Too dark to care ~ pt.2

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Magnus Bane stava camminando per le strade di New York, con calma. Nell'aria c'era odore di pioggia. Probabilmente sarebbe presto scoppiato un temporale, guardando anche quanto il cielo si era coperto nell'ultima mezz'ora. Volendo avrebbe potuto aprire un portale e ritrovarsi nel salotto del suo appartamento, direttamente. Ma, per qualche motivo, aveva preferito camminare per quella città così caotica, guardandosi attorno. Gli piaceva quel luogo. Aveva lasciato l'Istituto già da parecchio tempo, nessuno si era lamentato. Avrebbe voluto che Alexander andasse con lui, ma sapeva che lo Shadowhunter era preoccupato per Jace, ed era quello il motivo per cui aveva deciso di rimanere nell'apparente vecchia, decadente, e abbandonata chiesa. Forse era il caso che l'aveva spinto a prendere la via più lunga, forse invece era il destino. Non che potessero accadere molte cose per coincidenza, nella vita di uno stregone. Aveva vissuto così tanto, aveva incontrato così tante persone... Molti l'avevano abbandonato, molti erano morti, altri invece erano ancora lì. Sapeva che prima o poi sarebbe successo anche al giovane Lightwood. Sarebbe... Morto. E non sarebbe mai potuto essere sostituito. Davvero. Cercava sempre di cancellare quel pensiero dalla sua mente, di dirsi che avevano ancora tempo, ma... Non ci riusciva sempre. Il tempo, per gli immortali, era qualcosa di relativo. Si potevano accorgere del suo scorrere, che quelle lancette non smettevano di andare avanti, solo vedendo le altre persone. Le persone che non erano come loro. I Mondani, gli Shadowhunter. Nessuno stregone aveva chiesto di nascere così, di essere figlio di un demone. Erano cose che succedevano. Le cose erano come erano, e non potevano essere cambiate. In nessuno modo, da nessuno. Fatto sta che, mentre camminava con troppi pensieri per la mente –sulla vita, la morte, l'amore, l'eternità -, tra tutto quel caos notturno, riuscì distintamente a sentire qualcosa che gli fece accapponare la pelle. La notte di quelle città, così enormi e troppo rumorose, era pericolosa. Molto più pericolosa di quanto si potesse immaginare. E insidiosa, insieme a tutti i suoi vicoli bui, ai luoghi nascosti alla vista. Sentì distintamente un grido di terrore, tra tutti rumori delle automobili, che impedivano ai più di sentire anche la loro stessa voce. Quando sentì quell'urlo, Magnus si precipitò verso il vicolo dal quale era sicuro provenisse. Avrebbe potuto trovare soltanto Mondani impegnati a fare le solite cose indecenti da Mondani, ma per qualche motivo ne dubitava. Infatti, rallentando il passo giusto il tempo di capire cosa stesse succedendo, vide un Mondano a terra, che aveva smesso di gridare, e una figura sopra di lui. Lo stregone era abbastanza sicuro che non si stessero baciando. In attimo, con la sua magia, arancione scuro e aggressiva come fuoco, strappò il vampiro dal corpo del Mondano, mandandolo contro il muro dalla parte opposta del vicolo. Si inginocchiò subito accanto al Mondano, per vedere se fosse ancora vivo. Aveva il respiro lento e gli occhi inebetiti, ma per altro sembrava che si sarebbe ripreso. Non passarono che pochi secondi prima che quello perdesse i sensi. Magnus si voltò arrabbiato verso il vampiro, che nel frattempo non se n'era andato, anzi, era rimasto fermo appoggiato al muro del palazzo. Non sapeva da dove provenisse, se dal Clan del DuMort o da qualche altro Clan nato segretamente, ma non importava. Prendendo il sangue di quel Mondano aveva rotto gli Accordi, aveva rischiato di ucciderlo, avrebbe dovuto pagare. Si sarebbe aspettato di tutto. Si era aspettato un Uccellino sperduto e incapace di capire cosa gli stesse succedendo, un vampiro reso cieco dalla fame, un ghignante e arrogante vampiro che credeva di avere il diritto di fare di tutto. Ma non quello che vide. Fu come essere investito da un bus in pieno. Non che ci avesse mai provato, ma non doveva essere una sensazione piacevole. Per un attimo credette anche che il vampiro in questione potesse avere un gemello segreto, ma poi si diede dello stupido. Non era certo possibile. Ma anche quello gli sembrava impossibile. Perché tra tutti i vampiri possibili e immaginabili, non si sarebbe mai, davvero mai, aspettato...

Raphael. E non in quello stato, non in quell'orribile stato in cui si trovava. Chiunque altro avrebbe fatto fatica a riconoscerlo. Non l'aveva mai visto così distrutto. L'aveva visto compatirsi da solo, l'aveva visto combattere, ma non l'aveva mai visto piangere. Le lacrime scarlatte colavano sul suo pallido viso in un disegno inquietante. I suoi capelli erano disastrosamente in disordine, ed era piuttosto sicuro che fossero incrostati di sangue in più punti. Non indossava uno dei suoi soliti perfetti completi, bensì un paio di quei pantaloni che ogni essere dotato di intelligenza indossava solo in casa, a dormire o se proprio doveva a correre, e una semplice t-shirt grigio scuro. E non aveva le scarpe. Era qualcosa di davvero terrificante. Magnus conosceva quel vampiro da ormai sessanta lunghi anni e non l'aveva mai visto così. Nemmeno quando era appena diventato un vampiro. Non in quello stato. Si dimenticò di tutto, degli Accordi, di quello stupido Mondano ancora sullo sporco pavimento dietro di lui, voleva solo capire. Si avvicinò lentamente al vampiro, considerato che sembrava davvero fuori controllo. Raphael stava immobile e lo fissava, con gli occhi colmi di lacrime. Non riusciva a smettere di piangere, non ci riusciva. Si sentiva incredibilmente debole, non aveva potuto controllare la sua fame e aveva attaccato quel Mondano, ma non voleva farlo davvero, aveva dovuto. Sapeva che Magnus l'avrebbe rimproverato per quello che aveva fatto, e sapeva anche che l'avrebbe fatto a ragione. Ma si sentiva distrutto. Tutti le emozioni che aveva cercato di tenere dentro di sé l'avevano fatto esplodere. Aveva dovuto andarsene dal DuMort, aveva dovuto correre senza una meta, cercare di scappare da tutto quello che sentiva. Avrebbe voluto morire. Morire di nuovo e restare morto. All'Inferno, ma più in pace di quanto non fosse in quel momento. Aveva fallito, aveva ceduto. Aveva provato di nuovo amore, si era di nuovo lasciato distruggere. Eppure aveva promesso. Si era promesso. Non avrebbe dovuto, non avrebbe dovuto. Dopo Dahlia aveva capito che poteva fare di tutto per le persone, ma che loro l'avrebbero sempre visto come un mostro. Ma, in fondo, avevano ragione. Lui era davvero un mostro. I vampiri erano dei mostri. Solo dei dannati mostri senz'anima destinati all'Inferno. Voleva solo che Magnus se ne andasse, che lo lasciasse in pace per una buona volta. Ma, d'altra parte, voleva anche che qualcuno lo aiutasse, lo aiutasse a non provare più niente. Perché non poteva andare avanti così. Già prima riusciva a malapena a resistere, ma adesso... I vampiri erano morti! Non era giusto che si sentisse così... vivo. Così spaccato dalle emozioni. Magnus non se ne andò. Non aveva alcuna intenzione di farlo. Si avvicinò piano a lui, fino a quando non gli fu davanti. Raphael raccolse a sé le gambe, in un disperato tentativo di nascondersi, come un bambino spaventato. Magnus si accovacciò, osservandolo. Sentiva che questa volta non sarebbe stato in grado di aiutarlo, ma non sapeva perché. Era una sensazione che aveva dentro. Ma voleva, doveva, aiutarlo. Era il suo dovere. Tanto tempo prima aveva promesso che si sarebbe preso cura di quel vampiro, e non avrebbe mai smesso. Perché, per quanto Raphael volesse apparire freddo e distaccato, lui aveva visto quanta determinazione poteva avere, quando si trattava delle persone che amava. Sapeva che teneva alla sua famiglia più di quanto tenesse alla sua stessa non-vita. Tutti credevano che fosse cattivo, che fosse crudele, ma la verità era che non sapevano niente. Non sapeva quante ne avesse passate. Non sapevano che si comportava così perché credeva di essere senz'anima, e qualcuno senz'anima non poteva che essere crudele. Lo stregone rimase fermo a guardarlo singhiozzare per qualche minuto, fino a quando il vampiro non decise di parlare, tra le lacrime.
-Perché? –era poco più di un sussurro, Magnus quasi non lo sentì. E comunque non riuscì a capire. Non aveva idea di cosa fosse successo, e quella domanda non significava assolutamente nulla. O qualunque cosa. Raphael trovò il coraggio di guardarlo, alzando lo sguardo. –Perché sono sempre io? –lo stregone non sapeva rispondere, e questa cosa lo stava uccidendo. Doveva aiutarlo, ma per farlo doveva prima capire. Mise una mano sulla spalla del vampiro, dicendo solo il suo nome, dolcemente. Aveva bisogno che parlasse. A quel punto il vampiro cominciò a parlare chiaramente, senza riuscire a fermare quel fiume di parole, che si univa al fiume di sangue. –Perché devo sempre stare male io? Perché non qualcun'altro? Non ho mai chiesto che questo –lo disse con disprezzo, stringendo gli occhi. Lo disse di sé stesso. –mi accadesse. Non ho mai voluto perdere la mia anima. Non ho mai voluto morire. Perché devo sempre soffrire? Perché non ho il diritto di provare qualcosa? Perché devono sempre tutti farmi del male? Non ho mai voluto essere un vampiro, non ho mai voluto diventare un mostro. Perché sempre io, Magnus? –si lasciò sfuggire un singhiozzo, cercando di continuare a parlare. –Lo so. Non so nemmeno perché sono così stupido da chiedermelo. –rise sarcasticamente. –Perché dovrei meritarmi amore? Non l'ho mai chiesto, ma sono un mostro. Dovrei accettarlo. Non ci può essere amore per un mostro. –guardò lo stregone dritto negli occhi, stringendo i denti. Non si era mai sentito così stupido. Si stava facendo compatire, quando sapeva perfettamente di meritarsi tutto. Ogni parola, ogni sguardo cattivo, ogni cuore colmo di odio. Sapeva di meritarseli, ma faceva comunque male. Eppure non riusciva a capire perché. Non aveva senso. Magnus si sentì come se un altro bus lo avesse investito. Non riusciva a sopportare la vista di Raphael così confuso. Stava soffrendo. Si domandava il perché, ma allo stesso tempo diceva di meritarsi tutto il dolore che gli veniva inflitto. Non sapeva davvero cosa dire, ma una cosa era certa: il vampiro poteva credere tutto quello che voleva, ma aveva comunque dei sentimenti, anche cercando di nasconderli. Gli prese entrambe le spalle e lo scosse, guardandolo dritto negli occhi, mentre diceva:
-Forse è vero! Forse davvero sei un mostro, forse davvero sei dannato, forse davvero sei senz'anima. Ma non sei senza cuore, Raphael... -il vampiro non seppe più cosa dire. Sapeva che Magnus aveva ragione. Ma se avere un cuore era così, avrebbe preferito non averlo. Era già fermo, qual sarebbe stata la differenza?

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