Capitolo 19

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"Amore mio lo sai che io voglio solo la tua felicità! Tra cinque minuti sono sotto da te che devo parlarti." Maik come sempre era l'unico pronto a capirmi.

"Io voglio solo la tua felicità e secondo me Carlo non è la persona adatta a realizzarla..." Lara mi stava comunque vicina.

Passarono dieci minuti ma Maik non era ancora arrivato. Passò un'ora ed ancora nulla. Gli scrissi uno, due, dieci messaggi e lo chiamai almeno trenta volte ma nulla. Ero agitata, poteva essergli accaduto di tutto, o magari poteva solo aver incontrato qualcuno per strada, non potevo saperlo ma stare con le mani in mano non mi era mai piaciuto così optai per andare a cercarlo. Passai per i giardinetti, andai davanti scuola e raggiunsi perfino il centro ma Maik non c'era. Allora chiamai Lara ma neppure lei sapeva dove si sarebbe potuto cacciare, per lo meno mi inizio ad aiutare a cercarlo. Ultima delle tappe fu casa sua.

-Salve signorina Maila, ci sarebbe per caso Maik a casa?- domandò Lara alla cameriera della casa di Maik.

-Oh salve Lara, Marissa- mi fece un leggero inchino con la testa - i signori Cassino hanno ricevuto una triste chiamata dalla polizia e si sono diretti velocemente all'ospedale, mi dispiace.-

Non potevo e non volevo crederci. Non era per Maik che erano andati all'ospedale, no ti prego, no. Il mondo non poteva esser così crudele con me. Cominciai a correre, di nuovo, velocemente. Non pensavo a nulla, sentivo solo forte e avuto dolore, dolore che ti trafigge, che ti entra dentro come lame. Il mio cervello non collegava, l'unica cosa che frullava al suo interno erano urla, urla di disperazione. Arrivai all'ospedale e chiesi di Maik Cassino. Mi di risserò alla sua stanza, beh almeno era vivo. Vidi i suoi genitori fuori dalla stanza piangere, Antonia, sua madre, singhiozzava e Mirko nonostante le lacrime provava ad abbracciare e consolare Antonia, come se volesse difenderla e proteggerla da tutta quella disperazione. Non appena mi videro mi salutarono e mi raccontarono l'accaduto. Maik stava venendo da me di corsa per parlarmi.

Correva.

Semaforo rosso.

Lui correva.

Vuoto. Nero.

Un fottutissimo tir aveva scaraventato Maik, il mio Maik a tre metri da esso, e il figlio di puttana bastardo era scappato. Non era morto Maiki, era disteso su un letto, in coma, in un sonno profondo dal quale doveva svegliarsi, Io avevo bisogno di lui, ne ho sempre avuto e sempre ne avrò. Non poteva essere così egoista da andarsene e lasciarmi qui, no, il mio Maiki non era così.

Danzeremo a luci spenteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora