Capitolo III

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Adolphe Estrelle e sua moglie avevano venti e trentacinque anni, i quali gravavano sui loro capi con un peso sempre più arduo da sopportare, erano anche ben provvisti di una valigia di sogni di cartone che si portavano dietro come un talismano. Lei bella, di quella bellezza greca eppure inesorabilmente provinciale . Lui dall'aspetto mediocre e poco gusto nel vestire: completi verdastri, panciotti grigi e stivali di feltro. Una faccia insipida e patita, grigia, da borghese, eppure conservando ostinatamente qualche tratto aristocratico: il naso lungo, le labbra sottilissime sotto cui si celava una bocca peccaminosa colma di piccoli denti bianchi come perle.

Sposati da poco meno di un anno, avevano deciso di trasferirsi nel villaggio da Jaques ribattezzato "il buco dei sorci" - il disprezzo che provava per quell'umanità mediocre e scolorita gli aveva reso il paesino una gabbia soffocante dalla quale, all'epoca, gli sembrava impossibile evadere -

La sposa, Odette, era una cugina di Madame e le loro visite si fecero assidue; sua madre si dimostrava amabile nei confronti della coppia, si prodigava in squisite delicatezze ed in infinite conversazioni civettuole; nel primo pomeriggio le due donne si sedevano nell'ampio salone, dall'arredamento scarno che Jaques considerava un ulteriore prova della pochezza intellettuale della donna che lo aveva generato: due poltrone imbottite marroni - cani randagi e laidi - ancorate di fronte ad un mastodontico camino, la cui incrostata bocca nera era la stessa di una vecchia sdentata. Uno scaffale di legno grezzo con pochi libri solitari e tante statuette di ceramica rappresentanti cani dal volto stupido in pose buffe ed innaturali: il salone aveva l'aspetto di un circo abbandonato, senza luce e senza spettatori, ammuffito.

Mentre le due donne, come gatte marroni accovacciate sulle poltrone - altrettanto marroni! - conversavano amabilmente del clima, della moda a Parigi, della guerra e della loro povera pelle che con il caldo estivo si riempiva d'impurità, Jaques e Adolphe passeggiavano nelle campagne tentando di allietare i rispettivi animi, compito che sarebbe spettato a Monsieur David se non avesse inventato - con particolari infarciti di cattivo gusto- emicranie, impegni lavorativi, doveri irrealistici e perfino due o tre funerali; tutto questo per liberarsi dalla presenza della coppia che irritava il pover uomo, schivo e solitario, fino a provocargli chiazze rosse sul volto, le quali sparivano solo dopo tre bicchieri d'assenzio e quattordici ore di sonno.

*

<< Ti disturba la mia presenza, Adolphe? >> Jaques lo prese per il polsino inamidato, costringendo l'uomo a fermare il suo passo veloce. La luce giallastra del primo pomeriggio faceva lacrimare gli occhi, la polvere del sentiero si librava in aria disegnando costellazioni nella deserta stradina di campagna, costeggiata da tigli secchi il cui odore ricordava ad entrambi i primi giorni d'autunno, senza sapersi spiegare il perché.

Adolphe rise, si grattò il collo con le mani sottili come grossi ragni bianchi: << Perché dovresti disturbarmi? >> cercò di svincolare il polso dalla stretta del ragazzino, ma Jaques la rese più ferrea, lo guardò negli occhi, entrambi i giovani sudavano e respiravano affannosamente nella caldura estiva, immobili. Il cielo, d'un azzurro profondo ed insondabile, appariva basso sulle chiome degli alberi, pronto a precipitare al minimo sibilo di un vento appollaiato tra i rami come un grosso uccello, in attesa di un segnale antico che lo avrebbe portato a schiacciare l'intera umanità. Jaques percepiva quel muto destino mentre Adolphe si sentiva dolorosamente a disagio.

<< Allora ti annoio - gli si avvicinò, le labbra di Jaques si piegarono in un sorrisetto canzonatorio, Adolphe le osservò inquieto - puoi dirlo, mio caro amico Adolphe, e sai bene che puoi, lo sai proprio bene! >>

<< Jaques-Luis, voi...>>

Il ragazzino si avvicinò, un lampo di sfida e malizia baluginava nelle iridi smeraldine, uno sguardo da ubriaco che sta per affermare l'idea del secolo: << Del resto è arduo il compito di intrattenere un quindicenne >> gli lasciò il polso di getto, facendo sussultare l'uomo. Jaques avanzava come un gatto, il passo talmente silenzioso da apparire innaturale, Adolphe indietreggiava turbato, si sentiva come se il suo corpo non rispondesse ai suoi comandi, come in una dimensione onirica in cui poteva essere solo spettatore degli eventi di quell'afoso pomeriggio di luglio in cui si decise la rovina del suo matrimonio.

Quando sentì la sua schiena appoggiarsi alla corteccia ruvida e calda di un albero secco il desiderio di scappare lo invase: lo sguardo lascivo del ragazzino lo turbava profondamente ed il languore che gli strisciava nel bassoventre lo spaventava.

Era in trappola ed il suo piccolo aguzzino ne era ben consapevole, quando Jaques gli fu talmente vicino da poter sentire il suo respiro caldo ed umido sul collo, il ragazzino si alzò sulle punte e gli sussurrò all'orecchio: << So che non ami tua moglie >>

Adolphe trasalì e lo spinse indietro con le punte delle dita tremanti, il giovane barcollò, camminando goffamente all'indietro per poi ristabilirsi portando teatralmente le mani ai fianchi, guardò Adolphe con un broncio di rimprovero e scoppiò in una risata convulsa, folle, i polmoni scricchiolavano e si gonfiavano nel fragile torace: << Sei un tipo permaloso, mio caro amico, sono sicuro che Baudelaire ti offende, vero? Non sopporti tutti quei riferimenti al sesso o semplicemente godi troppo a far la morale al prossimo - Jaques si inginocchiò sul ciottolato cocente ed impolverato, portò le mani giunte al petto, roteò gli occhi esageratamente al cielo ed urlò come impazzito - Oh padre Adolphe, mi liberi dal male! La supplico! Per l'amor di San Bartolomeo! >>
Come Adolphe si staccò dal tronco il ragazzino si alzò di scatto, i pantaloni impolverati ed il volto paonazzo. Un ghigno profondo come una ferita gli si aprì sul volto e con uno sguardo bestiale prese a girargli intorno, un ghepardo che aspetta un momento di debolezza della sua preda per attaccare ed uccidere.

Jaques dovette cogliere quel momento in uno sbuffo stizzito che sfuggì dalle labbra di Adolphe: in un balzo il felino gli fu davanti, gli afferrò il braccio con violenza e lo guardò negli occhi con un'aria così volutamente innocente che Adolphe ne fu disgustato ed allo stesso tempo attratto. Era completamente succube del maleficio di quel folletto, più di quanto lo fosse stato nel loro mese di frequentazione. I repentini cambiamenti delle sue estremizzate espressioni facciali lo spaventavano, il calore che sentiva emanare da quel corpo adolescenziale spinto peccaminosamente contro il suo lo eccitava.

<< Sai perché non ami tua moglie? - alzò gli occhi al cielo fingendo di riflettere e poi riprese con indifferenza, come un professore annoiato e saccente - Beh, ci sarebbero molti motivi: la sua disgustosa mediocrità, i suoi giudizi infondati e velenosi sul prossimo e la sua incapacità di capire la complessità dei suoi simili ma - ed alzò l'indice di scatto, puntandolo poi sul petto dell'uomo e facendolo risalire fino alla sua guancia, dove il suo palmo si schiuse in una carezza delicatissima e possessiva - il motivo è un altro, o erro? - sorrise candidamente, guardandolo con intesa, come per dirgli: "lo sappiamo già, nevvero?" - la vera ragione è che quando ti scopi tua moglie pensi a me >>
Adolphe trasalì, sentiva i muscoli delle gambe tremargli, avrebbe voluto colpirlo, serrargli le dita alla gola e guardare le pupille farsi sfocate fino al rigettarsi indietro delle iridi, nell'ultimo singulto della vita. Ma egli rimaneva immobile, rapito da quegli occhi felini che lo scrutavano in profondità, senza pudore.

Jaques si alzò lentamente sulle punte e tirò con uno strattone violento ed un ringhio basso il volto dell'uomo verso il suo, facendo combaciare le loro labbra in un bacio umido, carico di rabbia, un bacio amaro che Adolphe aveva inconsciamente atteso fin dal loro primo incontro, quando i modi eccentrici e scontrosi del giovane lo avevano incuriosito e poi ossessionato. Quella peculiarità caratteriale si era poi fatta viva nelle loro interminabili passeggiate, in cui Jaques si dilettava in monologhi sulla letteratura, sull'arte, su Dio, sulla vita, sui bordelli, sull'alcool e sulle donne, divinità creatrici dei mali del mondo.

Quel bacio salato, da santo e da bestia, bruciante e dolcissimo ebbe per giorni lo stesso sapore di una ferita.

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