Capitolo 6

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Quanto lontano avevo portato Jesse quella notte? Continuavo a chiedermi come dovevo procedere per trovarlo, se cominciare passo passo da dove mi trovavo ora, oppure sprigionare tutta l'energia che sentivo dentro e partire dall'alto.

In fondo era uguale. Non so perchè continuavo a pensare alla legge di Murphy. Qualunque scelta avessi fatto in quel momento, si sarebbe rivelata sbagliata. Tanto valeva cominciare dalle dimensioni più vicine.

La dinamica ormai mi era chiara, occhi chiusi, fremito alla bocca dello stomaco, lo ampliavo in tutto il corpo e boom. Era fatta.

La mia scritta sul muro era sparita. L'orologio segnava 13,899. Evidentemente per me, era proprio la prima fermata. La stanza però era decisamente diversa, non solo piccole variazioni. Sarei stata curiosa di conoscere in cosa ero diversa in quella dimensione, ma non avevo tempo. 

Avevo sentito qualche rumore nell'altra camera e cercai di non fare rumore mentre uscivo. Il piano era semplice:  andare verso casa di Jesse. 

Non vivevamo molto distanti, un chilometro preciso. Lo avevo misurato la prima volta che andai da lui, pensando subito che fosse l'ennesimo segno del destino. Un numero perfetto, non poteva essere altrimenti per noi.  

Passai in fretta davanti al piccolo parco di fronte alla casa della mia amica Sonya. Era da tanto che non ci parlavo, forse più di un mese. Non che fosse successo qualcosa, anzi. Semplicemente stavo dedicando tutto il tempo libero a lui. 

Guardando dentro quella casa, vidi dalla finestra del soggiorno quel divano su cui avevamo passato tante notti a parlare insieme. Bevendo cioccolata e panna d'inverno,  latte con la menta d'estate.

Non erano molte le persone con cui potevo dire di avere confidenza. Lei era una di queste. Mi voltai verso la quercia sotto cui ci accucciavamo nel suo giardino, allungai la mano per sentire la ruvida consistenza del tronco. Da qualche parte avevamo anche inciso le nostre iniziali 'VS', che per noi era come dire 'Versus'. Noi contro tutto il mondo. Prima di Jesse ovviamente.

Girai intorno all'albero. Ma non vidi nessuna incisione. Feci un altro giro, convinta di non averlo visto, ma proprio non c'era. Il tronco era pulito da ogni incisione. Possibile che in quella realtà non fossimo così amiche? O forse non eravamo state così stupide da rovinare il suo albero. Eppure la cosa mi fece male. Pensavo ci fossero cose che valevano in qualunque dimensione ci trovassimo. Io e la mia amica del cuore. Io e Jesse.

Ora muoviti Virginia. Mi ripetei. Non potevo fermarmi lì a pensare. Feci quasi di corsa la strada che mi separava dalla sua casa.

Prima la avvistai in lontananza, poi la vidi ingrandirsi di fronte a me. E infine ero lì. Davanti alla sua porta. Cosa avrei dovuto fare? Suonare e presentarmi a suoi genitori? 'Salve, sono Virginia, volevo chiedere, non è che Jesse è qua da voi che devo averlo lasciato in qualche dimensione alternativa e non ricordo quale?'.

No, non potevo. Avrei fatto il giro, mi sarei arrampicata sul cornicione e sarei entrata dalla finestra di camera sua. Non era la prima volta del resto. È vero che l'ultima volta, l'unica volta, che ci avevo provato ero caduta da tre metri di altezza e mi ero incrinata una costola. Ma ora sarebbe andata diversamente. Speravo.

Il cuore mi batteva all'impazzata mentre mi arrampicavo, ma non era il cadere la mia più grande preoccupazione. Salendo, sentivo qualche rumore provenire da camera sua e la luce era accesa. Qualcuno era in casa. Forse proprio Jesse.

Volevo solo urlare e vederlo uscire dalla finestra per scendermi incontro e abbracciarmi come non aveva mai fatto. Volevo baciarlo di nuovo, in fretta. E lasciare tutta quella strana storia alle spalle.

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