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Giugno 1975

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Giugno 1975

Daisy terminò il racconto con quel mai che faceva eco nella sua mente, riportandola al presente. Sbatté le palpebre un po' di volte, per cercare di trattenere le lacrime che in quel momento, come era accaduto molto spesso durante il racconto, minacciavano di spuntarle.

Fu solo quando guardò la figlia, che si rese conto del fatto che Amanda stava piangendo. Le si avvicinò e le diede un bacio sulla fronte, come faceva anni fa ogni volta che la sua bambina ne aveva bisogno.

«Non conoscevo il passato di papà», affermò passandosi il dito indice sotto entrambi gli occhi per fermare quelle gocce che scendevano.

«Deve essere stata così dura per lui», aggiunse poco dopo, mentre faceva scorrere una mano tra i capelli di Jason. Sembrava quasi come se stesse collegando l'età che aveva il padre all'epoca a quella di suo figlio e stesse considerando il fatto che sopportare un dramma così grande doveva averlo segnato parecchio.

«La forza di tuo padre si è vista nell'essere stato in grado di andare avanti. Ha affrontato le difficoltà a testa alta, si è fatto coraggio e si è costruito una nuova vita», replicò Daisy, orgogliosa di quell'uomo, come lo era allora.

I due piccoli non vollero commentare la tragedia che il nonno era stato costretto a vivere, ma la piccola Claire cercò di alleggerire la tensione accennando ai gesti così romantici che aveva fatto alla nonna. «Era un principe azzurro», aggiunse, con gli occhi sognanti e un sorriso che le riempiva il volto.

Daisy annuì e si alzò dal divano, emettendo un suono dolorante come quando si sta troppo tempo nella stessa posizione e ci si irrigidisce. Si incamminò verso la cucina e guardò l'ora, mancava poco per la cena. Il tempo era trascorso proprio velocemente e prima di dire o fare qualunque cosa rivolse la sua attenzione ai quadri, ancora posizionati in direzione del divano, e sorrise. Sorrise all'amore, a Jeremiah e alla sua vita, ma l'espressione più bella fu quella che rivolse alla sua famiglia, che la stava fissando, in quel momento, come se si stesse domandando quale sarebbe stata la successiva mossa della nonna.

«Amanda, non è che ti va di dormire qui questa notte? Potresti ripartire domani sera. Non ti farebbe male rimanere un altro giorno nella Contea», affermò Daisy, sperando con tutta se stessa che la figlia acconsentisse.

«Non lo so, mamma», cominciò, prima di fermarsi per guardare l'orologio che aveva al polso. «Io dovrei...», ma prima che potesse finire Claire e Jason si alzarono in piedi e cominciarono a tentare di convincere la loro mamma a fermarsi lì un altro giorno. «Dai, mamma. Rimani qui, così domani finisci di sentire la storia».

Dopo aver sbuffato, accettò, affermando: «E va bene, tanto domani sarei comunque rimasta a casa da lavoro. Una giornata qui non mi farà male».

«Meraviglioso!» esclamò Daisy. «Ora che ne dite di uscire? Questa è l'ultima sera in cui c'è il Luna Park qui nella Contea e mi piacerebbe portarvici.»

Gli occhi dei due bambini si illuminarono e cominciarono a gridare: «Luna Park! Luna Park!» saltellando e girando a cerchio su se stessi.

Daisy gioì dinanzi a una così bella reazione e fece un leggero sorriso alla figlia, la cui espressione rivelava che non era troppo entusiasta di come avrebbero trascorso la serata. Cercò di comunicarle che un po' di svago le avrebbe fatto bene e, dal lieve cenno di capo che fece in risposta, si capì che aveva afferrato il concetto.

~

La sera le temperature nella Contea si abbassavano, ma non di molto. Per quel motivo tutti e quattro indossarono qualcosa di leggero, portandosi comunque una giacca, nell'eventualità in cui avessero avuto la necessità di coprirsi.

Eventi come il Luna Park raccoglievano moltissime persone e le strade, infatti, erano gremite. Si faceva fatica a camminare e Amanda continuava a ripetere ai due piccoli: «Mi raccomando, statemi sempre vicini. Guai a voi se vi allontanate».

Daisy la vide prendere la piccola Claire per mano, mentre la bambina guardava estasiata tutto ciò che li circondava: quelle giostre così alte rispetto a lei, quella vasta quantità di colori che creavano un'atmosfera così gioiosa, elettrizzante ed eccitante, tanto da farla saltellare per la gioia. La musica, le urla di felicità, le frasi per invitare a provare quella giostra e non l'altra, le grasse risate invadevano le vie, solitamente molto silenziose.

Passarono accanto alla giostra dei cavalli e subito Claire tirò il braccio della madre per potersi far sentire: «Ti prego, ti prego. Posso andarci?»

Amanda non riuscì a dire di no a quegli occhioni così grandi e teneri. Si fermarono e sia lei che Jason fecero un giro, mentre Amanda e Daisy li guardavano divertirsi, da dietro una sbarra metallica.

«Anche tu eri sempre così. Amavi moltissimo da bambina la giostra dei cavalli, tanto da desiderare di andarci ogni volta, e guai a chi ti occupava quello bianco. Ripetevi sempre che dovevi cavalcarlo tu, in attesa del principe azzurro che sarebbe arrivato e ti avrebbe sostituita portandoti, però, via con sé», raccontò l'anziana alla figlia. «Eri così piena di gioia, tesoro», affermò, lasciando in sospeso quella frase che stava solo a significare che qualcosa negli occhi di Amanda si era spento. Quella gioia e solarità che la caratterizzavano erano scomparsi, lasciando il posto a quello che si potrebbe dire un involucro privo di emozioni felici, a un automa che ripeteva costantemente le sue giornate senza provare alcun tipo di sentimento.

Daisy vide Amanda chinare la testa, quasi come se non volesse controbattere. Si limitò a fissare i figli e l'anziana si accorse che aveva uno sguardo perso, come se dentro di sé i pensieri si stessero accavallando, ronzandole nella testa e rendendola incapace di scacciare quel fastidioso brusio. Neanche quando i piccoli scesero e tornarono da lei l'espressione dal suo volto cambiò; pensò che quel rumore non se ne fosse andato.

Daisy la vide prendere per mano Claire, buttare un occhio nella direzione di Jason e avvicinarsi a lei.

«Quando hai capito che papà era quello giusto?» le domandò.

«Tesoro, io credo che i grandi amori si riconoscano fin da subito. Il sentimento cresce con il tempo perché ci si conosce meglio, ma si tratta di un affermarsi. È una conferma, un consolidamento di qualcosa che già c'è», le rispose Daisy, chinando la testa, dispiaciuta di quanto aveva detto.

Non aveva mai creduto nella storia tra la figlia e Luke, ma lei non viveva con loro, non poteva esserne certa e per quel motivo si era sempre messa da parte, cercando di non influenzare o turbare le decisioni che Amanda prendeva. Però sapeva quello che vedeva, e quegli sguardi che raramente si scambiavano non erano come quelli tra lei e Jeremiah. Loro due non riuscivano a guardare altro, a concentrarsi su altro, troppo impegnati com'erano a volersi.

Si avvicinarono al banco dove vendevano lo zucchero filato e dopo aver dato dei soldi ai figli ed essersi leggermente allontanate, ma non troppo per riuscire a tenerli sempre sott'occhio, Amanda cominciò a parlare.

«Stavo pensando, mamma, al mio matrimonio andato a male, a quell'amore forse mai corrisposto, o probabilmente mai vissuto. Mi domandavo come un sentimento forte potesse spegnersi tutto d'un tratto e l'unica soluzione che mi era venuta, e tutt'ora ho, in mente è che quello tra me e Luke non era vero amore.»

Fece una pausa per deglutire e poi riprese: «Sono giunta a questa conclusione pensando ai tuoi racconti. Io non ho mai provato tutto ciò che tu hai raccontato e mentre parlavi sentivo proprio il bisogno di potertelo dire, di dirti tutto quello che da ore continua a frullarmi nella mente».

«Come quando eri più piccola, che venivi da me e mi raccontavi tutto, rivelandoti e spogliandoti di ciò che ti tormentava», iniziò Daisy, ma Amanda non le lasciò il tempo di terminare.

«Chiacchierare con te mi aiuta, mamma. Mi manca averti vicino; trasferisciti con noi ad Atlanta, ti prego», la supplicò.

«Tesoro, lo sai che non voglio. La mia vita è qui», concluse girando la testa per non farle scorgere quella velatura di tristezza che albergava sul suo volto.

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