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Sospiro innalzandomi come un'onda sopra le persone, sono sudato, nudo e ancora ubriaco. Il che sarebbe anche accettabile, se non fosse così anche per Jen infatti anche lei è apparentemente sudata e nuda, proprio come me. Facendo un paio di conti è successo quello, che proprio non volevo avvenisse, ma su due anime in pena e due persone completamente inzuppate d'alcol sino all'ultimo capello, non ci può fare tanto affidamento. Guardo la sveglia al di là del letto, posata sul comodino, che segna le 5:40 del mattino. 

La casa è silenziosa e fortunatamente gli altri non sono ancora arrivati. Posando i piedi a terra posso sentire lo stomaco, che si contorce, ingarbugliandosi in una geometria di rovi a malincuore perfetta e disegnata a pennello sul mio stato d'animo. Il senso di colpa attanaglia cuore e mente, riproponendo nella mia testa, come in una fotografia, il volto di Beatrice. Il cuore batte ed è impaziente, le gambe tremano e la testa è leggera, ma straripante di brutti pensieri e percezioni negative vissute per pochi millesimi d'istanti.

Sento il fiato mancare e la nicotina non anestetizza quel malessere, che mi pervade tutto. Moltiplico diverse volte le mie azioni e le rendo continue nel loro manifestarsi a ripetizione, prevalgono due pesi dentro me, che sbilanciano ogni cosa. Mi reputavo una persona migliore oramai. Non sono mai stato troppo sicuro di me, nessuno di noi in fondo lo è realmente, ma ultimamente porgevo un briciolo di autostima su quello che, giorno dopo giorno, vivevo e stavo cominciando a essere per me e per tutti quanti gli altri.

Una parte della bilancia pende sul odiare ciò che ho fatto perché, non posso nascondere, che anche se in preda all'alcol, dietro tutto questo ci sia stata una mia volontà. Per giunta non annebbiata di certo da un'instabilità psicofisica. A  questo poi si aggiunge il mio essere tornato indietro su ciò, che mi aveva già procurato del dolore in passato e in legame con tutto questo, non potrò, che scaturire altro di dolore. A Beatrice, me stesso e a ogni persona, che mi ha aiutato quando ero schiavo del dolore creatosi. 

Ripeto a me stesso: 

"Non odiarti, non odiarti, non odiarti o quanto provaci." 

Con la testa china e le braccia conserte prendo sonno sul terrazzo fuori dalla stanza e per mia fortuna il freddo è l'ultima cosa a intaccarmi prima di chiudere gli occhi, nessun pensiero, nessun pentimento e niente più postumi o mal essere. Soltanto il sonno, quello profondo, quello, che vorresti non finisse più. 

Poche ore dopo è il sole quello inteso, ma non ancora troppo prepotente e carico di calore a svegliarmi. Il chiasso al piano di sotto non può di certo non contribuire a interrompere quel sonno restauratore e pacifico. Con poca attenzione mi sorreggo sulle gambe e percorro quei pochi metri, che mi separano dalle scale, sono frastornato e abbagliato dalla luce fin troppo intensa. Incontro per primo lo sguardo di Marietto, che mi sorride chiedendomi come mai fossi tornato a casa così presto e che sicuro mi ero perso una delle migliori feste di sempre. Eh Dio, quanto avrei voluto non essermi perso nulla, ma proprio nulla. 

Scorcio poi da lontano lo sguardo stanco, ma sorridente di Beatrice, che freneticamente si appiglia a me e mi bacia sorridendo. Alle mi spalle sento Jen litigare con il suo ragazzo, possiamo dire, che la fedeltà reciproca tra loro non esista. Con Beatrice tra le braccia ci scambiamo delle occhiate, che sembrano potersi raccontare mille storie diverse. 

Poco dopo siamo già per la strada di casa. 

Pronti a tornare. Là dove le nostre vite saranno invase dalla routine, che ogni giorno ci accomuna, ma coscienti, che per un motivo o per l'altro nulla per ognuno di noi sarà più come prima. 

Ed io piango, piango, ma dentro di me, facendolo in silenzio ancor più consapevole, che non potrà durare per sempre. 

REMÌ RYAN.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora