La prima uscita ~ 2

1.2K 114 133
                                    

Arrivammo al Jazz Band Club nel giro di pochi minuti.

Avevo sentito parlare molte volte di quel locale, ma non avevo mai trovato l'occasione giusta per andarci.

Quando entrammo, Jeremiah cominciò a farsi largo tra i tavoli rotondi, di legno massiccio, con una tale scioltezza che sembrava conoscere ogni punto a memoria. Io procedetti con calma, dietro di lui, ammirando con attenzione qualunque angolo della sala. Aveva un qualcosa che mi affascinava.

Era una sala angusta, molto intima e familiare. Alle pareti dietro il bancone erano appese molte fotografie dei proprietari e autografi all'interno di cornici non troppo elaborate.

La tonalità prevalente della sala era il mogano del legno che dominava incontrastato rispetto agli altri materiali. Era illuminata da luci, caratterizzate da una semplice lampadina che pendeva dal soffitto, il cui filo aveva un'altezza diversa da quella della precedente, quasi come se riuscissero a infondere una differente luminosità in ogni punto in cui erano situate. Ce ne erano così tante che pensai che anche di giorno fossero in funzione, vista la ridotta dimensione delle finestre.

Mentre girovagavo e mi guardavo intorno, sentii molti occhi puntati addosso e la mia prima reazione fu quella di incrociare le braccia, quasi come a proteggermi o difendermi. Cercai Jeremiah con lo sguardo e lo intravidi vicino al bancone. Mi stava attendendo, con il braccio allungato, pronto ad afferrare la mia mano e tenermi là con sé.

Appena lo raggiunsi mi sorrise e, toccandomi la schiena, mi fece avanzare verso il bancone, nel punto esatto in cui si trovavano due sgabelli.

«Hey, Al», disse Jeremiah al barista anziano, troppo impegnato per notarlo perché intento ad asciugare dei bicchieri con uno strofinaccio bianco.

Il vecchio alzò lo sguardo di scatto. Ipotizzai che avesse riconosciuto la voce. Mollò il bicchiere e si lanciò lo straccio alle spalle, senza prestare attenzione a dove fosse caduto.

Avanzò a passo svelto e, superando sgabelli e persone, raggiunse Jeremiah e lo strinse in un caloroso abbraccio.

«Figliolo», disse, emettendo un sospiro. «Quanto mi sei mancato», continuò e, dopo una breve pausa, lo prese per le spalle e lo allontanò da sé in modo tale da poterlo osservare bene.

«Vedo che stai finalmente mettendo su un po' di muscolo grazie al nuovo lavoro. Ti tratta bene quel vecchio idiota, Sullivan, alla piantagione?»

Jeremiah impallidì e io non potei fare a meno di sogghignare. Mi coprii la bocca con il dorso della mano, nel tentativo di non farmi vedere e sentire, ma non ottenni il risultato che speravo.

Al mi guardò e poi disse: «E questa bella fanciulla che hai portato con te oggi chi è?»

«Al, ti presento Daisy», rispose Jeremiah e, mentre l'uomo mi sorrideva e si accingeva a dire qualcosa, lui aggiunse: «Daisy Sullivan». L'espressione che assunse il volto di Al in quel momento non la scorderò mai, dall'imbarazzo sembrava sul punto di voler fuggire.

«Sullivan», ripeté, quasi come per avere la conferma e con un tono che faceva intendere che sperava di aver sentito male.

Jeremiah si limitò ad annuire.

«Stia tranquillo, Al. Le svelo un segreto», dissi avvicinandomi al suo orecchio e sussurrando: «Non piace tanto nemmeno a me». Il suo volto, tutto a un tratto, si rilassò e lo vidi espirare profondamente. In quel momento, non potei fare a meno di ridere.

«Vuoi il solito tavolo, Jay?» chiese Al, dopo avermi sorriso. Fu solo nel momento in cui ruotò la testa, che feci caso al suo volto. Aveva una cicatrice che partiva dall'estremità destra della bocca leggermente storta e si allungava quasi fino all'orecchio. L'occhio destro ipotizzai avesse subíto un danno visto che faticava a tenerlo aperto come l'altro. Mi venne voglia di far scorrere la mano su quel volto così dolce, ma così brutalmente segnato. Sembrava un uomo così gentile e non riuscii a fare a meno di credere che fosse stato vittima di un'ingiustizia.

Eternity - Un amore senza fine |COMPLETA|Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora