Il Monolite

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Mentre la densa nube di polvere si diradava attorno a me, mi parve di sentire dei ringhi. Rimasi fermo con le orecchie ben tese, e mi accorsi che dall'altra parte delle macerie c'erano dei Mork. Li sentivo. Dovevano essere a centinaia. Ma da dove erano usciti? Quanti ce ne erano ancora?
Poi, prima di allontanarmi, vidi delle mani scarnificate spuntare dai detriti. Quei bastardi stavano scavando. Volevano arrivare a me.
Corsi nell'unica direzione possibile e superai la porta dove mi ero schiantato poco prima. La stanza era buia, il mio fascio di luce illuminò qualche tavolo rotto, delle sedie e due schedari che bloccavano una porta in fondo alla camera. Nessuna traccia di cadaveri, solo schizzi di sangue raggrumato sul pavimento e sulle pareti. Raggiunsi gli schedari e nel spostarli, ne feci cadere uno sul pavimento. Il tonfo echeggiò intorno a me, e sentii i ringhi dei Mork diventare più forti, più acuti. Aprii la porta e la richiusi. Fu in quel momento che li udii arrivare nella camera adiacente. Senza guardarmi intorno, mi precipitai dietro uno scaffale pieno di libri ammuffiti e sbriciolati. Spensi la torcia e rimasi in silenzio. Sentivo il mio respiro nella maschera antigas. Stringevo il coltello da caccia con tutte le mie forze, e in quel momento non mi resi conto che un coltello non sarebbe servito a nulla contro quelle creature, come l'aver spento lo torcia. I Mork erano ciechi. Così la riaccesi.
Un attimo dopo abbatterono la porta e i Mork entrarono nella stanza. Li sentii correre sul pavimento, sui muri, sul soffitto. Non so quanti ce ne erano, ma dal cacofonia di ringhi, gemiti e grugniti dovevano essere più di una ventina. Mi rannicchiai, quando percepii un mutante sopra la mia testa. Se ne stava fermo sul soffitto, scattando la testa da un lato all'altro. Poi si lasciò cadere sul pavimento. La sua faccia si avvicinò a un palmo dalla mia, il suo alito appannò i vetri della mia maschera antigas. Avvicinai il coltello da caccia al suo ventre pronto a eviscerarlo a morte, quando tutti i Mork nella stanza iniziarono a ringhiare. Un ringhio basso, irritato. La creatura davanti a me balzò sul soffitto e vidi come un lampo sul muro, seguito da una raffica di spari. Preso dal panico, spensi nuovamente la torcia e mi chinai con le braccia a protezione della testa. I proiettili scalfirono la parete di fronte e lo scaffale dietro cui mi ero nascosto, sbriciolando i libri. Della polvere mi cadde sulla tuta, mentre i ringhi si facevano meno numerosi, finché cessarono del tutto.
Scese un tetro silenzio nella stanza. Rimasi immobile, quando scorsi due fasci di luce roteare sulla parate crivellata di pallottole. Poi qualcosa si posò sulla mia spalla. Scattai in piedi e prima che potessi difendermi, vidi due uomini davanti a me. Mi puntavano i fucili d'assalto. La prima cosa che pensai furono i Figli dei Monolite. Oscar aveva detto che potevamo incontrarli in luoghi come questi.
Uno di loro mi accecò con la torcia.
<< Non sembra un Figlio del Monolite. >> Disse una voce nasale sotto la maschera antigas.
<< No. >> Disse l'altro con la stessa voce nasale. << Chi sei? >>
<< Il mio nome è Boris. >>
<< Boris? >>
<< Sì. Il vostro? >> Domandai ai due uomini.
<< Eri al Gap 51? >>
<< Sì. >>
<< Sono Lazar. >>
Spalancai gli occhi sorpreso. Come poteva essere? Era davvero Lazar? Non riuscivo a dire niente.
Mi dissero di seguirli nella stanza adiacente e una volta arrivati, ci togliemmo le maschere antigas.
<< Qui non ci sono radiazioni. >> Disse Lazar con un lieve sorriso. Aveva la faccia stanca, gli occhi incerchiati dallo stress e i capelli bagnati dal sudore. Ci stringemmo la mano, finché ci abbracciamo contenti di rivederci.
L'altro Stalker era Corad. Aveva ancora quello sguardo minaccioso e i bordi degli occhi arrossati. Si era rasato la barba e appariva ancor più possente di prima. << Che scena patetica. >>
Io e Lazar ignorammo le sue parole.
<< Come stai? >> Mi domandò Lazar, posandomi una mano sulla spalla. << Come sei arrivato fin qui? >>
<< Ero con un gruppo di Stalker. Eravamo diretti all'Emettitore Psichico quando siamo stati attaccati dai Mork. Poi è comparsa un anomalia e... Beh, ha fatto fuori tutti i mutanti, ma non so se gli altri del mio gruppo sono sopravvissuti. >>
<< Chi erano? >> Chiese Lazar.
<< Oscar, Bes e Alexander. >> Risposi.
Corad si avvicinò a me. << Dici sul serio? Con quelli là? >>
<< Sì, perché? >>
<< Che ci facevano degli Stalker veterani con un pivello come te? >> Mi toccò lo squarcio nella divisa militare dove un tempo c'erano gli stemmi. << Te li sei tolti, non è vero? Anche sotto una maschera antigas riesco a sentire il tanfo di un militare. >>
<< E' uno Stalker. >> Disse Lazar prendendo le mie difese.
<< Sì, come no. E io sono il Presidente. Non prendiamoci per il culo. So perfettamente che è un militare. Magari li ha uccisi quando è arrivato qui. Sai quanti ne ho beccati di tizi come lui? Disertori del cazzo o doppiogiochisti. Non parliamo dei fottuti infiltrati. So riconoscere questi vermi, come so riconoscere quanti sono le dite della mia mano. >>
<< Non dire stronzate, Corad. >> Rispose Lazar. << Garantisco io per lui. >>
<< Con la tua garanzia mi ci pulisco il culo. >> Corad mi fissò negli occhi. << Dove sono finiti? >>
<< Chi? Oscar e gli altri? >>
<< Sei scemo o fai la parte? >> Sbuffò Corad irritato.
<< Non lo so. Li ho persi di vista quando è comparsa l'anomalia. >>
Corad mi guardò per un attimo, poi si rivolse a Lazar. << Se scopro che li ha fatti fuori, gli sparo alle gambe e lo do in pasto ai Mork. E farò la stessa cosa con te. >>
Lazar mi lanciò un occhiata.

Indossando le maschere antigas, lasciammo la stanza e ci inoltrammo in una serie di corridoi, che costeggiavano laboratori e box uffici. Militari e scienziati giacevano sul pavimento, sui tavoli o contro la parete, ma dei Mork nessuna traccia. Niente di niente. Mentre camminavamo, cominciai a credere che questo laboratorio x16 fosse simile al Bunker in cui ero entrato con Petrov, poiché ogni camera sembrava una duplicazione dell'altra. Mi sembrava di girare in tondo.
<< Come hai fatto a incontrare Oscar? >> Mi chiese Lazar.
<< Ruslan mi ha detto di andare da lui se volevo saperne di più sulla Zona. >> Risposi.
<< Davvero? >>
<< Sì. >>
<< Beh, se lo ha fatto, allora sapeva che Oscar ti avrebbe aiutato. >> Fece una pausa. << Sapevi che Oscar fa parte di una cerchia ristretta chiamata Ombra? >>
<< Sì, Oscar mi ha accennato qualcosa del genere. >>
<< Anche Corad ne fa parte. >>
Fui sorpreso da quella rivelazione. << Uno di loro? >>
<< Non farti ingannare dal suo temperamento. E' uno dei migliori, credimi. Se non il migliore. >>
Proseguimmo per un po' in silenzio, finché dissi. << Perché siete qui? >>
<< Ti ricordi quando ci siamo lasciati al Gap51? >> Rispose Lazar. << Beh, da quel momento in poi io e Corad ci siamo diretti qui. Ci siamo messi a cercare dei manufatti, ma non abbiamo trovato nulla. A dir la verità sono rimasto molto sorpreso quando mi hai detto che hai visto un anomalia qui dentro. Noi siamo qui da tre giorni e ancora non abbiamo perlustrato tutto il laboratorio x16. >>
<< Cosa? Vuoi dire che ci sono altre stanze? >>
<< Molte di più. Scendono tutte in profondità, ma lì le radiazioni diventano letali e non ci siamo andati. Ti ammazzano ancor prima che tu te ne renda conto. Quindi ti lascio immaginare quanto siano potenti. >>
<< Non raccontare i cazzi nostri agli estranei. >> Disse Corad.
Lazar lo ignorò. << Vedi, qui sotto abbiamo incontrato due gruppi dei Figli del Monolite. Ovviamente erano morti da chissà quanto tempo e i Mork li avevano smembrati. Solitamente i Figli del Monolite vengono qui per cercare i manufatti da donare al sommo sacerdote del Monolite. Quelli sono pazzi, credimi. L'unica cosa che trovano qui è la morte, ma quelli hanno il cervello troppo in papa per rendersene conto. >>
<< Ma hai appena detto che eri qui per cercare dei manufatti? >>
Corad si fermò. << Che ti avevo detto, Lazar? Dovevi stare zitto. Ora mi tocca ammazzare questo stronzo. >> Mi puntò il fucile d'assalto alla testa.
<< No, fermo! >> Rispose Lazar posando una mano sulla canna del fucile. << Sarebbe inutile, Corad. Anche lui stava andando nella stessa direzione. >>
<< E con questo? >>
<< Non vorrai mica inimicarti Oscar? Succederà questo se fai fuori uno del suo gruppo. Magari sono qui da qualche parte e lo stanno cercando. >>
Corad grugnì e abbassò l'arma, continuando a camminare.
<< Quindi mi hai mentito? >> Dissi.
<< Non volevo, ma... >> Rispose Lazar. << Lasciamo stare. >>

Entrammo in un box ufficio messo a soqquadro. Non ci accorgemmo dei Mork, fin quando Corad non ne vide uno che divorava un cadavere e gli piantò una pallottola nel cranio. Fu allora che sentimmo i Mork sopra le nostre teste. Ce ne erano a decine.
<< Uscite! >> Urlò Corad, coprendoci le spalle mentre sparava alla cieca.
I Mork ci rincorsero lungo i muri e il soffitto. Quando Lazar fece per chiudere la porta, un Mork ci si schiantò sopra, abbattendola. I mutanti si riversarono nella stanza come un fiume in piena. Corad ne fece fuori tre, mentre Lazar mi lanciò una pistola e si mise a sparare. I Mork correvano a quattro zampe e saltavano da una parte all'altro evitando le pallottole.
Io mirai a quelli più vicini ai due Stalker, ma non ne centrai nemmeno uno. Erano veloci, e ci costrinsero a indietreggiare fin quando toccammo il muro con le spalle. Fu allora che i Mork si gettarono tutti sul pavimento e si precipitarono verso di noi.
<< ORA! >> Gridò Corad.
Lazar lanciò una granata a frammentazione, che colpì la testa di un mutante. L'esplosione spazzò via i Mork. Brandelli di carne e sangue schizzarono sulle nostre tute e le maschere antigas.
<< Non muovetevi. >> Disse Corad, puntando il fucile in vari punti della stanza.
<< Non ce ne sono più. >> Rispose Lazar.
<< Meglio esserne sicuri. >> Abbassò l'arma e si rivolse a me. << La sai usare quella cazzo di arma, perché non hai fatto altro che sprecare colpi. Chissà cosa cazzo ha visto in te Oscar da farti entrare nel suo gruppo. >>
Corrugai la fronte, ma non dissi nulla.

Seguendo un corridoio dalle pareti crepate, entrammo in un grande laboratorio. Vidi di nuovo quei neonati dalla testa deformata nei grandi cilindri medici attaccati al muro. C'erano moltissimi tavoli da laboratorio con sopra agitatori magnetici, mescolatori vortex, alambicchi, essiccatori, pinze e portaprovette. Enormi schedari correvano lungo le pareti e una specie di liquido verdastro fosforescente era cosparso sul pavimento, illuminando debolmente il laboratorio. Mi accorsi solo in quel momento che fra il soffitto e il muro scolava o gocciolava quel strano liquido.
<< Siamo vicini. >> Disse Lazar.
<< Non cantare vittoria troppo presto. >> Rispose Corad. << Dobbiamo superare quelle pozze radioattive. >>
<< Vicini a cosa? >> Domandai a Lazar.
<< All'Emettitore Psichico e al Monolite. >>
<< Sono vicini l'un l'altro? >>
<< Una cosa del genere. Il Monolite esiste per davvero, mentre l'Emettitore Psichico non si sa. Voglio dire, alcuni dicono che siano la stessa cosa. >>
<< Non esiste alcun cazzo di Emettitore Psichico. >> Aggiunse Corad. << Non esiste. Non è mai esistito. E' il Monolite che governa la fottuta Zona. >>
Scossi la testa. << Oscar mi ha detto... >>
<< Non mi frega un cazzo di cosa ti ha detto, Oscar. >> Si avvicinò a me con fare rabbioso. << Io l'ho visto quel fottuto Monolite! L'ho visto con quei fottuti occhi! Oscar dice così perché il Monolite è circondato da enormi macchinari arrugginiti. Quindi crede che qui si trova l'Emettitore Psichico, non il Monolite. O tutte e due le cose, non mi ricordo. E comunque non mi frega un cazzo di cosa ha detto! >>
<< Calmati, Corad. >> Aggiunse Lazar.
Corad raggiunse un contenitore cilindrico in cui giaceva sospeso un neonato dalla testa deforme. << Bastardi... >> Lo sentì dire tra i denti.
<< Ma che gli prende? >> Domandai a Lazar.
<< Fa sempre così quando passa da queste parti. Credo sia per colpa di quei piccoli mutanti nei vetri. >>
<< Che vuoi dire? >>
<< Non ti pare palese? Gli dispiace per quei cosi là dentro. La prima volta che siamo scesi qua sotto voleva persino liberarli. Credeva che fossero vivi. >> Fece una pausa. << Sapevi che gli scienziati rapivano le donne incinte e le segregavano qua sotto, finché non partorivano? Quei neonati erano umani, un tempo. Gli imbottivano di farmaci sperimentali. Credevano che se avessero iniettato quella robaccia nei loro minuscoli corpi, sarebbero cresciuti forti, resistenti e con poteri mentali. Sai, chiaroveggenza, telecinesi e quelle robe lì, insomma. >>
<< Cosa ne facevano delle donne una volta che partorivano? >>
<< Partorivano altri figli usando una specie di fecondazione assistita, una cosa del genere. Oppure se rifiutavano o non riuscivano più a sfornare bebè, un proiettile in testa. >>
Abbassai gli occhi. Come potevano fare questo a delle madri? E per giunta trattare i neonati come cavie? Ma la cosa che mi stupii era la fredda con cui Lazar ne parlava. Che si fosse distaccato da quelle atrocità? Oppure non gliene fregava niente?
<< Muoviamoci. >> Disse Corad. << Aggireremo le pozze radioattive proseguendo su quella passerella. >>
<< Non ci siamo mai andati là sopra. >> Rispose Lazar.
<< Quindi? >>
<< Potrebbe cedere. Il ferro è troppo arrugginito. >>
<< Non cadrà. >>
Ci avvicinammo alla scala. Corad mise un piede, poi l'altro. Salì cinque gradini, afferrò i parapetti ai lati e iniziò a smuoverli con forza. L'intera passerella traballò, finché non smise di muoverli. << Visto? E' sicuro, cacasotto. >>
<< Cacasotto io? >> Disse Lazar con una smorfia. << Allora fammi andare avanti. Ti faccio vedere quanto sia cacasotto. >>
<< Sei peggio di un bambino. Stavo scherzando. >>
Lazar salì in cima e la passerella si staccò di poco dal muro. << Merda! >> Urlò mantenendosi al parapetto. << Sicuro un cazzo. >>
<< Non ti lamentare. >> Rispose raggiungendolo.
<< Con i tuoi 100 chili di muscoli ci farai cadere tutti. >> Disse Lazar con tono sarcastico.
<< Sì, certo. >> Corad si portò davanti a Lazar, mentre io salii i gradini. << Se ci teniamo rasenti al muro, questo affare non cadrà. >>
<< Davvero rassicurante. >>
Tenendoci con una mano stretta al parapetto e con le spalle al muro, strisciammo lungo la passerella. Sotto di noi le pozze radioattive fosforescenti illuminavano flebilmente vari punti del grande laboratorio. Poi il mio sguardo venne catturato da una pozza ribollente come gli altri, solo che ribolliva come magma incandescente.
<< Corad. >> Disse Lazar. << Guarda laggiù. >>
<< Cazzo! >> Rispose. << Facciamo presto, o moriremo qui dentro. >>
<< Perché? >> Domandai a Lazar. << Che succede? >>
<< Le pozze ribollenti sprigionano un sacco di radiazioni letali. Possono arrivare anche quassù. >>
<< Ma questo qui non sa praticamente un cazzo di niente. >> Disse Corad con fare irritato. << Ma come cazzo ha fatto a sopravvivere fino ad ora? >>
Quando scendemmo dall'altra parte della passerella, ecco che quella crollò giù.
<< Ora come torniamo indietro? >> Domandai.
<< Dalla stessa fottuta strada da cui sei venuto. >> Rispose Corad.
<< Speriamo che le pozze radioattive scompaiano al nostro ritorno, >> disse Lazar << O saremo davvero fottuti. >>

Lasciammo il laboratorio e seguimmo un corridoio, entrando in una piccola sala d'aspetto. Poltrone, divani, tavolini impolverati con su sopra delle riviste corrose dal tempo erano sistemati nella stanza. Il pavimento era rivestito di piastrelle grigio scuro, così come le pareti di cemento. Di fronte a noi c'era la reception; un bancone di legno marcescente. Accanto, una doppia porta di legno putrescente e sopra di esso, uno stemma; due teste di falchi che guardavano in direzioni opposta.
Gettai un occhiata alle mie spalle, perché questa stanza non c'entrava nulla con ciò che avevamo visto fin ora. Mi pareva di essermi come teletrasportato, la stessa sensazione che ebbi quando entrai nella casa in Breyll, ma non era così.
Della polvere danzava davanti alle nostre torce, quando ci avvicinammo alla reception.
<< Sei sicuro che nessuno sia stato qui? >> Domandò Corad.
<< Perché? >> Rispose Lazar.
<< Ho lasciato lo zaino di Norman qua dietro, ricordi? Beh, è sparito. >>
<< Sicuro che l'hai lasciato qui? >>
<< Non mi credi? >>
<< Certo, ma è strano. Se qualcuno fosse arrivato fin qui lo avremmo saputo dagli altri Stalker. >>
Domandai. << Forse Oscar e gli altri sono arrivati prima di noi? >>
<< Probabile. >> Disse Corad. << A meno che Norman non si sia alzato con le viscere di fuori e si sia ripreso lo zaino. >> Fece un mezzo sorriso divertito.
Corad raggiunse la doppia porta di legno e girò la maniglia. << E' chiusa. Come... >>
Un lampo abbagliante mi accecò. Non vedevo più nulla, a parte un bianco intenso.
<< Che cazzo gli succede? >> Sentii la voce di Corad giungere lontano, come se mi trovassi sott'acqua.
Percepii una mano scheletrica sul mio avambraccio, e quando cercai di divincolarmi dalla presa, altre mani mi afferrarono. << Lasciatemi! >> Mi strattonarono da una parte all'altra.
D'un tratto mi apparve davanti agli occhi il viso insanguinato di Joe. Alle sue spalle, in lontananza, centinaia di persone camminavano verso di me. Erano tutte oscurate da un nero pece. << Boris, aiutami! Boris. >> Mi supplicava Joe, senza muovere le labbra.
<< Joe! >> Gridai nel panico e crollai a terra privo di sensi.

Quando riaprii gli occhi, mi trovavano ancora nella reception. Solo che lo stemma con i due falchi era sparito. Al suo posto c'era un globo e una stella al centro. Mi alzai in piedi, e un lacerante fitta alla testa mi fece barcollare e sbattere le spalle contro il muro. Poi la stanza prese vita. Intorno a me, gli scienziati camminavano a scatti, come una successione di foto. Le loro voci giungevano distorte, parlavano dentro la mia testa, finché diventarono una cacofonia di risate, bisbigli, parole al contrario o di mezze frasi inceppate e ripetute all'infinito.
D'un tratto si spalancò la doppia porta di legno. Due scienziati trasportavano un lettino su cui era adagiata una donna incinta con la testa, le mani e i piedi bloccati. Gridava, piangeva, si dimenava. << Lasciatemi andare! Vi prego, lasciatemi andare. Non dirò niente a nessuno. Vi prego... > Un infermiere sbucò alle mie spalle con in mano una siringa dal liquido viola. Lo diede a un medico che, iniettandola nel collo della donna, cessò di muoversi con gli occhi ancora aperti. Pensai che l'avessero uccisa, ma presto mi resi conto che il suo petto si alzava e si abbassava.
Poi fui nuovamente accecato da un lampo e mi ritrovai a cadere nell'oscurità, seppure non sentivo il vento. Di colpo mi ritrovai in una pianura. Pioveva a dirotto e i fulmini squarciavano il cielo notturno. Voltandomi, vidi la testa deforme di un Porger fuoriuscire dalle acque melmose della palude. Mi fissava con i suoi penetranti occhi violacei, e quando fece per balzarmi sopra, mi ritrovai nuovamente a cadere nell'oscurità. Questa volta mi sembrava di volteggiare nello spazio.
Infine fui catapultato al Gap 51, pieno di Stalker ai tavoli. Vidi la faccia di Ruslan contorcersi in un ghigno incredulo e scioccato quando incrociò il mio sguardo, finché fui scaraventato nell'oscurità.
Attimi dopo, caddi tra il fogliame di una quercia e mi schiantai sul terreno erboso. Il colpo mi bloccò per un attimo il respiro. Mi voltai sul fianco e lentamente mi alzai in piedi, quando vidi una strana creatura con due teste. Era una chimera. Faccia e corpo da leone, un serpente al posto della coda e una testa scheletrica di un uomo che fuoriusciva a pochi centimetri dalla schiena. Mentre la chimera ruggì, il volto scheletrico emise un strillo acuto, seguito da una frase deformata, gutturale. << Mi dispiace... Mi dispiace... >> Ripeteva. Quando la Chimera fece per caricarmi, fui nuovamente scaraventato nell'oscurità, ma questa volta vidi una luce in lontananza. Un forte bagliore che si face sempre più vicino, fin quando mi avvolse del tutto.
Crollai sul pavimento della reception, e la prima cosa che vidi fu la brutta faccia di Corad. Mi squadrava con fare rabbioso. << Che cazzo gli è successo? >> Disse a Lazar.
<< Non lo so. >> Lazar mi tastò la maschera antigas. << Non ha le cuffie protettive. >>
<< Ma che coglione! >> Si allontanò da me. << Questo batte tutti i pivelli che ho conosciuto. Nessuno si sognerebbe di venire qui senza protezione dalle onde psichiche. >>
<< Oscar lo faceva. >>
<< Ma Oscar è Oscar. Sa sempre dove e come muoversi. E poi quello ha assorbito talmente tante radiazioni in corpo, che forse ha i geni modificati. Prendi Milkovich, ad esempio. Quel bastardo si faceva il bagno nelle acqua radioattive della Palude. Non è mai morto, ma ha fatto morire molta gente che gli stava intorno. >>
<< Improbabile. >> Lazar mi passò il fascio di luce della torcia da un occhio all'altro. << Comunque sta bene. E' solo paralizzato. >>
<< La stessa cosa che è successo a Norman. >> Disse Coard. << Solo che a quello gli è uscito il cervello dal naso e dalle orecchie. Povero bastardo. >> Fece una pausa. << Controlla. Gli si è fritto il cervello? >>
Lazar sbuffò, mentre ripresi lentamente il controllo del corpo. << La mia testa... >> Dissi. Mi sembrava che la mia testa fosse bombardata da mille granate.
Lazar mi indicò il naso. << Stai sanguinando. >>
Mi asciugai con la manica della tuta.
Corad mi squadrava come al suo solito. << Dove sei stato? >>
<< Cosa? >> Chiesi confuso.
<< Hai sentito. Dove sei stato? >>
<< Lascialo stare. >> Rispose Lazar. << E' stanco, non lo vedi? >>
<< Perché noi non siamo stanchi? >> Aggiunse Corad irritato. << Sono due giorni che non chiudiamo occhio. Due fottuti giorni! Poi è comparso questo tizio, e i Mork ci hanno attaccato. Sono fedele alla Zona. Non uccido i figli della Zona, ma arriva questo stronzo, e agita le acque. E sono costretto a infrangere la mia promessa. >>
<< Ma questo che c'entra? >>
<< Niente. Parlavo tra me. >> Mi guardò negli occhi. << Allora? Dove sei stato? >>
<< Sono stato per un attimo al Gap 51. >> Farfugliai, impastando le parole. << Ho visto Ruslan, e lui ha visto me. Ne sono sicuro. Era sorpreso. >>
<< Dici sul serio? >> Disse Corad vivamente stupito.
<< Sì. Poi sono stato in una palude. Ho visto un Porger, e prima che mi saltasse sopra, sono finito in un altro posto dove pioveva e tuonava. Lì c'era una chimera. Non ne ho mai vista una in vita mia, e non credo che la vorrò rivedere. >>
<< Poi? Continua. >> Mi incalzò Corad interessato.
<< Mi sono ritrovato in questa stanza. Voglio dire, era uguale, solo che invece di quello stemma. >> Indicai le teste dei due falchi. << C'era un globo con al centro una stella. >>
<< Questa parte è più antica del laboratorio x16. >> Disse Lazar. << Sei tornato indietro nel tempo? >>
<< Non lo so. Ricordo solo di aver visto due medici trasportare una donna incinta che piangeva e si dimenava. L'hanno sedata. Poi sono tornato qui. Non sono sicuro che ciò che ho visto sia stato reale... E' tutto così confuso. >>
<< Questo stronzo è un viaggiatore. >> Disse Corad. << Non ci avevo mai creduto prima. Allora le radiazioni possono avere questo effetto. Le voci erano vere, Lazar. >>
<< A quanto pare sì. >> Rispose con tono dubbioso. << Però è strano che sia svanito proprio qui. >>
<< Che vuoi dire? >>
<< Che l'Emettitore Psichico è vicino. >>
<< Il Monolite, semmai. >> Disse Corad con voce irritata. << Non esiste l'Emettitore Psichico. >>
<< Esiste, sennò come spieghi questa cosa? >>
Io non ci stavo capendo niente. Mi limitai ad ascoltare, anche perché più parlavo, più la testa mi scoppiava.
<< Per quattro volte sono venuto, qui. >> Disse Corad. << Per quattro volte ho visto il Monolite, ma mai l'Emettitore Psichico. >>
<< Hai mai pensato che l'Emettitore Psichico non siano altro che i macchinari attorno al Monolite? >> Rispose Lazar.
<< Impossibile. Sono del tutto corrosi dalla ruggine. >>
<< E con questo? Non ha bisogno di elettricità per funzionare. >> Fece una pausa. << Ma forse è il Monolite ad alimentarlo? Pensaci un attimo. Ci sono anomalie elettriche nella Zona. Queste anomalie possono fornire corrente all'Emettitore Psichico, sempre che non sia lo stesso Monolite a farlo. >>
Corad guardò Lazar per un momento. Poi sbuffò, come se avesse perso una sfida oratoria. << Può darsi, ma continuo a pensarla diversamente. >>

Mi sedetti sulla poltrona per riprendermi un po'. Spesso la mia vista diventava sgranata, e mi pareva di vedere delle persone nella stanza. Comparivano come flash, lasciandomi fitte dolorose alla testa. Cercavo di non gridare, ma spesso gemevo dal dolore.
Corad cercava di scassinare la serratura della doppia porta di legno. << Fanculo! >> Disse con un grimaldello rotto in mano. Poi ne prese un altro dalla tasca e ricominciò a lavorare.
<< Tutto bene? >> Mi disse Lazar.
<< Perché non abbattete la porta? >> Dissi.
<< Non si può. Lì c'è una sorta di barriera invisibile. Se cerchi di abbatterla a suon di fucilate o calci, beh ti torna tutto indietro. Esperienza personale. >>
<< Ma io non vedo nulla. >>
<< Allora provaci. >> Disse con un mezzo sorriso.
Rimasi zitto.
Poco dopo Lazar disse: << Non è un buon segno trovare la porta chiusa. >>
<< No? >>
<< L'ultima volta io e Corad abbiamo perso il nostro gruppo. Vedi, oltre la soglia c'è di tutto. Ora vedrai un corridoio, tra un ora una foresta e via dicendo. E' il Monolite a mutare il percorso. Non si sa con certezza cosa c'è realmente dietro quella porta. >>
<< Corad ha detto di aver visto il Monolite per ben quattro volte. >>
<< E' vero. Ma quando attraversa quella porta, non sa mai cosa lo aspetta. Sa solo che il percorso conduce al Monolite. Conduce sempre lì. >>
<< Il vostro gruppo com'è morto? >> Domandai.
<< Sono semplicemente svaniti. >> Rispose Lazar. << Un attimo prima erano con noi, quello dopo chissà dove. >>
<< Come fate a tornare indietro se il percorso cambia sempre? >>
<< No, cambia solo quando chiudi e riapri la porta. Non mentre se lì. Ad esempio, io posso entrare adesso e finire nella savana. Se tu chiudi la porta e la riapri, non vedrai né me, né la savana. Ma vedrai qualcos'altro. Mi vedrai solamente se avrò raggiunto il Monolite, perché quel luogo è reale. Mentre il tragitto non lo è. In caso contrario, non mi vedrai mai più. Capito? >>
<< Quindi è così che sono morti i tuoi compagni? >> Chiesi. << Anche se erano con te? >>
<< No, la soglia va varcata da solo. >> Mi rispose Lazar. << Non puoi andare con qualcun'altro. Se lo fai, vieni teletrasportato qui dentro. Ma se insistiti ad andare in compagnia, semplicemente svanisci. I miei compagni non hanno mai raggiunto il Monolite. Sono svaniti. >>
<< E' inquietante. >>
<< Solo la prima volta. >>
Rimanemmo in silenzio per un po', finché dissi. << Corad ha detto di aver visto quattro volte il Monolite. Mi chiedevo... Non ha mai chiesto di esaurire i suoi desideri? >>
<< Non funziona così. >> Rispose Lazar. << E' il Monolite a chiedertelo. Se lo raggiungi e lui non parla, allora i tuoi desideri non verranno mai esauditi. Puoi restare lì quanto vuoi, ma non ti rivolgerà mai la parola. Dovrai tornare indietro e raggiungerlo di nuovo. >>
<< Ma non ha senso. >>
<< Perché la Zona ha un senso? >> Sorrise Lazar.
<< Finalmente! >> Disse Corad alzandosi in piedi. << Ora possiamo entrare. >>
Mi alzai dalla poltrona e lo raggiunsi, seguito da Lazar.
Corad aprì la porta e fui stupefatto di quello che vidi oltre la soglia. Un sentiero sterrato costeggiato di robusti alberi dal folto fogliame, erba e arbusti. Fasci di luce friltravano tra i rami. Sentivo persino il canto degli uccelli.
<< Chi vuole andare per primo? >> Disse Corad.
<< A te l'onore. >> Rispose Lazar.
<< Ok. >> Diede una stretta vigorosa a Lazar, e un ultima occhiataccia a me. << Ci vediamo al Monolite. >> E superò la porta.
Lazar la chiuse e la riaprì. Questa volta oltre la soglia c'era una verdeggiante e sconfinata pianura. Il cielo era azzurro, con qualche spruzzo di nuvola qua e là. L'erba ondeggiava nel vento che arrivava persino oltre la porta. << Quando sarai dall'altra parte. Segui il sole, ma solo dopo mezzogiorno. Se è mattina non seguirlo e dirigiti dalla parta opposta. Se è notte, rimani fermo dove sei. Non preoccuparti, non incontrerai nessuno dall'altra parte. Sarai totalmente solo. Capito cosa devi fare? >>
<< Devo seguire il sole solo dopo mezzogiorno. >> Risposi. << Quindi devo andare a Ovest? >>
<< No! >> Disse Lazar con tono grave. << Qui dentro non c'è Ovest, Est e stronzate del genere. Il sole cambia spesso direzione dopo mezzogiorno. Quindi seguilo sempre. Se non lo fai rimarrai per sempre lì dentro. Comunque il sole ti condurrà a una porta. Lì vicino vedrai una persona. >>
<< Chi? >>
<< Una persona a te cara. Ti chiederà di restare con lei o lui. Ma stai attento; quella persona non è reale. E tieni sempre presente il tuo obiettivo. Guarda sempre la porta, mai gli occhi della donna o dell'uomo. Se lo fai, la tua mente comincerà a vacillare. Avrai difficoltà a capire cosa sia reale o cosa sia fasullo. Più sei consapevole di te stesso nel mondo reale, maggiore sarà la tua resistenza. Ricordalo. >>
<< Non posso entrare senza dover parlare? >>
<< Non farlo! >> Mi fissò negli occhi. << Se lo fai quella presenza ti ucciderà. Non cercare di aggredirlo, ucciderlo o persino evitarlo. Se fai queste tre cose morirai in un battito di ciglia. Mi hai capito? Non devi farlo! >>
<< Ok, Ok, ho capito. >>
<< Bene. >> Mi abbracciò con un sorriso. << Ricordati cosa ti ho detto. Ci vediamo al Monolite! Buona fortuna. >>
Chiusi la porta e rimasi a fissarla. Avevo paura di aprirla. Non sapevo cosa mi sarebbe aspettato dall'altra parte. Poi, facendomi coraggio, girai la maniglia. Oltre la soglia c'era una collina avvolta dalla neve. Non mi convinceva tutto quel bianco. Così feci per mettere una mano oltre la soglia per capire se facesse freddo, quando venni scaraventato dall'altra parte, come se qualcosa mi avesse tirato dentro. Mi voltai per tornare indietro, ma la porta non c'era più.
Sentii una fitta allo stomaco e il sangue ghiacciarsi nelle vene. Preso dal panico, mi girai in tutte le direzione, ma della doppia porta nessuna traccia. Non dovevo mettere quella cazzo di mano là dentro. Dovevo capirlo che avrebbe avuto questo effetto, ma Lazar non mi aveva detto niente a proposito di questo.
Poi alzai la testa. Il sole se ne stava in mezzo al cielo e il mezzogiorno era già stato superato da un pezzo. Oppure no? Quando abbassai lo sguardo per togliermi la maschera antigas e lo rialzai, il sole si era spostato di poco alla mia destra. Ebbi la conferma che il mezzodì era superato.
Seguii il sole tenendolo sott'occhio. Mi arrampicai sulla collina con qualche difficoltà. Seppur l'ambiente era avvolto dalla neve, non sentivo freddo. Era come se la neve in realtà, non fosse neve. Stessa cosa per il vento. Soffiava, eppure non sentivo nulla sul mio viso. Anche gli odori sembravano assenti. C'era un silenzio assordante intorno a me, interrotto solo dallo scricchiolio della neve sotto i miei stivali. Almeno potevo sentire i suoni, e quando feci per mettermi in bocca un po' di neve, mi accorsi di non aver messo nulla. Era sparita, il che mi turbò non poco. Gettai una rapida occhiata alle mie spalle, e vidi che persino le mie impronte erano sparite, come se in realtà non ci fossi mai passato da lì. Quando mi girai a guardare il sole, quello si era spostato di molto a sinistra. Così costeggiai la collina, finché arrivai davanti a un dirupo. Sotto una flebile nube avvolgeva quello che doveva essere un fiume. Sentivo le sue acque scorrere vigorose tra le pareti rocciose. Dall'altra parte del dirupo, brulle colline ammantate di bianco si susseguivano all'infinito.
Ero bloccato. Non poteva andare dall'altra parte. Dovevo aggirare il dirupo, e questo mi avrebbe portato a non seguire il sole. Mi voltai per vedere se c'era qualche passaggio da poter usare, ma non c'era nulla. Quando ritornai a guardare davanti a me, vidi un ponticello. Prima non c'era, o forse non l'avevo visto? Da dove si era materializzato? Sollevai lo sguardo per controllare il sole, e lo vidi centrale al ponticello.
Mentre lo attraversavo, le assi del ponticello scricchiolavano sotto i miei piedi. Poi una si staccò al mio passaggio, e quelle alle mie spalle iniziarono a cadere giù. Mi misi a correre, ma prima di poter raggiungere l'altra parte del dirupo, le corde che sostenevano il ponticello dietro di me si ruppero. Cascai giù, ma riuscii ad afferrarmi a un corda e mi schiantai contro la parete rocciosa. La botta mi bloccò per un attimo il respiro. Poi iniziai ad arrampicarmi, finché mi misi seduto sul dirupo.
Il sole si era spostato di nuovo a destra e mancava un ora al tramonto. Mi alzai in piedi e iniziai ad alternare corsa e camminata veloce. Salivo e scendevo quelle collinette ricoperte di neve, finché ruzzolai giù. Quando mi voltai, la neve schiacciata sotto il mio peso era svanita. Mi issai in piedi e continuai imperterrito a seguire il sole. Quel dannato sole.
Mi sembrava di camminare all'infinito, e l'intera paesaggio non mutava mai, a parte quel dirupo che avevo incontrato mezz'ora prima. Poi, quando pensai di aver perso ogni speranza e di essere bloccato per l'eternità in quell'inferno bianco, scorsi una sagoma in lontananza. Mi avvicinai con calma, mentre capii che quella che mi dava le spalle era una donna.
Capelli neri ondulati fin sopra le esile spalle, corpo snello, semplice, capii che quella era Sofia. Quando le fui vicino, si voltò verso di me. Evitai di guardarla negli occhi, ricordando le parole di Lazar. Indossava una lunga veste rosa e una cintura attorno alla vita che finiva con un fiocco. Pareva un vestito uscito dagli anni '50. Era scalza sulla neve, seppure i suoi piedi non affondavano, come fosse su terreno solido.
<< Boris. >> Mi disse con voce dolce.
Il mio corpo fu percorso da uno strano brivido. Qualcosa mi diceva di guardarla negli occhi, ma tenevo gli occhi fissi sui suoi vestiti, finché non apparve una porta rossa al suo fianco. Mi era molto difficile non guardarla negli occhi. L'avevo amata fin dal primo momento che l'avevo vista. Poi quattro gironi dopo, ero stato spedito a pattugliare la Zona. Chissà se la vera Sofia si ricordava ancora di me? Chissà se si era fidanzata, sposata con qualcuno? Chissà se mi aspettava ancora?
<< Boris. >> Mi disse di nuovo.
<< Sì? >> Risposi.
<< Non sei felici di vedermi? >>
<< Certo. >>
<< Allora perché non mi guardi? >>
<< Non posso. >>>
<< Perché? >>
<< E' complicato. >>
Sofia si teletrasportò davanti a me e sussultai dallo spavento, ma non alzai lo sguardo. Lei mi prese dolcemente il mento per farmi alzare gli occhi, ma li roteai al cielo. << Guardami, Boris. >>
<< Vorrei, ma non posso. >>
<< Perché? >> La sua voce era aspra. << Non mi vuoi? Non vuoi più stare con me? >>
<< Certo che lo voglio. >>
<< Allora guardami! >> Gridò con voce quasi demoniaca, scatenando fulmini nel cielo improvvisamente oscurato, mentre raffiche di vento gelido mi sferzavano il viso in ogni direzioni. Ora riuscivo a percepire il freddo. Lo sentivo fin dentro le ossa. Com'era possibile? << Sofia, ti prego. Non posso farlo. >> Avevo il cuore che stava quasi per schizzare fuori dal petto.
<< Resta con me. >> Aggiunse con voce dolce, persuasiva. Per un attimo tentennai e quasi la guardai negli occhi, ma il mio sguardo arrivò all'altezza delle sue labbra e subito lo riabbassai. << Saremo per sempre felici. Potrai stare con me per sempre. Per sempre. Per sempre. >>
Quella frase echeggiava nella mia mente, mi tormentava. Per un attimo guardai la neve e non capii perché ero lì. Dove mi trovavo? Il mio sguardo salii fino al suo naso, ma prima che potessi guardarla negli occhi, mi ripresi.
Lei si allontanò da me, il vento si placò, fulmini e nuvole scomparvero, mentre il sole tramontava oltre una brulla collina, emanando bagliori rossi al cielo. Poi Sofia svanì.
Mi avvicinai alla porta rossa e l'aprii. Oltre la soglia c'era solo un bianco intenso, intimidatorio, quasi accecante. Ci entrai.

Caddi di faccia sul pavimento dissestato e impolverato. L'oscurità mi avvolse, e quando capii di essere tornato alla realtà indossai subito la maschera antigas e accesi la torcia al lato del casco. Il fascio di luce squarciò quello che era un muro divisorio di un water. Alzandomi, mi voltai e mi resi conto di essere dentro un bagno pubblico. C'erano cinque box wc e tutte avevano le porte abbattute. Lo specchio lungo la parete era intatto, ma impolverato. Dell'acqua nera ristagnava nel fondo dei doppi lavabi incassati nel muro.
Uscendo, mi ritrovai in un corto corridoio. Proseguii con la pistola in mano e mi avvicinai alla porta di legno bianco. Quando girai la maniglia, venni catapultato dentro un enorme salone, circondato da generatori, enormi macigni e piante arrampicanti che sbucavano da sotto le mattonelle dissestate fino a salire sul soffitto cementato inghiottito dall'oscurità. Poco più avanti vidi due uomini, che si voltarono verso di me. Erano Corad e Lazar. Quest'ultimo mi abbracciò, e sebbene vedessi solo i suoi occhi dietro la maschera antigas, sapevo che era felice di rivedermi.
<< Sei sopravvissuto. >> Mi disse Corad. Poi si rivolse a Lazar. << Ti devo 100 rubli. >>
<< Avete scommesso su di me? >> Risposi.
<< Che c'è di male? >> Aggiunse Corad. << L'ho sempre fatto, e questa è la prima volta che perdo. >>
Mentre Lazar disse qualcosa, vidi una bagliore argentato oltre le teste dei due Stalker. Diminuiva e aumentava, come se respirasse. Presi a camminare verso la luce, e quando raggiunsi la scalinata, sotto di me vidi un enorme monolito grigio scuro. La sua sagoma emanava intensi bagliori argentati, che mi infusero una serenità mai provata prima. Rimasi incantato da quella visione, e solo allora vidi una specie di apertura oblunga al suo centro. Era di un nero pece, proprio come il liquido che avevo visto in quell'albero quando avevo incontrato il bambino Ombra. C'era qualcosa in quella oscurità che mi attirava ancora più della luce.
Poi una mano si posò sulla mia spalle e mi fermò. Era Lazar. << Dove vuoi andare? >>
<< E' bellissimo. >> Gli risposi.
<< Già. Ma non avvicinarti. >>
<< Perché? >>
<< Spariresti nel nulla. L'ho già visto fare. >>
<< A te funziona il PDA? >> Disse Corad a Lazar.
<< No, a te? >>
<< Nemmeno. >> Rispose irritato. << Ruslan mi aveva promesso che questo aggeggio avrebbe funzionato vicino al Monolite. E' roba da teste d'uovo. Doveva funzionare. >>
<< Quelli non ci capiscono niente, lo sai. >>
<< E io che volevo fare una foto da poter rivendere fuori dalla Zona. >>
<< Beh, hai sprecato solo denaro. >>
<< Giuro che quando rivedrò Ruslan... >>
<< Vi ha parlato il Monolite? >> Chiesi.
<< No. >> Rispose Lazar. << Siamo qui da mezz'ora. >>
<< Mezz'ora? >>
<< Ti abbiamo aspettato, anche se Corad ti credeva disperso. >>
Cominciavo a odiarlo quel Corad. Poteva anche essere un Ombra, il migliore Stalker della Zona, ma il suo modo di fare cominciava a darmi sui nervi. << Quindi è inutile aspettare ancora? >> Dissi deluso.
<< No! >> Tuonò una voce profonda, calda nella stanza.
Tutti e tre sussultammo dallo spavento.
<< Ha parlato! >> Disse Corad incredulo. Potevo scorgere le lacrime agli dietro i vetri della sua maschera antigas.
<< Avete fatto un lungo viaggio. >> Disse la voce, e capii che usciva dal Monolite, mentre i bagliori argentati roteavano attorno alla sagoma. << Ho veduto ognuno di voi. Ho percepito le vostre emozioni. Ho sentito i vostri pensieri, le vostre parole. >>
Io stavo tremando dal terrore, mentre Corad si era persino tolto la maschera antigas come se averla in faccia gli precludesse di ascoltare meglio.
<< So perché siete qui. >> Continuò la voce. << Come so quante volte siete venuti nella speranza di udire il mio verbo. >>
<< Sì. >> Sussurrò Corad con gli occhi spalancati.
<< Ma tra voi c'è un uomo che è in grado di spostarsi nel tempo e nello spazio. >> Corad e Lazar mi guardarono. << Egli non ha desideri, ma è spinto dalle circostanze. E' giunto qui da interessi altrui ed è guidato dal fato. Enigmatica è la sua mente, e pragmatico il suo cuore. >>
Poi il bagliore si fece così intenso, da illuminare il soffitto pieno di piante arrampicanti.
La voce disse. << Corad. Lazar. Venite avanti. Nelle vostre anime è covato un desiderio, ma attenti; ciò che desiderate ardentemente può essere la vostra dannazione. Riflettete. E infine, parlate. >>
Corad non rifletté nemmeno per un secondo e disse.<< Voglio, voglio essere immortale, imbattile. Il migliore. Sì, il migliore. >>
<< Sarà fatto, ma prima anche gli altri dovranno esprimere un desiderio. >>
<< Voglio avere il dono delle conoscenza. >> Disse Lazar. << Voglio sapere tutto. Ogni cosa. >>
<< E tu cosa vuoi, Boris? >> Mi disse la voce.
<< Io, io non lo so. >> Risposi. << Voglio dire, vorrei qualcosa, ma non so cosa. >>
<< E pur sempre un desiderio. >>
<< In che senso? >>
<< L'indecisione è un desiderio non ascoltato. Reso confuso dalla mente e dal cuore che, lottando uno contro l'altro, generano conflitto e caos nella tua anima. >>
Non capivo cosa volesse dire, e quando feci per chiedergli una spiegazione, un fascio di luce illuminò Corad. Un attimo dopo i suoi piedi iniziarono a cementificarsi. << Che mi succede? Cosa cazzo sta succedendo? >>
Io e Lazar indietreggiamo terrorizzati, mentre quello strano liquido simile al cemento gli saliva lungo le gambe, lo stomaco, il petto, le braccia. Corad urlava, ci chiedeva aiuto, finché non fu interamente avvolto da quella strana miscela di cemento che iniziò a luccicare.
<< Adesso Corad è imbattile. >> Disse la voce. << Nessuno lo potrà mai distruggere. >>
Poi dei bagliori argentati simili a tentacoli afferrarono Lazar e lo sollevarono in aria.
<< Lazar! >> Gridai.
I tentacoli diventarono violacei, e mentre Lazar urlava a squarciagola dal dolore, dalla sua bocca fuoriuscì una specie di gettito dorato, che venne subito assorbito dal Monolite. Quando il gettito si concluse, i tentacoli violacei si ritirarono e un mucchietto di ossa e vestiti caddero al suolo. Era tutto quello che era rimasto di Lazar.
<< Adesso Lazar è un saggio. >> Disse la voce. << Non c'è nulla di più saggio e sapiente del Monolite. >>
Preso dal panico, mi precipitai a salire scalinata, quando tutto intorno a me scomparve. Mi trovavo in una bianca distesa infinita. Ovunque volgevo lo sguardo, non c'era nient'altro che il nulla.
<< Adesso sei parte del vuoto, >> disse la voce dentro la mia mente << poiché l'indeciso, è un involucro pieno di emozioni, ma vuoto agli occhi degli altri. >>
Dove mi trovavo? Dove ero finito?

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