capitolo 9

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Nico pov's

Ovviamente non potevano capitare due notti tranquille di seguito. Sarebbe stato chiedere troppo. Il lato positivo: non sognai il Tartaro. Il lato negativo: era peggio. Non pensavo potesse accadere qualcosa di peggio nella mia mente, ma mi smentii subito. Ero in una sala enorme con il soffitto basso. Ma non restai imoressionato da questa, bensì dalle persone che c'erano dentro. Già perché la sala era piena di venti. E con piena intendevo che erano presenti talmente tanti spiriti da non riuscire a vederli tutti. Sembravano riuniti intorno a qualcosa, così mi feci spazio tra loro ed arrivai al centro di quell'inquietante riunione. Pensai che se avessero potuto vedermi sarei già stato morto, non c'era possibilità che un semidio potesse batterli. Mi sentii piccolo. Odiavo sentirmi in quel modo. Ma la cosa peggiore era che quella sensazione in confronto a quello che vidi dopo era accettabile. Intanto i venti iniziarono una strana cantilena, che non sembrava rivolta a me. -Lui ti lascerà morire, sai che lo farà- ebbi la sensazione di essere quel lui. Dentro la gabbia c'era un ragazzo. Il suo corpo era pieno di tagli e ferite. Sembrava stravolto, giaceva atterra svenuto con le lacrime che tracciavano il contorno del suo viso. Presunsi che fosse svenuto dato che sicuramente non si era addormentato. Ma cosa peggiore era che lo avevo riconosciuto subito. Lo avevo riconosciuto da quei ricci biondi che ormai mi erano diventati familiari. Davanti a me c'era Will Solace e sperai veramente che fosse solo un sogno. Il sogno cambiò, mi ritrovai nella stessa stanza, ma era vuota. O almeno così sembrava. Sì scorgevano Delle ombre che si agitavano nell'oscurità. Poi una di loro parlò. Tutte le altre si fermarono. Aveva una voce fredda, inquietante, ma bellissima. -Non riuscirai a salvarlo, non porterai a termine la tua missione, sei così debole-
Mi tremavano le dita.
-Sei debole-
-No- urlai interrompendo quella risata sinistra. Poi il sogno cambiò un ultima volta. Mi ritrovai davanti a mio padre, ma in una scena che avevo già vissuto. Mi vedevo infatti in quella capella, Quando mio padre aveva detto che alcune morti erano necessarie. Quella chiesa mi dava i brividi.
Mi svegliai sudato e con il cuore a mille. Sapevo che era un'altro sogno, ma era così reale. Quel genere di sogno che ti fa pensare subito a dove stavano accadendo quelle cose. Quando quel pensiero mi sfioró la spina dorsale fu scossa da mille brividi. Per un breve momento di panico mi chiesi se Will fosse ancora al Campo. Se quelle cose si fossero avverate? Se Will si fosse trovato in quelle condizioni per colpa mia? O se fosse stato usato come esca? Se in quella faccenda c'entrava in qualche modo mio padre, non c'era niente di buono. A pensarci bene se in quella faccenda c'entravo io non c'era niente di buono da aspettarsi. Non avrei lasciato che niente di tutto questo accadesse. Non dovevo più parlarci, dovevo allontanarlo. Dovevo fingere che non mi importasse di lui. Tanto ormai mi ero allenato con Percy, pensai amaramente. Le prime luci dell'alba iniziavano ad oltrepassare le mie tende. Restai sul letto a fissare il soffitto per un tempo indeterminato. Forse qualche lacrime scivolò sul mio cuscino, ma fui risvegliato dal mio stato depresso dal campanello che suonava. Mi alzai di malavoglia fissando la porta. Come se volessi incendiarla. Aprii con forza la porta e mi ritrovai davanti a Will.  Rimasi immobile come una statua a fissarlo. E poi feci la cosa più stupida che potevo fare. Gli sbattei la porta in faccia e me ne tornai a letto, ignorando il suo bussare insistente. Quando alla fine si arrese dovetti lottare contro l'impulso di andare da lui e spiegargli tutto. Invece restai lì, nel mio letto con la faccia affondata nelle lenzuola, per un tempo che mi sembrò troppo lungo.

Tre giorni.
Tre giorni passati ad ignorarlo. Tre giorni passati a guardarlo solo durante i pasti. Ad evitare il suo sguardo pieno di delusione. Ad ascoltare le voci di quel sogno che tornava nella mia testa puntualmente ogni notte. Tre giorni da schifo. Ogni minuto provavo il desiderio di andare da lui, ma con le ore il desiderio si affievoliva. Non mi avrebbe mai perdonato. Non dopo che gli avevo sbattuto la porta in faccia. Il giorno seguente aveva provato ad intercettarmi fuori dalla cabina. Avevo semplicemente accelerato il passo e mi ero chiuso la porta alle spalle. Nonostante questo era comunque nei miei pensieri. Ogni singolo giorno, ogni ora e ogni minuto. Non ci potevo fare niente. Ma almeno lui mi avrebbe dimenticato nel giro di una settimana. Almeno una parte di me voleva che fosse così. L'altra pregava che non mi lasciasse, che mi capisse, che mi cercasse.

Will pov's

Non riuscite ad immaginarvi un figlio di Apollo che non sorride più da tre giorni? Venite a cercarmi e lo vedrete addirittura dal vivo. Austin aveva provato a distrarmi in tutti i modi, alla fine si era limitato a non lasciarmi da solo. Ad ascoltarmi in quei rari momenti in cui spiccicavo parola. Mi avevano anche annullato i turni all'infermeria, le mie formule non funzionavano come prima. Continuava a ripetermi che non potevo stare così solo per lui. Che si sarebbe risolto tutto, ma non mi importava. Perché in quel momento non era risolto niente. Provai diverse volte a parlarci, ad almeno incrociare i suoi occhi. Niente. Devo dire che inizialmente ero anche arrabbiato. Ma poi tutta la mia rabbia si era tramutata in delusione. Solo al terzo giorno di questo stato catatonico mi decisi a tornare in infermeria e riprendere tutto come prima. Stavo riuscendo a far tornare a galla il vecchio Will. Fino a quando non dovetti per forza incrociarlo. Ci erano stati assegnate le ricognizioni delle cabine insieme. Aspettai vari minuti che arrivasse per iniziare il giro. Quando arrivò mi prese un colpo. Aveva le occhiaie, le labbra screpolate a sangue e i capelli più spettinati del solito. Incrociai i suoi occhi e capii che c'era qualcosa che non andava. Ma non chiesi niente, come aveva detto lui non potevo stare a preoccuparmi di persone a cui non interessavo. Peccato che io non fossi lui. Non ero capace di una cosa del genere.

Nico pov's

Lo vidi in lontananza e sperai che fosse lo stesso Will di sempre. Una parte di me si aspettava che mi salutasse, l'altra voleva solo stringerlo a se. Nessuna Delle due cose accadde. Sprofondammo in un silenzio congelato e iniziammo il giro delle cabine. Andò tutto bene fino alla cabina di Poseidone. Che ovviamente non dovevamo ispezionare perché Percy non c'era, ma ci passammo comunque per non interrompere il giro. -Ora basta- disse fermandosi e per poco facendomi sbattere contro di lui. -Voglio sapere perché- disse incrociando il mio sguardo senza lasciarmi modo di scappare ai suoi occhi celesti. Le labbra dicevano posati sulle sue. Il cuore diceva spiegagli tutto. Il cervello mi faceva una muta domanda. -Vuoi che Will finisca in quel modo?-  no non volevo. Sapevo che dopo quello che stavo per dire mi avrebbe odiato per sempre.
-Il perché di cosa Solace? Semplicemente mi sono stufato. Dovevi ascoltare gli altri. Neanche tu puoi resistere accanto a me, neanche il più perfetto dei figli di Apollo. Andiamo...chi ti fa credere che me ne importi qualcosa?- non c'era bugia più falsa di quella che avevo appena detto, perché tenevo a lui. Più di quanto tenessi a qualsiasi altra persona in quel campo. Tenevo a lui più di quanto pensassi e me ne ero accorto troppo tardi. Stava lì, a fissarmi con disprezzo, indeciso se replicare. Io avrei solo voluto dirgli di non lasciarmi perché mi piaceva, più che come amico. Di non lasciarmi perché io non l'avrei fatto. Di non lasciarmi perché io ero un egoista e se lo avesse fatto sarei crollato. Ma stetti zitto. Zitto a guardare quegli occhi che diventavano lucidi. Quegli occhi che mi fecero sentire la cosa peggiore di questo mondo. Mantenni la postura, l'espressione e gli occhi impassibili, finché infine lui disse.
-Vai al Tartaro Nico-  lo disse freddo, interrompendo quel silenzio che c'era stato tra noi, trasformandolo in una voragine che nessuno dei due poteva attraversare.

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