero steso sul mio letto, appoggiato lì, in attesa solo di essere indossato per presenziare al funerale.
Mi chinai piano e lo sollevai prendendolo dalla vita. Nel farlo lo percepii, in qualche maniera, pesante: sembrava quasi come se quel leggero abito fosse talmente impregnato di dolore, da renderlo così greve, non tanto per il vestito in sé, quanto per l'effetto che ricreava.
Trattenendo ogni mia singola emozione che minacciava di uscire fuori, mi liberai dai miei indumenti e me lo feci scivolare addosso, sospirando sonoramente. Il penultimo motivo per il quale sarei voluta uscire di casa era sicuramente un funerale; l'ultimo, invece, era il fatto che fosse quello di una persona a me così cara.
Lo aggiustai con le mani, in modo tale che si adagiasse a quelle poche curve che mi erano rimaste e mi sedetti sul letto. Istintivamente mi buttai all'indietro e la mia testa cominciò a ronzare, come sempre. Ripensai a quando Ellen era venuta a casa nostra per farci quella confidenza, a quanto mi fossi sentita devastata e rammentai il timore di dover rimanere chiusa in casa, che mi aveva pervasa.
Ci spiegò anche di aver parlato molto quella giornata con persone vicine ad Al, non fece alcun nome, ma dagli sguardi che ci eravamo scambiate io intuii che una di quelle fosse Jeremiah. Le avevano spiegato che, nonostante si trattasse di suicidio, il funerale si sarebbe celebrato lo stesso; lo avrebbero dichiarato morto per cause naturali, nascondendo ciò che realmente era accaduto.
Papà e mamma appena la mia amica aveva chiuso la porta alle sue spalle, mi avevano comunicato che la nostra presenza, al rito, sarebbe stata d'obbligo. In una cittadina piccola come quella in cui vivevamo, non partecipare al funerale di Al, poteva essere giudicato negativamente dagli altri abitanti.
Anche in quell'occasione la mia famiglia continuava a pensare più a se stessa e all'impressione che dava, piuttosto che alla morte di una delle persone più care alla Contea.
Non aveva più senso, ormai, sprecare parole o riflessioni per loro; la pensavano in quel modo e io non avrei potuto fare niente per farli ragionare diversamente. Chiusi gli occhi cercando di zittire la mia mente, svuotandola da tutto ciò che avrebbe potuto recarmi tristezza o angoscia.
Mi riposai, destandomi solo quando sentii bussare alla porta.
"Avanti" dissi con un tono di voce abbastanza alto. Aprendosi piano piano, dalla fessura fece capolino la testa di mia madre, che mi domandò: "Sei pronta?".
Mi sollevai senza fretta, quasi con fatica, e dissi: "Sì, andiamo".
Strisciando i piedi a terra, percorrevo lentamente il corridoio, con lo stesso sguardo dei condannati mentre camminano per il miglio verde. Percepivo un forte senso di paura, perché non sapevo cos'era successo in quelle settimane lontana dalla mia vita e non riuscivo a immaginare un possibile scenario di ciò che sarebbe potuto accadere. Avrei rivisto certamente Jeremiah, ma avevo il timore che qualcosa nel frattempo fosse cambiato, o che lui fosse già andato avanti.
Uscii per ultima dalla casa e una folata di vento molto forte mi colpì appieno, facendo sbattere in maniera impetuosa la porta. "Fai attenzione, Daisy!" ingiunse mio padre.
In risposta chinai la testa e incrociai le braccia davanti a me, stringendomi il cardigan che avevo addosso. Strizzando gli occhi, osservai il cielo e mi accorsi di come il tempo fosse dannatamente tetro, quasi a ricordare quanto malinconici e amari fossero i funerali.
"Coraggio" disse mia madre, porgendomi la mano. Non la afferrai, ma le offrii un lieve sorriso per ringraziarla del gesto e mi incamminai al loro fianco.
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Eternity - Un amore senza fine |COMPLETA|
Tiểu thuyết Lịch sử[DA REVISIONARE] «Dietro a ogni colore si nasconde un'emozione.» 1975 Contea di Madison, USA. In un pomeriggio di giugno, Daisy, con la figlia e i nipotini, ritrova un oggetto del suo passato a cui era molto affezionata. I suoi familiari...