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"BooBoo. Giochi fuori." Ernest allunga le braccia verso il fratello maggiore e apre e chiude le piccole manine paffutelle per attirare di più l'attenzione. Non gli piace che Louis stia reggendo Doris e che Harry stia cercando di farla sorridere.
"Ernie, fa freddo..." protesta Louis, distogliendo lo sguardo dalla sorellina intenta a dimenarsi per via del solletico che le sta facendo Harry. Dovrebbero smetterla. Perché Louis potrebbe rompersi - in realtà Doris sarebbe capace di ucciderlo con un calcio, ma la sua sorellina è un'anima pura e innocente e quindi è Louis a essere delicato, non lei a essere una potenziale assassina di fratelli maggiori. Ha senso. Ovvio.
"Nu, c'è sole! Giochi fuori!"
Ernest sbatte le palpebre velocemente, fa sporgere il labbro inferiore all'infuori e si prepara al pianto disperato che Louis stava altrettanto disperatamente cercando di evitare. Perciò si affretta a lasciare Doris tra le braccia di Harry, la quale non sembra apprezzare particolarmente lo sballottamento, e a prendere il fratellino.
"Ehi, no. Non piangere, Ernie. Ti prego." Non aveva mai pregato uno dei suoi pulcini di non piangere, prima d'ora, e il modo in cui lo stringe a sé e gli bacia il capo, scusandosi, portano Harry a pensare che ci sia qualcosa che non va.
"Giochi fuori!" Protesta ancora Ernest, accoccolandosi al petto del fratello maggiore e piagnucolando appena. Vuole davvero tanto giocare a calcino - o forse era calcello? Calcetto? Va be', la versione del calcio che Louis ha definito per adulti, solo a misura di nanetti. Quella dove Louis può buttarsi per terra ed Ernest può dimenticarsi della palla per finire addosso al fratellone e fargli il solletico e poi abbracciarlo e scappare di nuovo per farsi prendere. Quello dove può tenere in mano la palla e correre fino al cestino con i buchi messo male e mettercela dentro, per poi correre con le braccia alzate gridando "GOOOOOOAL" fino a quando Louis non lo prende in braccio e lo fa vorticare in aria come se stesse volando insieme agli uccelli.
Ecco. Vuole fare quel gioco. Con il suo fratellone. Così può avvicinarsi un pochetto alla mamma, per una volta.
"BooBoo, no Winx oggi. Pallina."
Louis guarda Harry aspettandosi un qualche genere di aiuto, nonostante sia consapevole che la richiesta riflessa nei suoi occhi non sia affatto chiara. Non sa nemmeno se voglia che Harry lo tiri fuori da quella situazione o che gli dia la spinta per buttarcisi a capofitto. Poi però Harry sorride e avvicina il viso al suo e Louis sa già cosa succederà.
"Forza, Loo. Pallina si sente sola, oggi," gli dice con un sorriso innocente. E ovviamente tiene la parte a Ernest. Ovviamente. Louis avrebbe dovuto aspettarselo.
"Quale delle due?" Domanda quindi, senza preoccuparsi di celare la malizia del commento.
Harry arrossisce. Non è abituato a questo genere di discorsi in presenza di bambini e non sa bene come reagire. Cosa rispondere.
"La mia arancio," si intromette Ernest, passando lo sguardo tra i due uomini, ignaro del vero significato di quella conversazione.
Harry quindi si limita ad alzare un sopracciglio con aria eloquente e Louis ne esce sconfitto.
Come sempre.
Harry è la sua più grande forza e debolezza.
Harry è il suo controsenso e Louis lo ama.



*



"Ernie ti prendo!"
Louis ha appena liberato il piccolo dalla sua presa. La partita è durata ben poco, Ernest più interessato a seguire Louis e a cercare di farlo cadere piuttosto che a inseguire la palla. Si sono concessi coccole e solletico e si sono rotolati sul prato bagnato per minuti interminabili, sotto lo sguardo attento di Harry che li osserva dalla finestra del salotto con un sorriso che non possono vedere.
Louis raggiunge il fratellino, finge di mancarlo un paio di volte e poi lo afferra con quanta più delicatezza possibile, sollevandolo da terra. Ernest grida e Louis ride dolcemente, allungando le braccia verso il cielo.
Il bambino si fa improvvisamente serio e alza il capo, indicando l'azzurro con il suo dito piccolino.
"Più su!" Grida. "Più su, BooBoo! Non ci arrivo alla mamma! Voglio fare una carezza alla mamma, Boo!"
E Louis teme di morire lì, sul posto. Una fitta al cuore, una morsa quasi fatale, spegne l'entusiasmo di quel pomeriggio all'apparenza tranquillo. Avrebbe dovuto immaginarlo; ai gemelli manca Jay. È uno di quei giorni in cui vorrebbero solo le braccia della mamma. Qualsiasi cosa scelga di fare Louis, qualsiasi tentativo di renderli felici e di farli sentire amati non funzionerà. Anche Louis stesso si sente così, ogni tanto, e in quel momento ha l'impressione di viverlo attraverso il piccolo Ernest.
Ha bisogno di sedersi e lo fa. Nel bel mezzo del prato, con Ernest in piedi tra le gambe leggermente divaricate che, sporco di fango dalla testa ai piedi, protesta a gran voce.
"Scusa, Baby Pie. Non..." Non finisce nemmeno la frase perché non ha idea di che cosa dire. Si porta una mano sul viso e lascia che Ernest protesti ancora un po'. Poi il cortile torna silenzioso, interrotto solo da qualche auto che passa lungo il viale occasionalmente.
Louis non capisce. Si sente vuoto.
Forse non avrebbe dovuto parlare di Jay a CatsLover. Non è ancora pronto a condividere i sentimenti contrastanti che si agitano dentro di lui durante il giorno, né quelli che lo torturano quando sono le sorelle minori o i piccoli di casa ad aver bisogno della mamma. Si domanda se anche Lottie si senta così, di tanto in tanto, ma non sa rispondersi.
Una mano sulla schiena lo riporta al presente.
Louis sobbalza e solleva lo sguardo di scatto solo per ritrovarsi ad annegare nel verde.
"Ehi. Stai, uhm..."
"Bene, sì. Credo."
Harry gli rivolge un debole sorriso e si china per lasciargli un bacio sulle labbra. Le sue dita lunghe passano tra i capelli scompigliati e sporchi con gesti lenti, Harry è intento a osservarlo con intensità. Louis non pensa di riuscire a sopportarlo.
"Ho chiesto a Ernie di venire a insudiciarti con fango ed erba," dice sforzandosi di sorridere. "Visto che al mio ragazzo non piace rotolarsi nel fango, ho portato il fango a rotolarsi su di lui, così. Per fargli fare una nuova esperienza."
"Uhm... grazie per il pensiero?"
Ridono entrambi sommessamente, Harry che non sposta le mani dai capelli di Louis e Louis che porta una mano sul ginocchio di Harry.
Un filo di vento accarezza con dolcezza i loro corpi e Louis rabbrividisce.
"Rientriamo? Penso che tu ed Ernie abbiate bisogno di un bagno."



*


"I gemelli sono sistemati per la notte. Ho chiesto a Fiz se può portarli a dormire," annuncia Harry, una volta chiusa la porta della stanza alle proprie spalle. Louis è ancora seduto sul tappeto, con la schiena contro il lato del letto. Sta accarezzando la foto di lui e Jay, quella che, gli ha raccontato, qualcuno ha scattato poco dopo averla accompagnata nella sua prima corsa mattutina. Sorridono entrambi, felici e stanchi, ma soddisfatti. Una squadra forte e imbattibile - o almeno così Louis pensava.
Gli si siede accanto e lascia che posi il capo sulla sua spalla. Sospira appena e prende a carezzargli il braccio con la punta delle dita.
"Ho detto a una persona che Jay non c'è più," mormora Louis, con gli occhi fissi sulla foto. "E poi abbiamo parlato dei gemelli, poco prima che ti chiamassi. Gli ho detto che se n'è andata senza insegnare loro a svegliarsi quando devono fare i bisogni e—"
Harry sospira, volta appena il capo e gli bacia la tempia, poi lo stringe a sé.
"Non hai detto niente di sbagliato, Loo. È vero che Jay se n'è andata prima di poter insegnare loro a fare i bisogni in bagno, ma..." Harry sceglie con cura le parole successive. "Immagino che lo avrebbe fatto, se ne fosse stata in grado. Immagino non ne abbia avuto la possibilità, concretamente parlando."
Louis non risponde.
"Non sentirti in colpa, amore. Ha fatto un lavoro fantastico anche questa volta, nonostante non lo abbia potuto portare a termine. Sono sicuro che voi saprete come riprendere da dove ha lasciato e—"
"Non è questo..."
Harry sospira di nuovo e lo prende tra le braccia. Louis si rannicchia a più non posso e stringe a sé la foto.
"Lo so che non siete padri né madri; lo so che è difficile e posso solo immaginare che cosa voglia dire una giornata come questa, quando i piccoli sono lunatici o quando piangono e nulla di quello che fate li riesce a calmare." Sorride appena. "Ma siete grandi. Tutti voi. State facendo un lavoro fantastico ed è giusto che qualche volta vi fermiate a pensare a quanto vi manchi mama J e a quanto vuoto abbia lasciato quando se n'è andata."
Louis si lascia sfuggire un singhiozzo; non è tanto la mancanza, quanto tutto quello che ha per le mani in quel preciso istante. È così fortunato ad avere Harry.
"È giusto che anche tu lo faccia. Sederti per terra con una vostra foto tra le mani e piangere perché è difficile e perché lei non è qui a darti man forte, ma non dimenticare mai, per nessuna ragione al mondo, che io sono qui. E so che non è chissà quale consolazione, però anche io voglio fare la mia parte. Siete la mia seconda famiglia, anzi, la mia famiglia allargata. Non devi fare altro che chiedere, BooBear. Io correrò a salvarti ogni volta che ne avrai bisogno. Ce la faremo insieme."
Non sa bene cosa singhiozzi Louis, ma è sicuro di ripetere a Harry più e più volte quanto lo ami, quanto sia fortunato, quanto gli sia grato e quanto faccia male, quanto sia difficile.
E di nuovo grazie per esserci, scusa per non averglielo detto subito, grazie per tutto l'amore che dispensa e non solo a Louis, ma a tutta la famiglia.
"Ti amo tanto, H. Non so cos'avrei fatto senza di te, a questo punto delle cose..."
Harry non vuole pensarci. Lo stringe a sé ancor di più e gli bacia lentamente ogni centimetro di pelle scoperta. A ogni bacio, un ti amo sussurrato contro la pelle. E Louis pensa che potrebbe annegarci, tra quelle parole e quei baci.
Louis pensa di essere davvero un ragazzo fortunato.
"Un giorno ti sposerò," lo informa. "E diventerai il signor Harry Edward Tomlinson-Styles. E ti servirà una firma super ricercata perché il nome è altisonante."
Harry, colto in contropiede, si concede qualche istante di silenzio prima di scoppiare a ridere di gusto.
"E questa da dove ti è uscita?" Chiede tra le risa affettuose.
Louis esita prima di rispondere; si morde il labbro e poi sospira. Non lo guarda nemmeno negli occhi, sicuro che si lascerebbe soffocare da tutto quel verde e finirebbe per tirarsi indietro.
"L'ho detto a Jay il giorno in cui ti ho conosciuto."
Silenzio. Un confortante silenzio.
"E Jay?"
"Mi ha detto che in quel caso, se fossi stato serio a ventun anni tanto quanto lo ero quel giorno, avremmo avuto la sua benedizione."

Lonely Flowers ⚓︎ l.s. Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora