Il primo incontro*

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Aprile 1929

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Aprile 1929

Ondeggiavo a ritmo, seguendo il suono che dalla bocca emettevo canticchiando. Era una melodia che continuava a ronzarmi nella mente e dalla quale faticavo a liberarmi. L'avevo sentita la prima volta mentre percorrevo in bici la strada per raggiungere la città.

Attraversando i campi di cotone, di cui mio padre era proprietario, raccoglievo quei suoni e quei canti emessi dai lavoratori. Non riuscivo a comprendere con esattezza le parole, ma la melodia non voleva proprio andarsene dalla mia testa.

Avanzai verso la finestra e mi sporsi fuori. Guardai verso l'orizzonte colorato che si stagliava davanti a me e inspirai profondamente beandomi dei profumi degli alberi in fiore. Alzai, poi, lo sguardo verso il sole e pensai a quanto bella fosse quella mattinata, così tranquilla e calma. Svegliarmi alle prime luci dell'alba con il buon umore era quasi una rarità, ma sapendo quello che avrei dovuto fare quel pomeriggio non potevo non essere felice.

Feci scorrere una mano tra i miei capelli cercando di districarli dai nodi. Come tocco finale, arricciai qualche ciocca per poi portarle verso l'alto in modo tale da dar loro un po' di volume. Approfittai delle mani alzate per stiracchiarmi e, dopo essermi guardata attorno, mi incamminai verso l'angolo destro della mia stanza, quello più illuminato. Presi la tela bianca e tutti i miei pennelli, sistemando quegli ultimi con cura, in modo tale da averli pronti per il pomeriggio.

Passando le dita sulle setole, sorrisi al pensiero di come quelli fossero stati i miei compagni per buona parte della vita. Mi salvavano ogni volta che ce n'era bisogno, permettendomi di esprimermi e di sfogarmi, senza accuse o pretese. Posizionandoli delicatamente l'uno vicino all'altro in ordine di grandezza fui soddisfatta e mi allontanai per andare a sedermi sullo sgabello di legno.

Da lì cominciai a osservare gli ultimi quadri che avevo dipinto, quelli raffiguranti la Contea di Madison.

Vi erano scene di vita quotidiana, di lavoro nei campi e di passeggiate tranquille lungo i viali alberati o le strade del centro. Delineavo quei volti che conoscevo da tutta la vita, allegri e sorridenti mentre mi auguravano buona giornata, o mi parlavano delle novità della Contea.

La particolarità era che, nonostante quello che stava accadendo in tutto il mondo, ovvero l'intensa vitalità derivata dalla voglia di lasciarsi alle spalle le tragedie della guerra, noi della Contea vivevamo le nostre vite come prima, senza troppi eccessi. Mentre in quasi tutta la restante parte della nazione l'economia viveva anni di opulenza, con le fabbriche che producevano in massa beni di consumo come auto, radio ed elettrodomestici, noi procedevamo a rilento. Avevamo un'economia che si sviluppava principalmente attorno all'agricoltura e, infatti, eravamo noti proprio come una delle più grandi contee produttrici di cotone nello Stato dell'Alabama.

La mia migliore amica Ellen mi parlava sempre delle altre città e di come veniva descritta l'America, dagli altri cittadini e dal resto del mondo. Al Cotton Bar entrava a contatto con moltissima gente da fuori, venuta lì per cercare di investire e creare nuovi stabilimenti, ma da noi le fortune più grandi si ottenevano grazie all'agricoltura e ciò lo sapevo bene, vista la ricchezza accumulata dalla mia famiglia in quel modo.

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