SESSANTOTTO

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Il turno di Kate al distretto quella mattina era cominciato decisamente presto, ma così almeno avrebbe avuto parte del pomeriggio e la serata libera e pregava fortemente perché non accadesse alcun cataclisma o caso particolarmente spinoso che avrebbe intralciato i suoi piani. Era frustrante per lei non riuscire a fare nessun passo avanti nel caso del serial killer che stava seguendo ormai da tempo, ma dopo quella sequenza di omicidi ravvicinati, sembra essersi fermato di nuovo, sparendo nel nulla: aveva più volte parlato con i familiari delle vittime che andavano a chiederle conto delle indagini ed ogni volta doversi scusare per un nulla di fatto lo prendeva come una sconfitta personale, sapendo bene cosa quella gente stesse passando e quanto fosse frustrante e doloroso ricevere quelle misere giustificazioni e scuse, non poteva offrirgli di più e se ne faceva una colpa personale. Aveva pensato più volte che forse era anche colpa sua, che presa dalla sua vita non era stata abbastanza concentrata, che forse le era sfuggito qualcosa che avrebbe potuto portare alla risoluzione del caso. Così quella mattina era appena l'alba quando aveva varcato le porte del distretto e da sola, nel silenzio di una sala dove il via vai notturno si era acquietato e quello giornaliero non era ancora cominciato, aveva ricominciato a studiare ogni singola riga di quei rapporti, nella speranza di trovare qualcosa che fino a quel momento non aveva visto. Girò più volte il volto alla sua destra, un gesto spontaneo. Si aspettava di trovare il volto attento e curioso di Castle, lì dove si metteva sempre, quando lei leggeva i rapporti e lui faceva lo stesso da sopra la sua spalla, quando cominciava ad elaborare le sue strane ma spesso efficaci teorie. Era dura ammetterlo, ma le mancava anche quello e chissà, forse anche lui avrebbe trovato qualcosa in più: se avesse sentito i suoi pensieri avrebbe gongolato per settimane o forse per mesi. Prese il telefono e gli mandò un messaggio senza pensarci troppo, premendo invio prima di potersi pentire. "Mi manchi". La sua risposta non si fece attendere. "Anche tu.". Sorrise pensando che era un bene che non avesse capito che le mancava anche a lavoro e che il suo ego in quel momento non era arrivato fino a lì.

- Sai che se non avessi fatto lo scrittore mi sarebbe piaciuto fare l'insegnante? - Disse Rick a Joy mentre si sistemava seduta vicina a lui alla scrivania con il suo quaderno ed i suoi libri.

- Sei troppo buono per fare l'insegnante Rick! - Esclamò Joy ridendo.

- Non so se prenderlo come un complimento oppure no... ci devo pensare... - Fece finta di essere offeso e Joy si avvicinò e gli diede un bacio sulla guancia poi cominciarono quelle che erano le loro lezioni tenute rigorosamente in stile Castle, all'insegna del divertimento e del suo modo di raccontare le cose decisamente sopra le righe.

Quando suonarono alla porta, interrompendo la loro lezione, Castle le stava facendo una sua divertente e coinvolgente spiegazione del significato del romanzo "Le avventure di Huckleberry Finn" sottolineandole l'importanza di quel libro ed appassionandola alla lettura di un classico che non poteva non leggere ed amare come aveva fatto lui quando aveva più o meno la sua età. Di tutte le cose che studiavano insieme, Joy amava particolarmente quando Rick cominciava a parlare di libri e lo avrebbe ascoltato per ore, presa dai suoi racconti che sembravano dar una nuova vita a quei romanzi così vecchi e quando si interruppe per andare ad aprire ci rimase male per per quel viaggio sul Mississipi interrotto bruscamente, ma in attesa che lui tornasse, prese il libro e cominciò a leggerne lei qualche pagina, così sarebbe stato contento.

- Immagino lei sia Richard Castle.

L'uomo che si presentò alla sua porta non disse altro. Rick lo studiò attentamente prima di rispondere, che razza di modo era quello di presentarsi? Lui veniva a casa sua, era lui che avrebbe dovuto dirgli chi fosse. Sembrava piuttosto giovane, molto curato nell'aspetto con corti capelli castani chiari ed occhi verdi parzialmente nascosti dietro ad un paio di occhiali sottili. Era vestito in modo elegante, abiti di ottima fattura, sartoriali sicuramente, dalle maniche della giacca si intravedevano i polsini con i gemelli, decisamente un abbigliamento molto formale per bussare alla sua porta una mattina.

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