Capitolo undicesimo

36 8 3
                                    



Dei passi rimbombarono per il corridoio dorato, cadenzati e pesanti. Non c'era nessuno ad attenderlo davanti alle immense porte di mogano, ma lo sapeva, dall'altra parte sapevano già del suo arrivo. Schioccò la lingua affilata e distolse lo sguardo dall'enorme portale.

L'androne pareva estendersi quasi all'infinito, in un susseguirsi di quadri eleganti ed elementi decorativi. Gli aveva sempre dato fastidio quell'opulenza esagerata, ma, in fin dei conti, non era stata progettata per piacere. Quello era l'Inferno.

Esalò un lungo sospiro. In quel momento, avrebbe tanto voluto essere da un'altra parte, ma non glielo avrebbero mai perdonato. Poggiò le mani sul legno intarsiato e spinse con forza. Le ante cigolarono minacciose, prima di spalancarsi verso l'interno.

«Benvenuto, Belial.» Una voce profonda lo accolse.

«Salve.» Troppa luce, c'era sempre troppa luce in quella dannatissima stanza. Socchiuse gli occhi, nel tentativo di proteggersi dai bagliori dorati che lo stavano assillando.

Una figura, davanti a lui, si alzò dallo scranno e s'inchinò. «Non attendavamo altro che tue notizie» esordì.

Belial trattenne una risata. "Immagino di sapere il motivo." Volevano vederlo fallire, prostrarsi davanti a loro e chiedere perdono. Ma non l'avrebbe fatto, lui non si sarebbe inchinato davanti a nessuno.

Avanzò di qualche passo all'interno dell'edificio circolare. Era enorme, proprio come se lo ricordava. Le pareti auree si innalzavano per parecchi metri, culminando in una cupola spettacolare. Quando l'aveva vista per la prima volta, molti anni prima, era quasi morto dalle risate. Sopra alla sua testa, si estendeva un immenso dipinto della volta celeste, con tanto di nuvole bianche e angioletti sorridenti.

"Questo, però, è il covo del diavolo" sussurrò tra sè.

Giunto ai piedi dei gradoni, si fermò. Cinque volti scuri lo osservarono dall'alto con passiva curiosità, in attesa della sua mossa. Erano le massime autorità laggiù, o così volevano farsi considerare. La realtà era ben diversa, ma niente avrebbe fermato la loro supponenza.

«E' un piacere vedervi» scandì Belial, lentamente. «Spero che non vi sia mancato troppo.»

«Da morire» ruggì una delle cinque figure.

Ammiccò. «Ti vedo in forma, Asmodeo.»

Il grosso demone ruggì di rabbia, balzando in piedi. «Il mio nome è Aeshma-daeva, il Distruttore.»

"Lo spirito del furore. Un nome, una garanzia." Tutte le volte che lo incontrava, Belial si divertiva a stuzzicarlo. Il carattere focoso del demone, rendeva gli scherzi ancora più divertenti. C'era un solo problema: riuscire a scappare in tempo. Asmodeo rimaneva pur sempre uno tra i demoni più forti in assoluto, e la sua mole era un ulteriore monito per gli sventurati che incappavano nelle sue ire.

«Calmati, Aeshma-daeva.» Una sola parola e il demone si quietò.

"Eccolo." Un paio di occhi diabolici lo inchiodarono al pavimento. "Baal, il Signore dell'Universo." Se non fosse stato per lui, le orde demoniache si sarebbero già abbandonate all'anarchia. Dopo il Grande Chaos, aveva raccolto le redini del comando per guidare le sorti dell'Inferno.

Se non fosse per lui, Belial sarebbe libero.

«Raccontaci quello che hai visto, senza troppi preamboli.» Il tono di voce non lasciò adito a dubbi, non avrebbe accettato nient'altro che la verità.

Il resoconto fu piuttosto breve e conciso, in fin dei conti, nemmeno a lui piaceva perdere tempo. Raccontò dell'incontro con il ragazzo e di come era riuscito a sfuggirgli. A dispetto delle previsioni, il giovane sapeva già usare qualche frammento di potere. Una piccolissima parte, ovviamente, ma sufficiente a scombussolare i loro programmi.

«Se me lo ordinate, posso tornare lì immediatamente e distruggerlo, ma...»

«Ma non era nei piani» concluse una voce femminile.

"Ecate." Belial le sorrise. Aveva sempre apprezzato quella sua bellezza intrigante e malinconica, ma era stato ben attento a nasconderlo. Ecate era una pianta carnivora: prima ti incanta, poi ti divora. Demoni leggendari erano morti sopra e sotto le lenzuola, impotenti di fronte al veleno della donna e alle sue lusinghe.

«E dimmi, hai visto anche la fanciulla?» Si inumidì le labbra con fare provocatorio.

«Cosa vuoi sapere?»

«Era affascinante?»

Per poco non scoppiò a ridere. «Mi stai chiedendo se fossi sessualmente attratto dalla giovane umana?» Scosse la testa e fissò la donna dritta negli occhi. «Io no, ma non si poteva dire lo stesso di Lucifero.»

L'espressione di Ecate divenne di marmo. Una statua d'imperitura gelosia risplese d'innanzi a Belial, che non potè far altro che ammirarla. Piccole crepe si allargarono sui braccioli del trono, mentre le dita si artigliavano con furore al marmo levigato. Gli occhi spalancati si accesero come torce, e, forse, avrebbero anche sprizzato vere fiamme, se Baal non fosse intervenuto a quietare nuovamente gli animi.

Battè le mani e riportò il silenzio in sala. Era rimasto in tacito ascolto fino a quel momento, impegnato a riflettere su chissà cosa. L'apparente noncuranza non doveva però trarre in inganno: niente sfuggiva a Baal. Niente.

Bofonchiò qualcosa di incomprensibile, prima di riportare l'attenzione su Belial. Il volto anziano, trasmetteva sicurezza e saggezza a chiunque lo guardasse. Ma c'era qualcosa di oscuro dietro quelle sopracciglia spesse e l'espressione profonda. Qualcosa di spaventoso e terribile, capace di far sprofondare ogni malcapitato in un mare di disperazione e dolore.

«Ho bisogno ancora di te, mio caro Belial.» Quelle parole lo fecero tremare. Deglutì, a fatica, e attese il verdetto. «Non possiamo lasciarli in libertà, ma, d'altro canto, rischiamo di richiamare attenzioni indesiderate.»

«Cosa devo fare?» chiese il demone con voce roca.

«Ho in mente qualcosa di interessante» rispose. E un sorriso malvagio illuminò il volto rugoso di Baal. Un sorriso che prometteva fuoco e sangue.

Luci di tenebraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora