Noah

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-"Noah! C'mon!" sentii urlare mio fratello Lee.

-"Wait a minute!"

-"No! I'm leaving right now!"

-"I hate you!" dissi di rimando.

Stavamo andando tutti a messa, come i miei genitori ci obbligavano a fare tutte le domeniche, e se non mi fossi spicciato, mio fratello sarebbe partito senza di me, e io mi sarei ritrovato a doverci andare a piedi, visto che la mia macchina era in officina.
Mi infilai una camicia al volo, sperando che fosse pulita, e mi precipitai in garage. Per fortuna, Lee non era ancora partito, e salii al volo in macchina.
Guardai l'orario sul cruscotto.

-"Oh damm! You're an idiot!" dissi arrabbiato.

-"Why?" chiese Lee, sorridendo.

-"We're an hour ahead!"

-"I know, but Kayla is already there.."

Kayla era la ragazza di cui era innamorato mio fratello, anche se lei ovviamente non lo sapeva. Si ostinava a sostenere che se si fosse dichiarato, sarebbe sembrato stupido, quindi, in breve, stava aspettando che il messia le mandasse un segno divino, visto che erano due anni che la guardava da lontano. Se non avesse smesso, avrei parlato io con quella ragazza. Era inutile comportarsi come lui.
In 15 minuti fummo davanti alla nostra chiesa protestante. Fuori c'era già qualche persona, e io ne approfittai per andare a fumarmi una sigaretta, un'isolato più avanti. Non volevo che mi vedessero fumare: era un brutto vizio, ma non riuscivo a smettere.
Ero riuscito a diminuire la frequenza, da un pacchetto a un paio di sigarette al giorno, ma quando mi annoiavo o ero nervoso, non riuscivo a evitare di accenderne una, come in quel caso.

Mi feci una passeggiata per il quartiere; abitavamo a Brooklyn, a 10 minuti da Manhattan, dove vi erano bei negozi, un parco, e molti locali nelle vicinanze. L'unica sfortuna era il traffico: difatti, a parte per andare in chiesa o a fare la spesa, mi muovevo sempre in metropolitana, e così i miei genitori e i miei fratelli.
Questo posto per me, era "casa", ma amavo molto di più il mio appartamento a Manhattan, dove percepivo a pieno, la frenesia della città.

Non so per quanto camminai, ma guardando l'orologio, mi accorsi che mancavano venti minuti all'inizio della messa, pertanto mi affrettai, sedendomi poi nelle ultime file della chiesa. Non si poteva dire che fossi ateo, ma essendo in disaccordo con alcune cose della mia religione, non amavo particolarmente recarmi in chiesa. Lo facevo solo per far piacere ai miei genitori, e per evitare di essere l'argomento del giorno delle zitelle e degli anziani del quartiere.
Finita la predica, mi alzai, strinsi la mano al reverendo e uscii.

-"Jackson!" sentii qualcuno chiamarmi per cognome da sinistra.

Mi girai e vidi C.J, il mio migliore amico. Ci conoscevamo da che ne avevamo memoria, e avevamo frequentato tutte le scuole insieme; e nonostante io facessi medicina e lui ingegneria, eravamo più uniti che mai, dal momento che condividevamo l'appartamento, insieme ad Emily, l'altra coinquilina.

-"Ehi bro!" dissi abbracciandolo.

-"Allulja! It's finish!" disse con un cenno indicando la chiesa.

Anche lui la pensava come me, quindi eravamo compagni di sventura. Decidemmo di restare insieme a casa sua per pranzo e nel pomeriggio; a cena invece sarei andato dai miei.
Passammo il tempo chiacchierando, giocando alla play, ed essendo bel tempo, facemmo qualche tiro a canestro.
Verso le 6 pm, tornai a casa.

-"Ciao straniero!" disse mia sorella Lauren aprendomi la porta.

-"Ciao piccolina!" dissi baciandole la fronte.

Salii le scale, e andai in camera a preparare la borsa con i vestiti puliti, e ciò che mi mancava a casa. Scesi poi in sala da pranzo, e presi posto.

-"Cos'è questo silenzio?" chiesi ridendo.

-"Aspettavamo te per cominciare!" disse acidamente mia madre.

Restai in silenzio, e mio padre disse la preghiera, dopo la quale, potemmo finalmente mangiare. Per tutta la cena non si proferì parola, e una volta finito, chiedemmo il permesso per alzarci da tavola e portar fuori il cane.

-"Che noia totale!" disse Lee non appena fummo fuori.

-"A chi lo dici!" rispose Lauren.

-"Dai ragazzi.. Lo sappiamo che è così quindi che possiamo farci?" dissi riferendomi ai miei genitori.

Jim, mio padre, era un uomo di poche parole, militare in pensione, che aveva preso male il mio abbandono delle sue orme, e che ora non mi rivolgeva quasi la parola, riservando lo stesso trattamento anche ai miei fratelli.
Carol, mia madre, era una donna fredda e molto devota, che dava peso solo alle apparenze.
Questo aveva fatto sì, che io e i miei fratelli fossimo molto uniti, forse aiutati anche dalla poca differenza di età tra noi: Lee era il più piccolo, 17 anni, seguito da Lauren, 20 anni, e poi c'ero io, con i miei 23 anni appena compiuti.

-"Posso stare da te mercoledì?" mi chiese Lauren.

-"Si certo perchè?"

-"Ho uno stage giovedì mattina presto, così mi eviterei una levataccia!" disse ridendo.

-"Tranquilla! Lee.. Piuttosto! Noi giovedì abbiamo Knics contro Bulls! Ci sei vero?"

-"Certo! Assolutamente!" rispose entusiasta.

Entrambi amavamo il basket e lo sport in generale, ma lui al contrario mio, era una promessa del basket: era già un anno che lo tenevano d'occhio per offrirgli un contratto; ed io ero davvero fiero di lui.
Lasciammo Toby in giardino, e una volta presa la borsa, salutai tutti e mi misi seduto sul marciapiede ad aspettare C.J, che arrivò 10 minuti dopo.

-"Greenhouse?" chiesi salendo in macchina.

-"Oh yes!" rispose subito.

La Greenhouse, era una delle nostre discoteche preferite a Manhattan; un posto su due piani, con musica bellissima, e sempre pieno di belle ragazze.
Lasciammo la macchina in garage, e ci dirigemmo a piedi in discoteca. Una volta dentro, ci guardammo in giro, per scegliere le nostre prede: eravamo entrambi di bell'aspetto, e non era difficile rimorchiare.
Puntammo due ragazze bionde che ci sorridevano dall'altro lato della sala. Andammo verso di loro, e dopo un paio di drink, ce le portammo a casa.

Non fu il massimo come performance, ma mi accontentai; chiamai un taxi per la ragazza con me, e la accompagnai alla porta.

-"Ci sentiamo presto eh! Chiamami!"

-"Si si certo! Prestissimo!" dissi chiudendo la porta.

Come potevano pensare che venendo a letto con me la prima sera, io potessi anche solo considerare di rivederle. Se facevano così con me, avrebbero potuto farlo con chiunque, quindi non le consideravo nemmeno.

Mi bloccai. Ero un bugiardo.
C'era stata una ragazza per la quale avevo fatto un'eccezione; una ragazza che mi aveva rubato il cuore, ma era storia vecchia. Dopo di lei, nessuna mi aveva più fatto stare così bene, e sentire amato. Avevo sofferto talmente tanto per il suo abbandono, che mai avrei lasciato che qualcun'altra si avvicinasse a me a tal punto da conoscermi davvero e darle tutto me stesso. Mai.

The second chanceDove le storie prendono vita. Scoprilo ora