Capitolo due. - "Buon appetito!"

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La voce di Keana non smetteva di rimbombare nella mia testa. «Lauren.»

Decisi di dirigermi verso di lei in modo che capissi cosa volesse da me. «Dimmi.» la guardai.
«Niente, è tutto pronto per la cena... Tra un po' porterò a tavola, ti andrebbe di darmi una mano?»

Intanto che lei buttava il coltello sporco di sangue nel lavandino, sorrisi beatamente. «Certo.»

Aiutai la mia amica a sistemare la tavola per poi portare la carne umana sul tavolo. Dopo aver visto Ally e Normani sedute composte sulle sedie rivestite in pelle nera, sorrisi a loro.

«È pronta la cena!»

«Evviva!» disse Ally felice e Normani la guardò un po' male. «Scusa...»

Misi il vassoio con degli arti in mezzo alla tavola. Mi sedetti capo tavola e presi un pezzo di carne e iniziai a mangiarlo con le mani. Era croccante, buona. «Buon appetito!»

Ally mangiava voracemente, aveva sicuramente tantissima fame, Keana e Normani invece discutevano su quale pezzetto di carne prendere.

Durante il banchetto, le mie orecchie udirono un lamento.

Mi alzai dalla sedia e andai a vedere nella stanza dei prigionieri. Vidi Camila stesa sul pavimento su un fianco, era accovacciata e piangeva.

Sospirai un po', mi avvicinai e diedi un calcio sulla sbarra della cella, la ragazza gemette dalla paura. «Mh.» la guardai. «Allora, perché piangi?»

«Perché sei un mostro.» disse Camila e io sorrisi.
«Va bene,» dissi. «Tra poco verrò a da te.»

Tornai dal mio gruppo di amiche. «Scusatemi.» dissi e Normani mi guardò.
«Tutto bene?»

«Sì, Camila stava piangendo, mi ha dato addirittura del mostro.» dissi mentre mi portai un pezzo di carne alla bocca.
«Come osa?» chiese Keana sbattendo le mani sul tavolo.

«Keana, sta calma.» dissi io guardandola e lei ringhiò.
«Non si deve permettere.»

«Dai, però ha ragione la prigioniera.» disse Normani mentre beveva un sorso del suo vino rosso. «Chi è il pazzo che mangia carne umana qui a Miami?»

«Noi!» disse Ally alzando le braccia e io roteai gli occhi.
«State zitte.»

Le loro schiene divennero rigide e io mi portai una mano tra i capelli. Dopo aver finito di mangiare, lasciai la tavola e andai nuovamente dalla cubana.

Mi misi seduta davanti alle sbarre in modo che la guardassi per bene.

Mi faceva quasi pena a vederla in quello stato. «Che vuoi?»

«Mah, sinceramente, niente di che.» dissi io e lei negò con la testa.
«Sei un essere ripugnante.» ringhiò e io annuii.
«Lo so.» sospirai. «Forse è per questo che mi hanno sbattuto fuori di casa.»

«Eh?»

«Già.»

Rimasi in silenzio, lei lo ruppe. «Che è successo?»

«Non credo che lo vorresti sapere.» dissi piano.
«Io sono sta...» le parlai sopra.
«Stata sbattuta fuori da casa perché ti piacciono le donne.»

Camila spalancò la bocca rimanendo senza parole. Sorrisi notando la sua sorpresa. «Vorrei sapere...» tentò di dire.
«Non sono mai stata apprezzata dalla mia famiglia.» iniziai.

«Perché?»

«Perché...» sospirai. «Ho sempre avuto dei problemi mentali.» vidi Camila sgranare gli occhi e sospirai. «Da quando son nata non venni apprezzata da nessuno. Poi il piacere che provo per le ragazze, ha peggiorato la situazione.»

«Capisco.» disse Camila e io la guardai. «Non c'è nulla di male.»

Cosa? Davvero?

«Ho fame, Lauren.» disse lei.

«Non ho niente da darti se non carne umana.»

«Dammi anche quella, necessito di mangiare, ti prego...»

Mi alzai e abbandonai la stanza.

Camila Cabello's P.O.V.

Avevo una fame, stavo svenendo. Aspettai Lauren con ansia, speravo con tutto il mio cuore che non sarebbe tornata a mani vuote...

Rimasi piuttosto stranita riguardo alla sua... Malattia mentale. I miei occhi notarono nuovamente la sua vicinanza, sorrisi un po'.

Ero solo contenta di mangiare.

«Tieni.» disse lei aprendo la cella per poi poggiare il piatto sul pavimento poco pulito. «Buon appetito!»

La guardai un po' male, non era ciò che volevo mangiare ma sarebbe stata la mia unica possibilità. Sospirai pesantemente, misi le mani nella carne e iniziai a mangiare.

Lauren mi lasciò da sola, senza dire parola.

Mi sentii perennemente osservata.

Ad un tratto, non sentii più nessuna di quelle sensazioni.

Lauren Jauregui's P.O.V.

Mi sentivo seguita, ed era così. Mi girai e vidi Keana guardarmi con rabbia. «Sei scema?»

«Per?» chiesi cercando di non essere troppo sospetta.
«Per quello che hai fatto, ovvio.» iniziò. «Lauren, quella ragazza non merita neanche acqua.»

«Non so di cosa tu stia parlando.»

«Perché le hai dato gli avanzi?» chiese. «Poteva restarci anche per domani.» si mise le mani sui fianchi. «So che non era molto, ma sai come la penso riguardo al cibo.»

«Non capisco a cosa ti riferisci.» dissi io.

«Ah no? Ho visto che hai portato un piatto con i resti di Jonathan a quella... Ragazza.» incrociò le braccia.

«E quindi?»

«E quindi niente! Non devi!» disse urlando. «Domani l'ammazzo.»

«Keana, la persona che comanda qui, sono io. Perciò non ammazzerai nessuno.» alzai il sopracciglio. «Spero di essere stata abbastanza chiara. Karla è una questione che dovrò vedere da sola, non voglio bastoni tra le ruote come stai facendo te.»

Keana aprì la bocca senza parole, così decisi di spostarmi per andare in camera mia a sistemare le carte.

Keana Issartel's P.O.V.

Maledizione, Jauregui.

Andai nella mia stanza e misi a posto i miei due mazzi di carte. Andai verso il mio armadio per prendere degli attrezzi di tortura in modo da sistemare per una buona volta Camila.

Sarebbe stata una preda succulenta e piacevole.

Dopo aver preso delle manette e un bastone, andai verso la stanza dove c'erano i prigionieri. Tanta gente voleva essere liberata ma io, li ignorai tutti.

Camila stava leccando il piatto di ceramica mentre delle cimici camminavano li vicino con tantissima tranquillità.

Rimasi nella penombra in modo da non dare molto nell'occhio, vidi come mise il piatto fuori dalla cella attraverso la sbarra. La vidi mettersi all'angolo della gabbia.

Era in quel momento in cui mi avvicinai da lei mentre reggevo gli oggetti con fermezza.

In un attimo la presi, non aveva tanta forza. Dopo averla sbattuta al muro le misi le manette.

Guardai i suoi occhi, presi il bastone e lo alzai all'aria per poi farlo precipitare sul suo corpo esile a tutta violenza.

Un urlo.

Due urla...

Tre urla...

...

Dieci urla...

Poi, il silenzio.

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