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Litigare con mia madre l'ho sempre reputato forse a mia indiscrezione uno dei miei più grandi pregi e una delle mie più grandi abilità innate.
È quello, che riesco a fare meglio anche in questa triste mattinata di metà ottobre.

La sveglia suona più di una volta, lo fa per una dozzina di battute, quando poi sono io a battere il mio pugno su di essa con una violenza inaudita. La porta di camera mia si spalanca e sento trascinare con essa parole di ogni genere, che per quanto io mi sforzi, riesco a udire, ma non a comprendere. Alzo la testa dal cuscino innervosito e sbraitando, come al solito, rigiro il capo dalla parte riflessa al muro e porto con me il guanciale sui timpani.

Anche oggi però, destino vuole, che io mi arrenda al potere di una madre su tutte le furie e già frustrata alle prime luci del l'alba.
Eccola lì, Marilena; donna sulla cinquantina, con gli occhi gonfi e qualche capello grigio sulla nuca, innumerevoli rughe segnano il suo volto ed il suo profumo ha immediatamente invaso la mia stanza, che fino ad un momento prima odorava di nicotina e testosterone.

Mi percuote svariate volte e l'ondeggiare continuo mi ha procurato quasi la nausea.

Esclama poi:
"Remì non puoi ignorami per tutta la vita, su alzati e vai a scuola, in tavola ti ho messo la colazione."

Incredibile, la sua voce si è addolcita tutta d'un tratto: 

"Ehi sardina vedi di muoverti o il pane si raffredda." 

Io sussulto, principalmente per due motivi; detesto quando mi chiama sardina, lo fa sin da quando sono piccolo e mi dà sui nervi. L'altro motivo è che amo follemente il pane, che prepara di prima mattina. 

Mormorando mi alzo lentamente e cerco subito una sigaretta a distanza ravvicinata, necessito di nicotina immediatamente.
Non faccio in tempo nemmeno a dirlo e a sentirne effettivamente il bisogno, che mi viene immediatamente tolta di bocca.

"Ah, prima la colazione sardina, ma che modi sono!" 

Esclama, per poi lasciarmi nuovamente solo in stanza e accendersela fuori da camera mia.  Sbuffo e poi mi chiedo a cosa serva, se non cambia mai nulla qui dentro. 

Mi metto a cercare qualcosa di pulito e di accettabile da indossare.
Correndo in soggiorno cerco le chiavi, afferro la giacca in Jeans e nervosamente ricerco con cura una sigaretta nel cassetto.
Bevo il caffè tutto d'un colpo e mi lancio verso la porta.
Percorro di tutta fretta l'androne del giro scale e lascio giusto in tempo l'enorme palazzo nel quale sono cresciuto.

L'androne anche oggi ha coperto il mio profumo al cocco e rivestito la mia giacca in Jeans con l'odore di storie diverse e di diverse vite. Sono cresciuto in un palazzo popolare a Nord-Est della città. Lo chiamano:"Il palazzo del sole." Io avrei da ridire a tal proposito; è sempre scuro e triste, l'ho da sempre vissuto come fosse la Torre Eiffel a Parigi nei suoi mesi più grigi. 

Mi sono perso ancora tra i miei mille pensieri e come al solito l'autobus sembra non volermi aspettare.
Mentre corro verso la fermata, calpesto la sigaretta a terra e all'ultimo, salto sul mezzo con lo zaino che pende su una sola spalla. 
Ho sempre amato guardare fuori dal finestrino, ci vedo me stesso riflesso e nello stesso tempo il mondo circostante all'esterno.  
L'autobus è un'incubatrice di storie nate, ma mai finite, perché si arriva quasi sempre prima a destinazione, capendo solo all'ora il perché siamo partiti. 
Arrivati in Via Gerani 40, poco prima del mio Liceo, vedo fermo al angolo il motorino di Mirco, il mio migliore amico dalle elementari.

Prenoto la mia fermata e scendo correndo verso di lui, da buon amico quale sono ho già stampato in faccia un ghigno malefico. Lo colpisco con una manata sulla spalla e lo derido di buon gusto, ricordandoli, che questa è già la seconda volta, in una settimana,  che il suo "bolide" lo abbandona. Con un gesto di stizza mi allontana e prende dal mio zaino una sigaretta, che si accende non prima, di tirare un calcio a vuoto. Decidiamo poi di avviarci a piedi verso scuola visto che oggi abbiamo anche la prova su Leopardi in prima ora.

REMÌ RYAN.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora