Capitolo I - Dove Jaques trova un ricco amante

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Pierre-Auguste Renoir (1841-1919)

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Pierre-Auguste Renoir (1841-1919)

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Edgar osservò il piccolo Narciso addormentato tra le coperte azzurre della grande alcova. La luce sbiadita ed indolenzita delle sei e tre quarti di un mattino di fine dicembre spegneva il tono corallino delle pareti vertiginosamente alte. Colonne ioniche in gesso poste ai quattro angoli della stanza si erano ammantate di una penombra patetica che le faceva assomigliare a pezzi di vecchie scenografie abbandonate. I mobili inglesi, fioriti di ricami dorati e bianchi, ancora dormivano e russavano nel fumo azzurro della camera; la sua ninfetta, come preso da una crisi nevrotica, aveva fumato fino a vomitare, con quelle sigarette sottili infilate tra le labbra bluastre screpolate, le dita sporche che le reggevano tremavano come colte da un gelo improvviso.

Edgar prese ad annodarsi, con precisione nervosa, la cravatta in seta verde attorno al colletto inamidato della camicia avorio, appena stirata dalla domestica - una donnetta dalla voce acutissima e le gambe storte, sempre di fretta ed in ritardo, la quale si lamentava con lui del marito ubriacone e della figlia zitella.

Edgar pensò che la stanza era troppo grande e vuota, che il talamo a baldacchino stonava con le colonne greche, che in quel vuoto i mobili sembravano più tristi e scarni, asmatici e soli, che le mattonelle in marmo bianco andavano lucidate ed i piedi nudi gelavano ed impallidivano al loro contatto. Affondò con delicatezza le mani calde nella lunga chioma argentea e se la portò indietro con un sospiro aspro, scoprendo bene le tempie regolari e la fronte alta e pura.

L'immagine di se stesso nello specchio quadrato, affianco alla cassettiera in quercia lucida, gli face orrore: quel volto vecchio che si trascinava addosso il peso straziante di una bellezza invidiatissima ed amata, una bellezza che sbiadiva come il ricordo di un sogno al mattino. Quella faccia nordica, appuntita e lucente come un diamante, rinsecchiva e marciva. Le labbra pallide divenute sottili, la ragnatela di rughe su quell'eleganza estetica del volto, le ciglia non più folte, le sopracciglia grigie e cadenti, il naso dritto e stretto che si consumava diventando sempre più ossuto; se avesse potuto acconciarsi la faccia come si fa con una vecchia bambola, stirarla, pettinarla...

Il ricordo della sua bellezza d'Apollo gli creava un nodo amaro tra la trachea ed il palato. Strinse il pollice e l'indice sulle tempie, fece pressione fin quando nella carne arrossata non si creò un alone bianco, attorno alle dita tremanti affondate in essa.

"È solo nelle memorie che si è capaci di provare quell'amore sconosciuto per la vita" - si disse stringendo con un colpo secco il nodo della cravatta - "nel ricordo della giovinezza si arrampica una gloria antichissima: un affresco sbiadito in una villa romana in decadenza, un sogno dolcissimo lontano nel tempo che si rimembra con fatica e rimpianto".

La sua mente retrocesse di due giorni, quando aveva notato quel giovane malato e claudicante sgomitare violentemente tra la folla in uscita della stazione - Edgar aspettava qualcuno che non sarebbe mai arrivato, stretto nel lungo cappotto nero, con la sciarpa di lana rossa attorno alla gola bruciante.

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