Libro II
- Ce soir-là,... - vous rentrez aux cafés éclatants,
Vous demandez des bocks ou de la limonade..- On n'est pas sérieux, quand on a dix-sept ansEt qu'on a des tilleuls verts sur la promenade.
- A. Rimbaud*
*
Edgar Morel, nei sogni di febbre e sudore, aveva visioni di sua madre, una contessa austriaca albina che spiava il sole intoccabile dalle tende barocche della loro dimora estiva nelle campagne veronesi. La natura matrigna si ergeva splendente e vittoriosa nell'oro del grano e nel verde quasi fosforescente dei pini e degli abeti titanici. Lo spirito di sua madre, intrappolato in quel corpo malato e bianchissimo, come lo scheletro di vetro di un tulipano, si doleva e graffiava lo stomaco, la gola, l'utero tentando una via di fuga da quella debolezza eterea ed eterna. Marianna gli disse che era per quello che sua madre morì, il suo spirito aveva graffiato e morso a fondo le viscere del corpo di falena bianca e se ne era finalmente andato, dove fosse lei non lo sapeva, se la padrona era stata buona la sua anima - gli diceva - era tra le braccia di Gesù Cristo.Sua madre aveva tre sole passioni: i cani da caccia, il balletto russo e la letteratura italiana. Nelle estati veronesi, già agli albori della malattia, la contessa lasciava asciugare i lunghissimi capelli bianchi al fuoco del grande camino e leggeva un D'Annunzio ancora emergente. Quando s'accorse d'avere un figlio era ormai troppo tardi e nelle mattine in cui gli occhi sbiaditi si aprivano - collosi e brucianti - su un cuscino sporco di sangue, la contessa non ebbe rimpianti d'aver lasciato il suo effemminato e balbettante bambino alle cure della balia partenopea, a quelle canzoni italiane cantate nelle sere estive caldissime ed irrespirabili, quando l'umidità delle stelle limpidissime e l'odore dei pini si appiccicava alla pelle ed alle labbra.
Nel delirio della morte sua madre chiedeva di Virginia Woolf e dei suoi cani, il sangue sgorgava dalle labbra come un Lete mortuario, le occhiaie rosa, gli occhi febbricitanti che ruotavano spasmodici ed impazziti. I capelli appiccicati alla fronte lucida e gialla di sudore, la camicia da notte attaccata alle ossa tremanti ricordava il sudario di un Cristo di marmo.
Edgar non ne pianse la morte, il dolore per sua madre era una formalità per gli ospiti, a lui bastava far silenzio ed essere scambiato per un ragazzino taciturno, stoico, che pretende d'esser forte di fronte ad un tale orribile - orribile, signori miei! - lutto. Lei era vissuta nel mondo dorato ed alcolico delle feste di un'aristocrazia in declino, tra i ventagli piumati dei salotti palermitani, le madonne in silenzio, i dolci russi e l'Opera: aveva sempre avuto poco tempo per educare il figlio bello e smemorato. Edgar non l'amava nè l'odiava, semplicemente non la conosceva.
L'ultima volta che la vide fu tra l'odore nauseabondo degli incensi ed il freddo della chiesa ormai vuota. Il corpo consunto della donna giaceva in un letto di gigli e violette pulsanti, lucenti di rugiada. L'avevano truccata: il belletto rosa risaltava sulle guance scarne, le ciglia bianche erano state malamente dipinte con del mascara che si era solidificato sulle punte rendendole rigide e terrificanti. Le labbra secche erano state colorate di un rosa corallo vomitevole ed i capelli, rinsecchiti dalla malattia, arricciati, bruciati e posizionati ordinatamente fino alla vita ossuta, sui fiori umidi. Quel volto era così rigido ed innaturale da sembrare scolpito goffamente nella cera, Edgar pensò che tutte le candele che circondavano la bara in mogano avrebbero fatto sciogliere, ben presto, la faccia di sua madre, la quale sarebbe colata lungo il collo giallognolo, tra i seni acerbi; ah che disastro! Avrebbero dovuto scolpirne una nuova in tutta fretta: la messa era finita da un pezzo! Bisognava seppellirla! Lei portava il vestito da sposa, regalo della madre, colmo di lustrini, merletti, perle e diamanti, ormai talmente fuori moda da risultare una volgare esagerazione barocca. Marianna gli spinse il volto contro la guancia gelida della morta, lo costrinse a baciarla mentre lui frignava e si dimenava. Quella pelle viscida e dura come il dorso di una biscia gli diede il voltastomaco, la guancia gli si sporcò di cipria e poté pulirsi solo rincasato, dopo l'interramento.
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Cannibalismo [In Pausa]
Historical FictionSesso, droga e poesia: Parigi nel 1923. Jaques-Luis David, un sedicenne convinto di essere la quattrocentocinquantaduesima reincarnazione del famoso pittore del XVIII secolo, tenta la fortuna come poeta. Attraverso la letteratura, il sesso, l'amore...