Capitolo 10

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Era tutto esattamente identico a prima, ma sapevo di aver viaggiato. Il display del bracciale segnava 14,199 questa volta. Tirai fuori il mio pennarello e lo segnai sul muro sotto lo sguardo divertito di Brian.

«Dobbiamo dividerci Virginia, sarà più veloce e più facile trovare informazioni. Tu potresti andare a casa tua e di Jesse per vedere se riesci a incontrare qualcuno. Io credo che farò un salto alla tua scuola.»

«Non credo saranno molto contenti di farti fare domande in giro...non sei esattamente una figura...scolastica.» Lo squadrai dall'alto in basso con i suoi jeans con qualche buco, la maglietta nera aderente e quella giacca di pelle degli anni ottanta. Una barba ormai pronunciata sul volto e capelli lunghi quasi fino alle spalle. Insomma, non certo qualcuno che passi inosservato in una scuola di ragazzini.

«Tu mi sottovaluti cara.» E mentre lo disse tirò fuori il portafoglio mostrandomi un distintivo. «Farò i miei giri e tutte le domande del caso, con il benestare della tua preside persino.»

Non so se fosse vero e nel caso come se l'era procurato, ma quel distintivo di agente privato molto probabilmente avrebbe retto il gioco il tempo necessario a fare le nostre ricerche.

«E bravo Brian, ne hai altre di queste interessanti sorprese?»

«Le tengo per i momenti migliori.» Mi fece lui sorridendo. «Ora però andiamo, lo sai che non è bene stare troppo fermi in una dimensione. Fai le tue ricerche e poi ci ritroviamo qua tra circa un'ora, va bene?»

«E sia.»

Ci salutammo in maniera piuttosto curiosa scambiandoci un cinque leggero con le mani basse. Era forse la prima volta che avevo un contatto con lui. A parte quando pensavo volesse uccidermi. Non avevo ancora inquadrato bene la sua figura, non sapevo nemmeno se potevo realmente fidarmi o meno. C'era qualcosa in lui che mi faceva sentire al sicuro in sua presenza. Ma avevo anche la sensazione che mi nascondesse qualcosa.

Feci a ritroso la strada dalla biblioteca a casa mia, cercando di osservare eventuali differenze, ma non ne trovai. Anche quando fui sul cancello d'entrata la cassetta della posta era uguale a come ricordavo. Dall'apertura spuntavano diverse riviste, che avevano riempito quasi tutto lo spazio, tanto da lasciare fuori per metà altre buste. Le presi facendo attenzione che nessuno mi stesse guardando. Le riviste erano di mio padre ovviamente, o meglio, del padre di chiunque vivesse in quella casa. Che cosa strana sapere di non esistere per niente in quella dimensione.

Nelle altre buste c'era qualche bolletta, il comune che informava di una nuova disposizione per la raccolta dei rifiuti e...una lettera della scuola. La mia scuola. Anche se ovviamente non era indirizzata a me, ma ad una certa Martha Stevenson. Giusto cognome. Nome sbagliato. Quindi era lei che aveva preso il mio posto?

Il respiro si fece più pesante per qualche secondo, avevo il cuore in gola e  gli occhi gonfi di lacrime. Sapevo perfettamente che avrei potuto trovare un'altra persona al mio posto, ma c'è la stessa differenza tra il vedere una partita di pallavolo dagli spalti e ricevere una pallonata in faccia mentre sei a rete.

«Martha sei tu?» Fece una voce femminile che si era affacciata alla finestra. Non era mia madre, ma quando uscì dalla porta per vedere cosa stavo facendo la riconobbi lo stesso. Era la Signora Landis, veniva anche da noi ogni tanto a fare qualche pulizia. Ebbi appena il tempo di rimettere tutto in fretta dentro la buchetta, tranne la lettera della scuola che avrei poi letto con calma.

«Buongiorno Signora Landis, scusi il disturbo. Stavo solo cercando Martha, sono una sua compagna di scuola ma credo di essere passata un po' in anticipo.» Cercai di metterci tutta la naturalezza e la cortesia possibile. Forse mi aspettavo che da un momento a l'altro mi riconoscesse. E non so se fosse una speranza o una paura.

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