Prologo (Parte II, Libro II)

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Edgar incontrò suo fratello maggiore, Bruno, al funerale

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Edgar incontrò suo fratello maggiore, Bruno, al funerale. Non si vedevano da quando Edgar aveva tre anni e lo ricordava come un ragazzino brutto e pieno di vita.

Bruno gli disse che era stato soldato, che s'era sposato con una cameriera inglese a diciotto anni, avevano poi divorziato perché l'anoressia della moglie e il suo sperpero del denaro l'avevano portato a picchiarla quasi ogni sera. Il matrimonio era durato solo tre anni e di lei sapeva che era tornata a Liverpool e che forse si prostituiva. Gli disse che una volta aveva visto Adolphe Thiers* in una caffetteria in centro. Stava per prendere una seconda moglie - gli confidò accendendosi un grosso sigaro americano - una donna molto bella, una francese. Non seppe altro. Bruno era un uomo di una bruttezza discreta ma di grande fascino e sicurezza. Il suo continuo auto-celebrarsi ed il narcisismo convulsivo lo rendevano profondamente attraente alle donne, dalle proletarie con i capelli in disordine alle aristocratiche ingrassate dal vino e dall'oppio. Ed in quel corpo grezzo ed alto, pieno di bile in fermento ed umori, era inevitabile il germogliare di un'aggressività animalesca che tentava continuamente di celare, perché vergognosamente consapevole di possederla. Si pentiva quando picchiava le sue donne, a volte ne piangeva. Non vi era niente di premeditato in quei massacri: la violenze si manifestava al minimo capriccio, al solo sfiorare i suoi gusti e le sue decisioni, culminando in un terribile volto paonazzo, volto da bestia cattiva. Quelle mani dure e callose si ingigantivano fino a diventare enormi, inumane. Rompevano ossa, tiravano chiome fino a strappare intere ciocche di capelli, tappavano labbra sanguinanti in preghiera e supplica, sfiguravano, oltraggiavano, marchiavano.

Ma quando le sue donne lo vedevano piangere, con il muco che colava dal grande naso rosso, gli occhi da bambino spaventato, tutto accartocciato su se stesso, pentito più d'un martire...allora loro lo perdonavano, sentendosi buone cattoliche, e gli baciavano la fronte madida di sudore. Lui finiva col potargli gigli azzurrini avvolti in velluto bianco, bonbon russi, collane di perle o profumi francesi rosati, in scintillanti ampolle di cristallo.

E poi Bruno aveva quelle braccia grandi e caldissime, quel suo alzare del capo di scatto quando si accendeva il sigaro che lo faceva sembrare quasi bello. Bruno aveva le unghie curate, i denti bianchi, parlava piano nel sonno, le accarezzava come piccoli passerotti indifesi, con quelle dita tozze e ruvide, si batteva il pugno destro sul cuore quando era sicuro di qualcosa, le teneva sempre sotto braccio, gli strizzava l'occhio con quel suo mezzo sorriso storto da bandito, gli comprava foulard di seta rossa.

Le donne amavano suo fratello mentre lui, Edgar, bello come una falena di vetro, riceveva attenzioni timide e frustranti. Una donna sbatteva le lunghe ciglia colme di mascara incrociando il suo sguardo in una passeggiata nei sonnolenti tramonti primaverili, lungo la Senna che come un antico fiume d'Egitto si tingeva d'oro e di sangue. Edgar, nei fumi azzurrini e rosati della sera imminente, assaporava quello sguardo, gli occhi di quella donna ormai fuggita, il castano ramato e brillante che s'era acceso d'un compiacimento patetico alla vista del suo volto da cupido imberbe. Di ognuna di quelle figure femminili conservava un ricordo che a poco a poco sbiadiva nella memoria: un particolare della mascella, le ombre che i salici creavano sulla sua fronte olivastra, le labbra schiuse e calde, le dita bluastre tenute strette sul cappello inglese durante una folata di vento gelido, il segno di una timida ruga sulla guancia destra, denti di perla, gambe storte, il frusciare di un cappotto sul selciato tiepido, iridi come paesaggi marini, capelli umidi che odoravano di pioggia e violette...

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