Capitolo dodici. - "Visite."

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Camila Cabello's P.O.V.

Stavo piangendo, come sempre sapevo fare, dopotutto.

Avevo la pelle ridotta uno straccio, mi faceva male tutto, ogni parte del corpo. Il mio respiro era debole. Il mio cervello non faceva altro che elaborare pensieri, negativi.

Lauren Jauregui come era riuscita a farsi amare, era riuscita a farsi odiare. Stavo tremando, sotto il freddo di quella cella colorata di solo rosso. Una porta si aprì, la stessa porta dove Lauren alle due di notte era uscita lasciandomi marcire in solitudine.

Avevo lo sguardo debole, vuoto, non sapevo nemmeno cosa mi stava succedendo. «Camila.» disse la voce roca attirando la mia attenzione.

Non riuscivo a vedere bene, il dolore mi proibiva di farlo, in qualche modo però, riuscivo a sentire ogni suo passo, ogni respiro, ogni battito. I suoi passi si fermarono davanti a me. Si inginocchiò e mi spostò una ciocca di capelli che ricadeva sul mio viso.

«Sono venuta a farti visita.»

«Non ho bisogno delle tue merdate.» sputai fuori. «Puoi andartene, non ti voglio vedere.»

La sua mascella si serrò e io girai il viso da un'altra parte, non volevo guardarla in faccia. «Mi dispiace.» disse piano.

«Non mi interessa.» sussurrai abbattuta. Intanto sul mio corpo sentii qualcosa di morbido e specialmente caldo. Era una coperta.
«So che non ti interessa. Nemmeno a me da tanta importanza questo.»

Io sospirai. «So che di me non ti è mai importato, solo per scopare ti sono interessata.» mormorai.
«Hai offeso i miei sentimenti.» ringhiò lei.
«Da quando hai dei sentimenti?» risi. «Che assurdità.»

«Camila, ti ho pure portato una coperta dove potrai stare al caldo.» disse piano e io negai.
«Della tua coperta non me ne faccio un cazzo.» gliela lanciai coprendole la testa. Lauren la tolse e mi guardò.

«Non fare così.» disse lei e io sospirai.
«Non ti voglio vedere.» sussurrai con dolore. «Non dovresti toccarmi. Io ho paura di te!» dissi piangendo e lei mi guardò, sentì come il suo respiro diventava pesante.
«Lo so, ma...»

«Lasciami da sola...» sussurrai. «Ti prego, vattene via.»

Lauren si alzò e iniziò a piegare la coperta per poi poggiarla sul pavimento. «Te la lascio in caso che tu la voglia.» sussurrò. «Le temperature sono basse.»

«Non c'è bisogno che me lo dici.» ringhiai. «Vattene.»

Lauren sospirò ed andò via, lasciandomi da sola di nuovo.

Allyson Brooke Hernandez's P.O.V.

Avevo sentito tutto, Camila ce l'aveva a morte con lei, come darle torto. Rimasti nascosta per bene dietro ad un pilastro. Lauren stava singhiozzando, ma in qualche modo decisi di ignorarla.

Entrai dentro la stanza, una volta che la ragazza prese le distanze.

I miei piedi coperti dal leggero strato del tessuto delle mie calze, mi diede la capacità di scivolare. Mi fermai e vidi come Camila mi stava fissando. «Ciao.» dissi io.

Lei inchinò il capo in avanti. «Sei venuta per uccidermi, vero?»

«No, non sono persona che uccide. Cioè, sì, io scelgo chi sarà la prossima persona da ammazzare, ma io non uccido.»

«Allora, sei venuta per scegliermi?»

«No, non sono venuta con queste intenzioni.» assicurai. «Stai tranquilla.»

Lei sghignazzò. «Come? Stai tranquilla?» mi guardò. «Tu non sai niente di ciò che mi ha fatto. Io voglio andarmene da qui, voglio sparire da questo posto.» disse versando una lacrima.

«Lo so, ma non comando io.» dissi io poggiando una mano sulla sua spalla completamente ghiacciata. «Hai freddo?»

«Mi sto adattando.» sputò acida e io chiusi gli occhi.
«Ti porto qualcosa, voglio che tu capisca quello che ho da dirti.» sussurrai. «Si tratta di Lauren.»

«Non mi interessa nulla di quella pazza psicopatica.» io ridacchiai alle sue parole.
«Ci vediamo dopo.» dissi e mi alzai. Una volta uscita, andai verso camera mia e presi alcuni vestiti di anni fa. Con un paio di occhiali da sole, decisi di uscire dalla casa e di andare in un supermercato.

Una volta raggiunto, camminai tra i grandi scaffali che contenevano ogni tipo di cibo. Non entravo in un posto simile da... Da troppo.

Iniziai a riempire il carrello con dei panini confezionati, cioccolatini, pizze surgelate e altre cose.

Appena arrivata alla cassa misi tutto sul nastro nero. Il cibo scorreva e andava verso il cassiere. «Buongiorno.» mi salutò solare.
«Buongiorno.» sorrisi un po'.

Sul suo cartellino vidi che si chiamava Troy. Non c'era un cognome ma dovevo ammettere che era davvero carino. Dopo avermi comunicato il conto, pagai tutto e misi tutto in una busta. Una volta ritirato il resto, andai via lasciando un ultimo sguardo al ragazzo che mi stava sorridendo.

Arrivai finalmente a casa, purtroppo non avevamo una macchina, cosa che mi faceva alquanto incazzare. Andai in camera mia e presi gli abiti che avrei dato poi a Camila.

Andai nella stanza dove era seduta Camila, il rumore della busta che si muoveva, attirò la sua attenzione. «Eccomi.»

«Che ci fai qui?»

«Sono venuta per darti una mano, semplice.» sorrisi e le diedi i vestiti. «Spero che ti stiano, erano miei vestiti.»

Lei sembrò esitare, ma non appena insistetti, li indossò con tranquillità un sospiro uscì dalle sue labbra, sembrava starci bene lì. «Sei contenta?»

«Cosa vuoi in cambio?» chiese e io risi.
«Niente.» intanto poggiai la busta della spesa sul pavimento. «Ho comprato del cibo, ho preso pure delle pizze surgelate.»

«Pizze surgelate? Tra un po' non so nemmeno cosa siano...» sussurrò con tristezza e io sorrisi.
«Lo immagino.»

Intanto le diedi un pezzo di pane. «Tieni.»

In un attimo lo prese e iniziò a mangiarlo voracemente. «Piano, soffocherai.» ridacchiai.

«Mi spieghi... Perché Lauren...» cercò di dire mentre masticava. «È così dura con me?»

«Ha semplicemente le ovaie girate.» dissi io e lei rise alla mia battuta. «Non so, Lauren è una ragazza con un infinità di misteri. Dovresti chiederle cosa succede, con me non ne parlerebbe.»

«Dopo quello che è successo, non credo ne parlerebbe anche con me.» sussurrai abbattuta. «In fondo la colpa è stata la mia.»

Sospirai, lei mi guardò e io ricambiai il suo sguardo. «Spiegami un po' cosa ti è successo quel giorno.»

«Va bene, Ally.» prese un respiro. «Allora, tutto è iniziato l'altro ieri...»

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