Epilogo/Prologo

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Cosa sia questo capitolo io non saprei esprimerlo: l'epilogo del Libro I o il prologo del Libro II? Entrambi? Credo proprio che starà a voi giudicare! (E perdonare i miei capricci delle 10.52 del mattino).

Tuttavia, tra tanti ripensamenti, dubbi iperbolici e notti insonni il Libro I si è finalmente concluso e con questa conclusione mi è sorta una domanda a cui non riesco a dare risposta. Non voglio tediarvi, voi che con tanta pazienza continuate ad inoltrarvi tra le pieghe di questa "storiaccia", ma se vi va e se avete tempo mi renderebbe un bambino felice scoprire il vostro pensiero al riguardo.

La mia domanda, dunque, è: chi è il vero mostro? Jaques-Luis? Odette? Adolphe? La madre? La sorella...? Lo sono tutti? Nessuno di loro lo è?

E dopo questi miei capricci mattutini mi appresto all'ardua impresa di donare un prologo/epilogo (?) pseudo-dignitoso a questo lavoretto!

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Honoré Daumier, il vagone di terza classe

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Honoré Daumier, il vagone di terza classe

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Jaques-Luis aveva speso gli ultimi scarni spicci guadagnati vendendosi per comprare il biglietto del treno, un biglietto consunto e sporco che puzzava di muschio e profumo scadente.

Al secondo giorno di viaggio - un viaggio lentissimo, appannato e soffocato dalla neve - corse la voce, nel suo vagone ed in quelli adiacenti, che rubasse il cibo e gli spiccioli ai passeggeri mentre dormivano e nessuno volle più fargli l'elemosina - non che non fosse la realtà dei fatti, sia chiaro! Ma aveva racimolato ben poco dalle borse cenciose della terza classe.

Al terzo giorno la fame e la sete gli sedevano affianco come due silenziose e letali passeggere, sentiva il suo corpo puzzare di polvere e sudore, le labbra screpolate e calde gli sanguinavano ed aveva finito le sigarette - ciò che riteneva la cosa più grave -

Gli arti gli dolevano come sotto i colpi di cinghiate ardenti e nel fianco avvertiva il penetrare di uno spillo di ghiaccio ad intervalli regolari di sette minuti, la bruciatura sul polso s'era gonfiata e fatta nera e bluastra d'infezione pulsante, provò a staccare i residui di carne bruciata con la punta delle unghie nere ma dopo qualche minuto il dolore acre ed acido che scaturiva da quel capriccio masochista gli impedì di affondare ancora quelle dita sudice ed umide nel polso maleodorante.

Senza cibo, medicine né libri, si sentiva debole come un pettirosso ferito dalla pallottola di uno sparo, le speranze lo schernivano sfiorandolo con la punta delle dita molli ed abbandonandolo in un riso civettuolo. Non era un combattente, non era forte, la sua incapacità di resistere al dolore ed alla fame lo umiliava, si diceva, per trattenere le lacrime vischiose che gli annebbiavano le iridi sbiadite: "non ci sono eroi di fronte al dolore".

Avrebbe strangolato il collo azzurro di una donna per qualche franco, avrebbe pugnalato alla carotide molle e grassa qualsiasi borghese - affondando il coltello rovente come in burro tiepido - Avrebbe piantato un colpo di pistola nella fronte pura di un infante ingenuo, il proiettile sarebbe affondato nel piccolo cranio con uno scricchiolio impercettibile e le sue mani si sarebbero colmate di monetine scintillanti.

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