24.

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Louis si sveglia quella mattina con la guancia premuta sul petto di Mark. Impiega qualche minuto per mettere a fuoco l'ambiente circostante - una stanza non sua, un letto che profuma di Hugo Boss e qualcos'altro che non riesce a identificare. C'è una foto sulla parete dall'altra parte della stanza ed è bella, molto bella. È piena di colori e di facce felici di cui crede di aver dimenticato il nome. Espressioni allegre, vive. Louis riesce quasi a percepirne la concretezza. Realizza distrattamente di aver mosso una mano per portarla al proprio volto, a strofinare gli occhi ancora pesanti, gonfi, doloranti. E nel farlo, probabilmente ha disturbato Mark; lo ha svegliato, ammesso e non concesso che non lo fosse già da prima.
"Buongiorno, scricciolo," lo accoglie con voce sommessa, dolce come quella che rivolge solitamente a Ernest e Doris. Lo tratta come se fosse sul punto di rompersi, come se fosse fatto di vetro. Fragile come una farfalla.
Louis non risponde. La voce di Mark è distante, non sembra provenire da praticamente sotto di sé.
Mark non chiede se abbia dormito bene, non chiede se voglia fare colazione, non chiede come si senta e Louis apprezza. O almeno crede. Lo stringe appena in un mezzo e scomodo abbraccio, prendendo poi a carezzargli la nuca, a passare le sue dita grassocce tra i capelli morbidi che non ricorda di aver lavato o quando.
Socchiude le palpebre, sospirando. Percepisce distrattamente la mano dell'uomo allontanarsi dal proprio corpo e si ritrova a emettere un mugolio insoddisfatto, sofferente. Come se quel gesto, quel mancato contatto fisico dolesse più di ogni altra cosa.
"Mi piacerebbe farti dormire ancora, ma devo riportarti a casa. Hai dimenticato là il cambio per il funerale, Boo," sussurra Mark, prima di abbassare il mento e poggiare le labbra sul suo capo.
E ouch. Questo fa fisicamente male.
Ricordare.
Jay, lo sguardo dei dottori, le grida di Charlotte, l'attacco di panico di Félicité. Il messaggio agli amici e il funerale di cui non ricorda nemmeno un istante dell'organizzazione - chi lo ha fatto? Chi ha chiamato il prete per fissare la funzione? Chi ha parlato con le onoranze funebri? Chi ha mandato gli inviti? Chi ha fatto le telefonate? Chi ha organizzato la veglia e il rinfresco? Ce ne sarà uno?
Non lo sa.
"Dan può portarlo?" Non sa bene se sia una domanda, una mezza implorazione o l'accenno di un'ipotetica idea, di un patetico tentativo di ritardare il più possibile quel momento. Forse non avrebbe dovuto insistere tanto per la prima data disponibile per la sepoltura. Forse avrebbe dovuto aspettare un po' di più, solo fino a quando non fosse stato davvero pronto a dirle addio per sempre.
"Dan deve pensare alle ragazze e ai gemelli," gli fa notare Mark, senza smettere di passargli le dita tra i capelli in un gesto rilassante.
Sembra che stiano parlando del tempo, non di tutto quello che precederà il funerale di Johannah.
"Allora devo andare a casa," decide Louis. Non è Daniel che deve farsi carico delle ragazze; quello è compito suo. È sempre stato compito suo. Louis deve andare da Charlotte e Félicité e Daisy e Phoebe. Si domanda perché non sia già al loro fianco, mentre si siede con cautela e si guarda attorno, ancora stranito. Non è più abituato a trascorrere la notte a casa di Mark.
"Molly ha fatto il tè."
Ancora una volta, la voce di Mark è lontana, un'eco che sembra risuonare nella sua mente. Un ricordo passato.

• • • •

La gente sta entrando in chiesa a sguardo basso, con gli occhi gonfi di pianto. Louis è in piedi accanto alle porte spalancate, accanto a Daniel e Mark, e sta aspettando che portino la sua mamma. Sta aspettando che il carro funebre, bianco e laccato che aveva visto all'ospedale, apra gli sportelli sul retro cosicché possa andare a prenderla. Nel frattempo, deve attendere lì, con gli altri portabara, ad accogliere abbracci e baci che cerca di scansare il più possibile; non se ne fa niente della sofferenza altrui. Non se ne fa niente delle loro lacrime, delle loro condoglianze. Niente delle loro parole e dei loro gesti. Dei loro sguardi.
Non capisce per quale ragione la gente debba fermarsi a parlare con loro, a dire che dispiace che Jay sia morta, che non lo meritava, che la vita è ingiusta.
Come se non lo sapessero. Come se non fosse abbastanza ovvio. Come se non fosse la madre di Louis a essere morta.
Non risponde mai, non ricambia nessuno sguardo, sfugge agli abbracci. A tutti, senza eccezione. Alza lo sguardo solo quando sente la voce di Niall vicina, troppo vicina.
Non avrebbe dovuto risuonare nel piazzale. Non avrebbe dovuto esserci. Né lui, né gli altri. Harry soprattutto.
Registra passivamente il loro dolore, i loro occhi lievemente arrossati e le occhiaie profonde. Registra ed elimina le parole delle loro famiglie e osserva Anne, chiedendole in silenzio di non fare nulla, di avere pietà. Di non farlo crollare. Ed Anne, che aveva sollevato una mano per carezzargli la guancia, forse i capelli, gli stringe delicatamente la spalla, invece, sollevando appena un angolo delle labbra. È il suo modo di dirgli che ha capito, che deve essere forte, che arriverà alla fine di quella giornata e, in generale, alla fine di ogni altra. E lo farà a testa alta. È il suo modo di dirgli che va tutto bene, è normale sentirsi a quel modo - quale? Come se lei sapesse e basta - e che nessuno gliene farà mai una colpa.
Ha il diritto di soffrire e di soffrire in solitudine.
Harry invece ci prova. Ci prova a soffocare i singhiozzi, a trattenere le lacrime che stanno facendo brillare i suoi occhioni da cerbiatto color giada. Ci prova a sostenere il suo sguardo e a mordere il labbro inferiore perché non tremi, ma non ce la fa. Harry crolla come un castello di sabbia durante un maremoto.
E non ha ancora visto Jay, realizza Louis. A quel punto, forse, non riuscirebbe a staccarle gli occhi di dosso. Sarebbe troppo impegnato a pensare a quanto sia bella, a quanto sia regale ed elegante e... Jay, dentro a quella cassa di legno bianco come il carro, foderato di un tessuto morbido color scarlatto - bianco e rosso. I colori di quello che l'ha uccisa. Che barzelletta.
Non riesce a trattenere una mezza risata, amara e arrabbiata e divertita e piena di sofferenza. Deve distogliere lo sguardo e allontanarsi di qualche passo, isolarsi dal mare di gente che si sta riversando nella piccola chiesa. Eppure non gli sfugge lo sguardo ferito di Harry, come se Louis trovasse divertente la sua sofferenza e quella di tutti gli altri.
Poco importa; Harry non doveva venire. E così Niall. E Liam, che sembra un cane bastonato intento a tallonare il padrone nella speranza di ricevere un premio.
Alla fine, Harry entra in chiesa, sospinto da Gemma. L'unico a essere rimasto fuori assieme a lui e ai portabara è Zayn. Ha una sigaretta tra le labbra e gli passa una mano sulle spalle quando gli è vicino. Lascia un veloce bacio sulla tempia e poi si discosta, mettendo nuovamente le distanze. Louis si scopre bisognoso del contatto fisico, di qualcuno che possa stringerlo e fargli sentire di non essere solo come in realtà si sente.
"Io non posso entrare là dentro. Mio padre mi controlla a vista." Indica prima la chiesa e poi l'uomo seduto su una panchina poco distante. È un gesto discreto, sono parole mormorate a mezza voce. Louis risponde con un lieve cenno del capo e si porta le braccia attorno alla vita.
"Mia madre è dentro, comunque."
Altro cenno del capo, affermativo, poi Zayn gli porge la sigaretta e Louis fa un paio di tiri. Non riesce a godersela come vorrebbe, quindi gliela rende senza una parola.
"Ci spiace, ma non potevamo non venire. Non ci avresti perdonato."
E forse è vero, ma non importa. Non erano i patti - ammesso che ce ne fosse almeno uno.
Stanno guardando entrambi verso il carro funebre, quando qualcuno apre le porte e Louis ha l'impressione che il passo successivo sia vomitare sulle scarpe di Zayn.
Zayn che gli lascia una pacca sulla spalla e calpesta il mozzicone.
"A testa alta, Louis. Noi siamo qui." Poi, se ne va.
Louis deve andare a prendere Jay da solo. E la bara è pesante, e le sue gambe tremano troppo, e i polmoni bruciano ed è difficile guardare avanti a sé. Ma lo fa.
Louis cammina fino al carro funebre, Louis si sistema in prima fila, nell'angolo destro, e solleva la bara assieme agli altri. Louis entra in chiesa con passo sicuro, seguendo e mantenendo il ritmo dettato, Louis non abbassa lo sguardo, mai. Nonostante le labbra serrate e il viso pallido e gli occhi rossi.
Louis lascia la bara solo dopo aver dato un ultimo sguardo a Jay, solo dopo essersi chinato in avanti e averle baciato la fronte fredda, rigida e allo stesso tempo rilassata - libera dal dolore e dai problemi. Finalmente libera.
Scende i gradini che lo separano dalla prima fila con sguardo fiero, accomodandosi in mezzo a Charlotte e Félicité e domandandosi perché Harry e la sua famiglia siano in prima fila, ma dall'altra parte. Secondo l'ordine di presentazione, avrebbero dovuto essere indietro, molto indietro. Come gli altri.
Louis avrebbe preferito evitare la funzione con lo sguardo ferito e solo e triste di Harry puntato addosso, allo stesso modo in cui avrebbe preferito non seppellire sua madre, non saperla morta e nemmeno malata.
Louis preferirebbe svegliarsi da quest'incubo il più presto possibile, grazie mille.

• • • •

Se qualcuno abbia parlato, durante la funzione, non lo sa. Se lui stesso sia andato dietro al leggio e abbia detto qualcosa, non lo sa. Se qualcuno abbia pianto, si sia soffiato il naso, abbia scosso il capo o si sia aggiustato il completo, non lo sa.
Sa solo che ha dovuto caricarsi la bara di nuovo chiusa sulle spalle troppo presto. Sa solo che ora stanno buttando un fiore e una manciata di terra a turno e che il suo non è ancora venuto - o forse è stato il primo?
Sa solo che a un certo punto Mark ed Anne iniziano a osservarlo con curiosità e le sue narici vengono solleticate dal profumo di latte di cocco che solitamente indossa Harry - è una fissazione, la sua.
Non devono restare mentre il guardiano carica il badile di terra e la riversa nel buco in cui hanno incastrato la bara di Jay, ma non ha la forza di muoversi. Non ha la forza di staccare gli occhi. Non sembra capace di svegliarsi dall'incubo e non sembra capace di registrare altro se non il rumore sordo che risuona nel cimitero silenzioso a ogni carico di terra riversata sulla bara.
Soffia vento freddo e qualche goccia di pioggia ha iniziato a cadere, timida e insicura, sulla sua pelle ora pallida. Louis a malapena se ne accorge, a malapena si rende conto del brivido che lo attraversa.
Stanno tutti aspettando che crolli, quindi. Ecco perché non gli hanno ancora detto niente. Perché sanno che il suo cervello andrà in blackout presto e che non ci sarà alcun bisogno di spiccicare una mezza parola.
Qualcosa gli sfiora la mano e deve costringersi ad abbassare lo sguardo, a distoglierlo dalla pala che lancia altra terra in un buco che sembra impiegare anni a riempirsi. E c'è l'indice di Harry che gli sfiora la pelle - il riccio guarda avanti a sé, incantato a propria volta da quella danza macabra e sgraziata - ed è semplicemente lì, quando prima non c'era. Lì dove non c'è stato niente per tutto il giorno.
Louis schiude la mano come scottato, la allontana e poi ci ripensa; la lascia scivolare attorno al polso del minore e la stringe; le dita che vanno pian piano a intrecciarsi con le altre e la presa che si rinsalda in contemporanea a quella di Harry.
Sotto i suoi piedi, il terreno è più stabile, ora. Ha smesso di ondeggiare.
Quando alza lo sguardo al cielo, c'è un raggio di sole ad accarezzargli il viso provato e asciutto.
Non fa poi così tanto freddo, quel giorno. Poco importa che sia dicembre.

Lonely Flowers ⚓︎ l.s. Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora