Capitolo sesto

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Il risveglio è sicuramente la parte più brutta della giornata. Si è costretti ad abbandonare il mondo fatato dei sogni, con la consapevolezza di non poter più tornare indietro. Un po' come trovarsi di fronte a una porta: è facile varcarla, ma non sempre si riesce a uscire con altrettanta rapidità.

Elia aveva appena varcato quell'ingresso, facendo approdo in un mondo che mai avrebbe pensato di incontrare.

I denti serrati in un ringhio animale, le unghie scure, pronte adattaccare: sembrava quasi una belva selvaggia. Di fronte a lui, il demone lo scrutava con attenzione, in un misto di apprensione e divertimento. Forse non pensava di dover affrontare un nemico così ostico, o, forse, era proprio quello che voleva.

Elia avanzò senza paura. Quel sogno misterioso gli aveva dato la carica per ribellarsi all'aggressore. Ne era sicuro, se non lo avesse sconfitto, Lucia sarebbe stata in pericolo. "E questa è l'ultima cosa che voglio."

«Non pensavo riuscissi già a controllare la tua vera forma, Lucifero.»

Elia gli lanciò un'occhiataccia. «Non so di cosa tu stia parlando.»

L'altro scoppiò a ridere. Poi, senza pensarci due volte, si fiondò contro il ragazzo. Spiegò le ali e volò come un fulmine verso di lui. L'avrebbe steso in un secondo, se Elia non si fosse abbassato all'ultimo istante. Rotolò di lato e si rialzò senza perdere tempo.

«Non so nemmeno chi sei» urlò in direzione del demone. Alzò le mani al cielo e mostrò all'avversario il proprio corpo, trasformato. Le ali nere reagirono all'ordine e si aprirono in tutta la loro lunghezza. «Pensi veramente che sappia il motivo di tutto ciò?»

«Direi di no.» Due occhi color del sangue si posarono su Elia. Lo accarezzarono come si accarezza un cagnolino, o per meglio dire, come un cobra che prende le misure alla propria preda. «Ma su una cosa hai ragione. Non mi sono ancora presentato.» Battè la mano destra sul cuore e si inchinò con fare pomposo.

«Piacere, Belial, detto il malvagio, Signore dell'Arroganza e della Superbia. Inchinati a me, io sono colui che indusse la prima donna al fatal errore.»

E, quasi spaventata da quelle parole, l'aria intorno a loro cominciò a vibrare, carica di elettricità. La luce del giorno si offuscò e le nuvole coprirono per un attimo il sole. Era come se il mondo si fosse fermato al richiamo di Belial, come se avesse improvvisamente riconosciuto un suo nemico mortale. Nessun animale osò fiatare in quegli istanti così importanti, ed Elia non fu da meno. Rimase immobile, fissando la figura minacciosa dell'avversario. In un certo senso, si riconosceva in lui, anche se cercò di negarlo con tutto il cuore. Avevano gli stessi occhi rossi, le stesse ali scure, la stessa forza.

Belial sibilò. «Ti sbagli di grosso, ragazzino. Io sono molto più forte.»

«Mi hai letto nel...»

«Posso fare molto di più.» I capelli del demone si allungarono, intrecciandosi tra loro. Sotto gli occhi stupiti di Elia, si trasformarono in una moltitudine di serpenti. La situazione si stava facendo critica. I rettili si voltarono all'unisono verso il ragazzo e mostrarono le lingue biforcute. Belial schioccò le dita e quelli saettarono in ogni direzione.

"Merda." Elia saltò all'indietro, ma un seprente gli afferrò la caviglia. Sentì i denti dell'animale penetrare nella carne. Con il fiato mozzato, gli prese la testa e la strappò via, incurante del dolore. Ma era ormai troppo tardi. I suoi compagni lo agguantarono con impeto, costringendolo a terra. Era la fine.

"Basta" supplicò in silenzio. I serpenti infierirono sul corpo immobile delragazzo, senza mai fermarsi. A pochi passi da lui, Belial se la rideva di cuore, mentre la preda veniva sbranata dai suoi cuccioli. "Basta." Sentì le prime lacrime rompere la muraglia difensiva che aveva eretto anni prima. Si era promesso di non piangere, ma, a quanto pare, la promessa terminava quel giorno. "Basta." Il battito del cuore rombava a pieno regime, un martello pneumatico in una biblioteca.

«Non morirari» esclamò il demone, sopra di lui. «Forse.»

Elia si rifiutò di dargli ascolto. Chiuse gli occhi e strinse i pugni. Le ali sussultarono di fronte a quella timida reazione, ma furono subito riaddomesticate. I capelli di Belial avevano formato una fitta rete, che lo avvolgeva da capo a piedi. Era in trappola.

"Basta."

Avrebbe fallito, per l'ennesima volta.

"Basta."

Dopo di lui, anche Lucia avrebbe fatto la stessa fine.

"Basta."

Non voleva perderla, non voleva perderla, non voleva perderla...

«Basta!»

Fu esattamente come rompere una noce. Se non moderi la forza, il contenuto schizza ovunque. Ed Elia era stata una noce molto resistente, per tanto tempo. Di colpo percepì un impeto dentro di sè, una fiamma indomita, che voleva emergere per distruggere ogni cosa. La assecondò.

Spalancò gli occhi e s'immerse nel suo inferno personale. Sprigionò lingue di fuoco nero, che incenerirono all'istante i serpenti che lo imprigionavano. Belial urlò, quando le fiamme risalirono le lunghe ciocche di capelli e cercarono di bruciarlo. Aprì le ali e volò via, lasciando dietro di sè cenere e rimpianti.

Elia rimase fermo, troppo stanco per rialzarsi. Per l'ennesima volta, in quei giorni, era successo qualcosa di inaspettato. Ma, in fin dei conti, era ancora vivo, per il momento contava solo quello.

Sbuffò al cielo e sorrise, mentre una lacrima scendeva mestamente lungo la guancia.

Luci di tenebraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora