Capitolo quattordicesimo

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Elia sentì i denti della creatura penetrare con foga nella carne. Lanciò un urlo disperato, cercando in tutti i modi di divincolarsi dalla presa dell'avversario. Sgomitò con rabbia, inveì e sbraitò contro di lui, ma niente fece demordere quello strano individuo, emerso dall'involucro vuoto del fanciullo.

«Lasciami stare!» Come risposta, ottenne solo un cupo brontolio.

Il cuore prese a palpitare all'impazzata, mentre l'adrenalina si diffondeva in tutto il corpo. Se aveva imparato qualcosa in quei giorni, era di non arrendersi mai. Mai!

«Ho detto», afferrò le spalle della creatura, «di lasciarmi stare!» Caricò il colpo e sferrò una testata che mandò entrambi a gambe all'aria.

Senza aspettare un secondo di più, si rimise in piedi e corse contro l'avversario. Lo trovò ancora steso a terra, visibilmente stordito. Gli occhi scuri lo fissarono spaesati per un istante. "Sei mio!" Lo bloccò con il proprio peso e incominciò a colpirlo con forza.

L'uomo continuò a tacere, quasi rassegnato al proprio destino. Rimase immobile per tutto il tempo, senza muovere un muscolo. Un manichino privo di vita, che subiva i colpi senza rispondere. La voracità dimostrata un attimo prima, pareva scomparsa nell'aria.

«Allora?» urlò Elia. «Non reagisci più?» Aveva le nocche ormai sporche di sangue, ma non voleva fermarsi. Non poteva fermarsi. Per qualche strana ragione, il viso dell'uomo lo irritava più di ogni altra cosa. Quel volto monotono, quegli occhi opachi, quel sorriso tranquillo... Perchè sorrideva? Perchè pareva quasi felice di quel trattamento?

Continuò a scagliare la propria rabbia contro di lui. Un pugno, poi un altro, e un altro ancora, senza provare un minimo di rammarico. Voleva fargli male, voleva vederlo soffrire. Le mani gli tremarono per la collera e il respiro divenne affannoso.

«Dunque?» sussurrò con voce roca.

L'avversario inclinò leggermente la testa e arricciò le labbra in un ghigno beffardo. «Ora sei soddisfatto?»

Quella domanda lo fece inalberare ancora di più. Allungò le dita verso il collo dell'uomo e strinse con forza. L'avversario spalancò gli occhi per la sorpresa, ma non protestò. Fissò Elia per tutto il tempo, con uno sguardo piatto dipinto in viso e la consapevolezza di star per morire.

Attorno a loro regnava il silenzio. Solo i singulti strozzati dei due combattenti rompevano quella calma ossessiva. Ma Elia non se ne accorse nemmeno, nella sua testa, il caos, aveva preso il sopravvento. Un putiferio di emozioni e pensieri contrastanti assillarono il giovane. Avrebbe voluto staccare la presa, allontanarsi dall'uomo e fuggire più lontano possibile. Ma non lo fece.

Tese i muscoli e rafforzò la morsa. L'uomo aprì lievemente la bocca e sussurrò.

Cosa aveva detto? Elia avvicinò il volto a quello dell'avversario. Percepì il suo repsiro pesante, un tanfo di marciume e putrefazione.

«...menti» boccheggiò la creatura.

«Cosa?»

«Complimenti.» Gli rivolse un ultimo sguardo, carico di soddisfazione. «Ora sei un vero demone.» E con quella frase sulle labbra, spirò.

Elia rimase sconvolto. Staccò di colpo le mani e saltò in piedi. Davanti a lui giaceva il corpo morto dell'avversario, ma non se ne dispiacque. Un vero demone? Lui? Non aveva mai fatto del male a nessuno...

"Finora."

Scosse il capo. Aveva ucciso, per la prima volta, ma non gli importava. Era come vivere un sogno: non sei mai veramente cosciente delle proprie azioni. Ma era così? Fissò il cadavere dell'uomo, sdraiato ai suoi piedi. C'era qualcosa di strano. La pelle dell'individuo si stava sgretolando a vista d'occhio, come terriccio secco.

S'inginocchiò. "Ora cosa diavolo succede?" Gli sfiorò la guancia, ma questa si sbriciolò subito.

"Demone!" L'eco tuonò ancora nella sua testa. Non era vero, non era vero, non era...

Il volto incrinato dell'individuo parve illuminarsi davanti ai suoi occhi. Le crepe sulla pelle assunsero un bagliore argentato, che avvolse ben presto il povero Elia. Si voltò, accecato da quella luce intensa. Il mondo di tenebra, in cui era immerso, aveva cambiato fattezze.

«Elia!»

Incominciò a correre. Qualcuno lo stava chiamando da un luogo molto lontano.

«Elia!»

Corse finchè non gli cedettero le gambe. Non sapeva se stava inseguendo la voce o fuggendo da essa.

«Elia!»

Spalancò gli occhi.

Lucia lo stava fissando con preoccupazione. Era nuovamente nel giardino fiorito vicino al lago. "Sono tornato." Ma, come in ogni viaggio, si torna sempre un po' cambiati. Si guardò le mani, le stesse che qualche attimo prima avevano ucciso un uomo.

"Ce l'ho fatta." Le unghie si erano scurite e allungate visibilmente, quasi a formare degli artigli animaleschi. Dalla carnagione pallida, poteva scorgere sangue nero attraversare le vene turgide. Ce l'aveva fatta, era riuscito a trasformarsi con le proprie forze. E, per la prima volta, sentì di poter controllare quella forma in maniera completa.

«Hai visto, Lucifero?» gridò con soddisfazione. Ma il demone era sparito.

Si guardò attorno, ma non lo vide da nessuna parte. Le uniche ali nere in circolazione, erano le sue.

"Non mi troverai." Una voce risuonò nell'aria.

Digrignò i denti. «Dove sei?»

"Non te ne sei accorto?" Il cuore sussultò. "Sono dentro di te."

«Prima non accadeva. Perchè sei tornato dentro?»

Una risata risuonò lontana. "Molto semplice, mio caro ragazzo. Hai finalmente compreso chi sei?"

«E chi sarei di preciso?»

Fu Lucia a rispondere, in un misto di paura ed eccitazione.

«Un demone.»

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