Reactions.- I parte

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Tic tac, tic tac.
Il rumore delle lancette dell'orologio  era l'unica cosa udibile in quel momento nella stanza di Rachel. Era lì,  a gambe incrociate sul letto, gli occhi verdi spalancati fissavano il  muro davanti a lei, le labbra erano una linea dritta, il viso non  sembrava mostrare alcuna emozione. Da quanto tempo era in quella  posizione? Forse minuti, forse ore. Si era semplicemente alzata dal  tavolo della cucina, aveva salito le scale e si era chiusa nella sua  camera. Non una parola, non un urlo, non una lacrima. Vuoto, solo  quello. Un immenso vuoto, come un buco nero, le era nato nel petto,  risucchiando qualsiasi tipo di emozione. Il telefono si illuminava di  continuo a causa dei messaggi dei suoi amici, agitati anche loro dalla  notizia di quella mattina. Qualcuno iniziò a bussare alla porta, forse  una cameriera. Nulla di questo attirò l'attenzione di Rachel. Com'era  possibile tutto ciò? Quella notte, Ottaviano era stato a fianco a lei,  proprio su quel letto, e guardandola con quegli occhi color ghiaccio che  forse non si sarebbero mai più riaperti. Nemmeno questo pensiero riuscì  a smuovere l'animo di Rachel. Era come se respirasse solo perchè il suo  corpo glielo imponeva. Non riusciva a realizzare di non poter più  vedere Ottaviano, di non ridere piú insieme a lui, di non sentire il  sapore della sue labbra... di non fare più l'amore con lui.  Semplicemente, non era possibile che loro due fossero separati.
Non possiamo stare lontani. Pensava, mentre finalmente si alzava dal letto, iniziando a togliersi il pigiama e prendendo dei vestiti a caso dall'armadio.
In questo momento, dovremmo stare vicini. Si  diceva, e prendendo il suo cellulare, usciva dalla sua stanza,  scendendo le scale sempre più velocemente, fino a ritrovarsi a correre  verso la porta d'ingresso, ignorando le domande delle cameriere.
Avevamo detto che non ci saremmo mai più lasciati. Affermava  a voce bassa, mentre correva schivando chiunque incontrasse sulla  strada, andando verso l'ospedale in cui era ricoverato Ottaviano.
Ci  arrivò dopo mezz'ora, con il fiato corto, la gola secca e le gambe  doloranti. Ma non le importava, non quando le mancava cosí poco per  rivederlo. Entrò, ritrovandosi nell'ingresso insieme ad altre persone  che aspettavano e infermiere e dottori che correvano da una parte  all'altra. Stava per andare verso il banco informazioni, quando sentì  una voce chiamarla.

"Tu...tu sei Rachel Dare."

Si girò di scatto, incrociando gli occhi con il padre di Ottaviano.

"Si,  sono io. Sono qui per Ottaviano." disse, con un filo di voce. Deglutì a  vuoto quando osservò per bene l'aspetto dell'uomo: i capelli arruffati,  gli occhi, rossi e umidi, contornati da occhiaie, le mani tremanti.  Appoggiata alla sua spalla c'era una donna, la madre di Ottaviano, che  dormiva.

"Non ti faranno entrare senza il permesso di un genitore." sospirò Erick, anche lui con la voce flebile.

"Allora me lo dia! Non ho tempo da perdere, devo vederlo."

Erick sgranò gli occhi, assumendo un'espressione stupita.

"Ci  tieni davvero così tanto a lui? Non vi ho mai visti insieme, se non  quella sera in cui c'era anche tuo padre. Certo, non sono mai stato un  genitore modello, ma conosco i suoi amici."

Rachel strinse i  pugni, mordendosi il labbro. Forse, non avrebbero dovuto nascondersi  così tanto. Ormai non era nemmeno sicura che avrebbero potuto dire a  tutti di loro, un giorno, Forse, avrebbe dovuto limitarsi a parlarne  come uno splendido ricordo, a bassa voce, ai suoi amici, invece di  urlarlo insieme a Ottaviano al mondo intero.

"Non può nemmeno  immaginare quanto io tenga a vostro figlio." esclamò, fissando l'uomo.  Questo abbozzò un sorriso, alzandosi cercando di non svegliare la moglie  e mettendo un braccio intorno alle spalle di Rachel.

"Vieni, ti faccio vedere dove si trova."

Camminarono  per qualche minuto nei corridoi bianchi e freddi dell'ospedale. Solo in  quel momento, passando davanti a un grosso orologio, Rachel notò  l'orario: le sette di sera. Quanto tempo era rimasta chiusa in camera  sua? Non si era nemmeno accorta di aver saltato il pranzo e dell'arrivo  della sera.

I hate you, don't leave me.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora