L'accampamento degli Stalker

83 8 1
                                    

In quella foresta piena di alberi e arbusti morti, mi sentivo osservato, come se qualcosa ci seguendo e osservando da tempo. Forse erano le Ombre? Dovevano essere loro. Lo Stalker lo aveva detto chiaramente che erano ovunque intorno a noi. Forse erano proprio loro che percepivo; i loro sguardi spettrali, gelidi. Una sensazione intensa, indescrivibile, che mi face sentire vulnerabile all'idea che le Ombre potessero soggiogarmi la mente, che potessero portami al delirio, alla morte. Forse era solo suggestione, o forse non lo era per niente.
Poi un altro pensiero prese il sopravvento. Un pensiero che mi apparve confuso. Perché gli Alti Papaveri ci avevano tenuto all'oscuro delle Ombre, dei Porger nei Bunker e di altre fottute bestie che ancora non avevo incontrato? Noi soldati rischiavamo di morire da un giorno all'altro per una anomalia o per qualcosa ancora a noi sconosciuta. Perché non ci dicevano nulla? Perché si limitavano a dire di uccidere gli Stalker e di tenere gli occhi aperti. Gli occhi aperti per cosa? Per le anomalie? Per i Mutanti? Non ci avevano fornito dati, prove, nulla. Ci avevano mandati qui a uccidere Stalker che per arricchirsi rischiavano la vita in questa landa desolata. Paragonato allo Stalker davanti a me, io sembravo l'ennesimo dilettante che credeva di sapere tutto sulla Zona. Un esperto di un beato cazzo! Uno dei tanti che poi finiva morto ammazzato da qualche parte e dimenticato da tutto e tutti, persino dagli Dei.
<< Da questa parte! >> Disse lo Stalker, facendomi avanzare per primo. << Attento ai rami! >> Poi dopo un lungo momento aggiunse: << Lo vedi? Quello è l'accampamento degli Stalker! >> Indicò con il machete una vecchia fabbrica abbandonata.
Da lontano non vidi quasi nulla. Sembrava che la fabbrica fosse tutt'una con l'oscurità, a parte due lunghe canne fumarie che s'innalzavano al cielo come due lance pronte a trafiggere i densi nuvoloni grigi. Ogni tanto le folgori illuminavano l'edificio per un attimo, ma era troppo poco per vedere qualcosa. Camminando per un altro po', arrivammo davanti a un enorme cancello rosso, alto cinque metri e largo tre. Uno spesso muro crepato in cemento armato circondava il complesso. Alla mia destra vidi una sezione di muro crollato; era stato rattoppato con la carcassa di un camion arrugginito e delle lastre di ferro corrose dalla ruggine. Due guardie si trovavano sul camminamento di fortuna sopra l'ingresso. Lo Stalker li fissò per un attimo, poi abbassò lo sguardo. Con uno stridio che mi fece tappare le orecchie, il cancello si aprì.
Ero sorpreso che le due guardie non ci avessero prima perquisiti. Ci fecero entrare senza fare domande. Conoscevano lo Stalker in mia compagnia? Lo temevano? Oppure faceva parte di questo accampamento? Entrare in questi accampamenti era molto difficile, se non impossibile. Dovevi conoscere qualcuno all'interno, qualcuno che poteva garantire per te. Nessuno del mio plotone ci era mai riuscito. Erano gli Stalker a venire da noi, non noi da loro. E questo mi fece pensare; perché ci uccidevano a vicenda? Perché ci odiavamo così tanto, se poi finivamo per fare affari insieme? Forse era un ragionamento contorto, ma l'uomo stesso è un essere contorto.
<< Rimani attaccato al mio culo, >> bisbigliò lo Stalker << se non vuoi ritrovati con un buco in fronte. >>
<< Perché non ci hanno perquisiti? >> Gli chiesi.
Lo Stalker si fermò di colpo, fissandomi dritto negli occhi. << Prima regola; non parlare se non te lo chiedo io. Seconda regola; osserva e stai in silenzio. >> Poi si guardò intorno, come se temesse che qualcuno avesse origliato le sue parole. Ma si accorse che non c'era nessuno nei paraggi del cancello e si mise a camminare.
Mentre lo seguivo, rimasi perplesso per la sua frase. Perché voleva che stessi zitto? Non che io amassi parlare. Anzi, perlopiù me ne stavo per conto mio. Forse non voleva che mi scoprissero? Che la mia linguaccia creasse problemi?
L'esterno dell'enorme fabbrica si presentava semi distrutta. In alcune zone il tetto era crollato insieme alle mura. C'erano collinette di detriti alla base del complesso. Notai quattro edifici, due medi e due grandi, malandati e con metà tetto distrutto. Molte carcasse di veicoli erano disseminati nell'arido giardinetto o lungo la strada. C'erano persino motori arrugginiti, sedili strappati e ruote sgonfie contro le pareti o ammassati vicino agli spiazzi cementati.
Conoscevo questi tipi di edifici, costruiti ai tempi dell'Unione Sovietica. Producevano autovetture in serie, ma erano solo dei camuffamenti per produrre carri armati. I Sovietici, che erano nel pieno della Guerra Fredda contro gli USA, celavano gran parte della produziona bellica usando come copertura fabbriche come queste. Non volevano trovarsi impreparati nel caso il conflitto si fosse scaldato per davvero. Adesso non so se questa fabbrica producesse carri armati o robe del genere, e non rimarrei molto sorpreso nel trovare un carro armato parcheggiato nel cortile o dentro un grosso garage.
Alla mia sinistra si trovava un edificio quasi raso al suolo. All'interno c'erano degli Stalker, che se ne stavano attorno a un barile bucherellato in cui ardeva un fuoco. Uno di loro strimpellava una chitarra e cantava una canzone triste. Parlava di un avventuriero che, partito per il centro della zona, l'aveva infine trovata. Al suo ritorno raccontò di aver trovato una montagna d'oro, e quando gli altri Stalker chiesero di mostrarlo, lui estrasse dallo zaino dei rottami radioattivi. Tutti i presenti mutarono in orribili zombie, mentre lui rideva illeso, perché adesso anche gli altri potevano finalmente vedere l'oro. La melodia era più tosto tetra, ti catturava. Ti faceva riflettere.
D'un tratto lo Stalker cantautore smise di cantare nell'incrociare il mio sguardo. Tutti gli altri si girarono verso di me, scrutandomi da capo a piede. Non mi avevano mai visto nell'accampamento. Erano diffidenti verso le facce nuove. Non era un mistero. Gli Stalker erano così per natura. Non puoi campare a lungo nella Zona se non si è diffidenti verso ogni cosa. Lo Stalker che mi aveva salvato la vita, per me, era un eccezione. Lui era un caso a parte, e ancora non capivo perché mi avesse salvato, oltre a dirmi che l'aveva fatto per non far morire l'ennesimo coglione. Fu proprio lui ad accennarmi di aumentare il passo, in quanto mi ero ritrovato al centro dell'attenzione. Con un nodo in gola, abbassai lo sguardo e lo seguii.
Dopo esserci allontanati un po', lo Stalker cantautore ricominciò a cantare. Tutti lo ascoltavano in un maestoso silenzio. A circa cento metri vidi un insegna con scritto: Gap 51. La scritta era un po' sbiadita e notai che era stata scritta con lo spray rosso più volte, come se l'ambiente continuasse a cancellare la scritta. Capii subito che si trattava del famoso bar degli Stalker. Apparteneva a Ruslan Perivic, il primo Stalker, diventato poi il più influente, potente e ricco trafficante della Zona. Poteva persino andare in pensione per quanti soldi aveva messo da parte con il mercato nero dei manufatti, ma aveva scelto di rimanere. Non so perché; forse per avidità? Nostalgia? O qualcos'altro?
Fuori dal bar, distante poco dall'ingresso, una decina di Stalker erano seduti su due panche di legno. Avevano lo sguardo fisso in avanti, come se guardassero il nulla. Un altro era in piedi e li gridava con in mano una Makarov PMm. La sventolava ai quattro venti, accusandoli di qualcosa.
<< Fermati! >> Sussurrò lo Stalker davanti a me. << Osserva e vedrai come la Zona tratta i propri figli. >>
Come la zona tratta i propri figli? Cosa voleva dire? C'era un uomo davanti a me, non un mutante.

La Zona (Completo)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora