Too dark to care ~ pt.3

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Aveva finalmente trovato il coraggio di andarsene dall'Istituto. Credeva che non ce l'avrebbe mai fatta. Per fortuna si sbagliava. Da quando lui e Clary avevano riportato lì Isabelle, le cose erano precipitate. Alec sembrava incredibilmente stanco ed esasperato, mentre parlava con la sorella. Non gli sarebbe stato permesso ascoltare il discorso, ma l'aveva accidentalmente sentito grazie al suo udito da vampiro. Anche se, da come urlava Izzy era probabile che l'avesse sentito tutto l'Istituto. Ma, alla fine, la Shadowhunter aveva ceduto. Sentire che poco tempo prima la ragazza era dipendente dal veleno di vampiro lo aveva stupito. Non aveva notato nulla di strano, a quei tempi. Ma non avrebbe notato nulla nemmeno se il ponte di Brooklyn fosse crollato. Era stato troppo concentrato su Clary. Clary gli aveva fatto dimenticare ogni cosa, gli aveva fatto mentire a sé stesso. E non l'aveva mai amato. Aveva dormito con lei, quel poco che aveva dormito, ma lei era sembrata distante. Era preoccupata per Jace. Naturale. Pensare a Jace le veniva più naturale di respirare, sembrava. E, senza che potesse darci una spiegazione, non gli era importato. Be', non più di quel tanto. Era ancora arrabbiato con lei, ma soltanto perché non era stata sincera con lui, non perché era innamorata di suo fratello. Aveva praticamente passato anche tutta la giornata successiva all'Istituto, seguendo Clary praticamente ovunque. Isabelle era rimasta chiusa in camera e non ne aveva voluto sapere di uscire, nemmeno un secondo. Non che potesse biasimarla. Gli era sembrata parecchio triste e arrabbiata, la notte prima. Eppure, quello che diceva Alec aveva un senso. Ma sembrava che lei non lo avrebbe mai accettato. Magnus era comparso in tarda mattinata, per vedere come stava Jace. Sembrava che non avesse dormito per niente. Tutti troppo preoccupati per il giovane Wayland per dormire, eh? Avrebbe voluto dirlo, ma si era trattenuto, abbassando lo sguardo, come faceva troppo spesso, in quegli ultimi tempi. Clary parlava sempre al posto suo, negli ultimi tempi. Dopotutto, forse era un bene. Non era capace di parlare, lui. Gli si aggrovigliavano le parole in gola. E diceva sempre troppe cose sbagliate. Jace aveva tentato in tutti i modi di evitare di parlare con Clary. Probabilmente anche lui se ne fregava dell'incesto e continuava ad essere innamorato della ragazza di Simon, che, oh, casualmente era anche sua sorella. Che bella storia d'amore. Il solito noioso triangolo, sembrava. Anche se le cose erano ben diverse... Era riuscito ad andarsene in un momento in cui tutti erano troppo occupati per curarsi di lui. Aveva salutato Clary, tanto per essere gentile, dicendole che le cose stavano diventando un po' troppo Nephilim per i suoi gusti. Lei aveva riso, anche se quella risata era suonata falsa alle orecchie del vampiro, e, dopo averlo baciato sulla guancia, lo aveva lasciato andare. Così, in quel tardo pomeriggio di novembre, il Diurno si ritrovava a camminare per le strade di New York. Per qualche tempo non aveva saputo dove andare. Avrebbe potuto tornare al Jade Wolf, da Luke, ma poi si era ricordato che sua madre gli aveva scritto quasi due giorni prima, e lui non le aveva ancora risposto. Sapeva di non doverla far preoccupare, altrimenti l'avrebbe solo fatta stare male, e non era quello che voleva. Così aveva deciso di passare da casa, dato che il suo telefono era talmente distrutto che riusciva a malapena a vedere le lettere sul display. Così, si ritrovò lì, su quel marciapiede, camminando dritto verso la sua destinazione, circondato dalle persone come dai suoi pensieri. Pur cercando di pensare solo agli Shadowhunter e alle loro situazioni difficoltose, non riusciva a togliersi di mente la discussione che aveva avuto con Raphael la sera prima. Gli aveva detto delle cose che non avrebbe voluto dire, aveva usato delle parole per dirne altre... Non sapeva perché, e non riusciva a fare a meno di sentirsi uno stupido. Probabilmente perché lo era, ma questi erano solo dettagli. Perché Clary. Solo a causa di Clary. Non riusciva a smettere di starle dietro, pur vedendo che a lei non importava di lui. Almeno, non come a una ragazza importa del suo ragazzo. Forse gli avrebbe sempre voluto bene, bene come si poteva volere a un fratello. Loro erano come fratello e sorella, non sapeva cosa le fosse saltato in mente. O cosa gli fosse saltato in mente. L'aveva amata da sempre, ma lei era cambiata, e lui se n'era accorto troppo tardi. Ed era una cosa che non riusciva a sopportare. E ora non riusciva più a stare lontano da lei. La sera prima, al DuMort, avrebbe potuto fare qualcosa per riparare tutti i suoi errori, ma non l'aveva fatto. Aveva continuato a dire le cose che continuava a ripetere nella sua testa. Solo che era stato diverso. Le sue labbra formulavano delle parole, ma la sua mente ne pensava altre. Nella sua mente c'erano solo verità. Verità che credeva non sarebbe mai riuscito ad ammettere. Quel luogo gli metteva confusione. Raphael gli metteva confusione. Non sapeva nemmeno perché. Era così e basta. Quando era corso fuori piangendo, Clary gli aveva ovviamente chiesto cosa fosse successo. E lui aveva risposto dicendo solo "niente". E lei non aveva ribattuto. L'aveva solo guardato perplessa e aveva annuito. Non le era importato che non fosse la verità. Nessuno piangeva per "niente". E lei questo lo sapeva benissimo. Eppure non gli aveva chiesto cosa ci fosse davvero. Aveva iniziato a camminare, tenendo una mano sul braccio di Isabelle, come temendo che sarebbe scappata, ed era andata avanti, senza voltarsi a controllare come stesse Simon. Lui aveva seguito le due in silenzio, le lacrime non avevano smesso di colargli sul viso. Quando erano arrivati all'Istituto, il suo viso era coperto da sangue secco. Era andato in bagno per lavarlo via. Guardandosi nello specchio avrebbe voluto dare un pugno al suo riflesso. Quella faccia sconvolta era ridicola. Era stato lui a dire cose che non voleva. Era stato lui stesso la causa delle sue lacrime, nessun'altro. Che cretino. Eppure, non aveva fatto nulla. Era tornato da Clary, fingendo di stare bene, anche se non era affatto vero. "Perché piangi, niño?" Cretino. "Non sto piangendo." Idiota. "Non sono estúpido. Cosa succede?" Imbecille. "Niente" Stupido. "So che non è vero, Simon." Sbuffò, quell'inutile aria che continuava a respirare. E così, quel dannato discorso che gli era appena passato per la mente, ricordo indesiderato di ormai più di due mesi prima, e gli aveva dimostrato quanto cieco fosse stato. E anche che Raphael aveva avuto ragione, la sera prima. Lo sapeva, lo sapeva bene. Clary Fray c'era sempre stata quando lui aveva bisogno. Ma Clarissa Fairchild no. L'aveva ignorato nel momento in cui aveva avuto più bisogno di lei. L'aveva abbandonato, mentre affogava nella sua stessa paura. Forse, se lei si fosse degnata di rispondergli, a quel punto non sarebbe stato un vampiro. Non sarebbe tornato al DuMort per capire cosa gli stesse succedendo, e Camille non gli avrebbe prosciugato il sangue. Be', certo, era ovvio, Raphael lo aveva portato all'Istituto solo perché lui era la prova che l'attuale leader del Clan di New York aveva infranto gli accordi, ma... Ma poi. L'aveva accolto al DuMort, l'aveva sempre aiutato quando aveva bisogno, e lui. Lui aveva tradito il Clan. Che stupido. Stupido. Stupido, stupido, stupido. Avrebbe voluto che gli altri vampiri potessero perdonarlo, ma sapeva anche che non avrebbe mai trovato abbastanza coraggio per scusarsi. Clary lo teneva bloccato, gli impediva di fare qualsiasi cosa. Una parte di lui avrebbe forse voluto lasciarla –faceva ancora fatica a credere che fosse vero -, ma l'altra non ne aveva alcuna intenzione. Dopo tutto quello che aveva fatto per lei... Ugh, avrebbe voluto urlare. Non riusciva più a sopportare quella stupida situazione. Ci si era trascinato da solo, lo sapeva. Ma adesso non sapeva come uscirne. Non poteva essere così difficile, andiamo. Avrebbe trovato un modo. Doveva trovare un modo. Però, ogni volta che credeva di averlo trovato, rivedeva Clary, lei gli sorrideva, e, anche se quel sorriso era falso, lui cadeva di nuovo nella sua trappola, senza possibilità di fuga. Avrebbe voluto trovarsi un muro e sbatterci la testa contro, fino a farci un buco, in quel dannato muro, a forza di testate. Invece, lanciò un'occhiataccia al cielo azzurro-arancione, che poco tempo prima credeva che non avrebbe mai più rivisto. Si sentì all'improvviso in colpa. Quanto tempo aveva dovuto vivere senza sole? Una settimana, una e mezza? C'erano vampiri che non vedevano luce naturale da decenni, magari centinaia d'anni. E lui. Continuava a farsi uno schifo assurdo da solo. Cretino. Idiota. Imbecille. Avrebbe dato di tutto per tornare indietro, alla sua normale vita da Mondano, senza tutti quei problemi, quando il suo massimo, di problema, era trovare un nome per la sua band. Quando Clary continuava a non vederlo più di un amico, ma almeno lo vedeva, non fingeva. Tutto quello che era successo l'aveva cambiata, non era colpa sua, eppure... A Simon mancava la sua migliore amica. Ma di certo, non era l'unica ad essere cambiata. Anche lui. E non solo perché era un vampiro, adesso. Aveva visto l'essere non-morto come una possibilità per fare colpo su Clary. Che cosa idiota. Se lei stava con lui solo per quello, perché era un dannatissimo vampiro Diurno, be'... Stupido. Clary non avrebbe mai visto quello che lui era prima. Uno imbarazzante e stupido Mondano che non sapeva neanche parlare. Ma lei aveva detto che non avrebbe potuto vivere senza di lui, che era stata davvero male quando era morto, e allora lui si era montato la testa. Quando aveva scoperto che Jace e Clary erano fratelli, l'aveva vista come un'opportunità. E aveva ricominciato a comportarsi come un idiota. Idiota che era. Clary aveva davvero condizionato la sua vita. Si accorse solo in quel momento di essere arrivato nel suo quartiere. Accelerò il passo. Doveva raggiungere casa sua –quella che era stata casa sua –e trovare una scusa con sua madre. Magari le avrebbe detto la verità. Be', non tutta. Ma le avrebbe detto che era stato con Clary e aveva perso la cognizione del tempo. Più che perdere la cognizione del tempo aveva perso la pazienza. Tutta quella preoccupazione per Jace. Tutti quei problemi Shadowhunter. Lui non esisteva nemmeno. Era una cosa terribilmente snervante. Sperava che, prima o poi, avrebbe trovato, magari non un modo, ma un motivo per fare quello che andava fatto. Era stanco di non-vivere così. Guardando oltre la finestra di casa sua che dava sulla strada, vide che la luce era accesa. Si chiese per quale motivo. Sua madre non avrebbe mai lasciato la luce accesa quando poteva vedere benissimo, vale a dire di giorno. E in una stanza in cui non era. Quando arrivò alla porta, era così immerso nei suoi pensieri che non si accorse subito che qualcosa non andava. Ma poi, facendo per suonare il campanello, notò che la porta non era chiusa, era solo accostata. Cosa molto strana. Decise di non suonare, entrando direttamente. Voleva arrivare direttamente in fondo a quella storia. Spalancò la porta e sentì un improvviso bisogno di vomitare. Non c'era una cosa che fosse al suo posto. I mobili erano rovesciati, c'erano oggetti ovunque. Fece un giro della casa, correndo più in fretta possibile, con il panico che gli faceva sentire il battito del suo cuore. Battito che non aveva, ma era troppo abituato a sentirlo in quelle situazioni di merda che gli era rimasto impresso nelle orecchie. Tutto il resto della casa era nella stessa situazione. Le luci erano accese, non c'era niente che fosse al suo posto, i libri erano tutti caduti fuori dalle librerie, i quadri appesi alle pareti erano ora a terra, in sala da pranzo c'era ancora quella che doveva essere la cena della sera prima, guardando tutte le mosche che vi ronzavano attorno. E anche il fatto che ci fossero tre piatti. Si fermò un attimo, sostenendosi al tavolo. Non aveva idea di quello che fosse successo, ma era certo che non sarebbe successo se lui fosse stato lì. Era tutta colpa sua. Era un cretino, era davvero un cretino. Continuò a domandarsi cosa fosse successo, fino a quando non andò a controllare l'unica stanza che non aveva ancora visto. Il bagno al piano di sopra, vicino alla sua stanza. Non l'avesse mai fatto. Cadde sulle ginocchia, con un grido agonizzante. Era tutta colpa sua. Tutta colpa sua. Le pareti erano quasi interamente rosse, coperte dal sangue di sua madre e sua sorella. Ma di loro, nessuna traccia. Cosa diavolo era successo? Perché era successo? E lì, sul pavimento, in mezzo al sangue, tra impronte di mani e piedi, stava una scritta. Solo una parola, che lo mandò in bestia. Aiuto. Solo quella parola, scritta nel sangue, tremolante. Chiunque aveva fatto questo avrebbe pagato. Chiunque fosse stato. Le due persone che più amava in quell'orrendo mondo erano scomparse, rapite, chissà, forse adesso anche morte, ed era tutta colpa sua. Era stato lui a non andare da loro, era stato lui a non pensare che fosse strano che sua madre non gli avesse più scritto. Era stata colpa sua. Ma adesso doveva rimediare. Doveva assolutamente trovare una soluzione, doveva salvare la sua famiglia, se era ancora possibile, se non era già stata uccisa brutalmente. Anche con tutta la rabbia che aveva addosso, adesso che stava camminando, notò i graffi insanguinati lungo le pareti. Era così arrabbiato, con sé stesso, con chiunque avesse osato fare del male alla sua famiglia, che credeva che sarebbe esploso. Non poteva credere di essere stato così stupido. Questo era diverso da tutte le altre cose, questo era davvero terribile. È colpa di Clary, si disse. Ma poi si diede ancora dello stupido. No, era solo colpa sua, che era rimasto all'Istituto con lei invece di preoccuparsi di cose più importanti della sua gelosia. Cosa diavolo credeva che sarebbe successo se avesse lasciato la sua ragazza con Jace? Niente sarebbe successo, ecco cosa. Perché il Nephilim era sdraiato in un letto dell'Infermeria, mezzo morto. Avrebbe dovuto andare a casa, avrebbe dovuto capire qual era la cosa più importante. Ma non avrebbe mai immaginato che sarebbe successo quello. Arrivato sulla porta, proprio mentre stava per uscire, si bloccò, incapace di fare un altro passo. Come poteva essere stato così idiota da non notare i dettagli? Quel rapimento non era certo opera dei Mondani, non avrebbero avuto interesse a rapire una famiglia di ebrei nemmeno tanto ricca. Non erano nella Germania nazista. Quel rapimento doveva essere sicuramente opera di... Certo, come aveva potuto non pensarci prima. Le luci erano accese, era successo di notte. Be', questo avrebbe potuto essere normale, non doveva essere tanto facile rapire qualcuno di giorno. Ma tutto quel sangue. Tutto quel sangue poteva avere solo una spiegazione. E quei graffi sulla parete. Chi era tanto forte da trascinare qualcuno anche se si aggrappava a tutto con tanta determinazione da farsi male? Sentì la rabbia ribollirgli dentro. Che stupido. Che razza di stupido era stato. E lui aveva pure voluto che lo perdonasse. Che stupido. Aveva pianto per lui. Che stupido! E lui era così che lo ripagava? Era l'unica spiegazione possibile. Non gli importò di chiudere la porta dietro di sé, così i vicini non si sarebbero fatti domande. Iniziò a correre, con un solo luogo in mente. Doveva raggiungerlo il più in fretta possibile. Forse sua madre e sua sorella erano ancora salvabili. Non gli importò che fosse giorno e che tutti avrebbero potuto vedere che era un Diurno. Dopotutto lo sapevano già tutti, le voci circolavano. Corse il più in fretta possibile, non gli importava cosa pensassero i Mondani, doveva salvare la sua famiglia. Era sicuro che quella fosse l'unica spiegazione logica. Chi altri, se no? Che stupido, che stupido. Doveva raggiungere la sua destinazione il più in fretta possibile. Aveva già fatto abbastanza cazzate fino a quel momento. Doveva sistemare le cose. E anche se era giorno, avrebbero fatto meglio a degnarlo della loro attenzione. Corse senza pensare a quello che stava facendo, fino a quando non vide l'hotel DuMort in lontananza. I vampiri del Clan avrebbero fatto meglio ad ascoltarlo, perché non si era mai sentito tanto arrabbiato con qualcuno. E sentiva che avrebbe anche potuto privare qualcuno della sua non-vita.

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