PROLOGO

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Presente

Se ne stava stesa sul letto, gli occhi verdi puntati al soffitto bianco ricoperto di vecchie e nuove foto di lei, delle sue amiche, della sua famiglia. Le guardava e cercava di ricordare i momenti precedenti allo scatto, le parole dette nell'attesa, la causa di un sorriso o di un broncio. Ricordava, mentre le tende rosse che adornavano le finestre della sua camera le sfioravano il corpo seminudo, innalzandosi per mezzo del vento fievole che entrava attraverso l'anta socchiusa.

Chris si era svegliata madida di sudore e il cuore le batteva forte nel petto; anche quella mattina aveva la febbre.
Aveva già provato ad alzarsi senza successo, così aveva scostato le coperte dal corpo che lentamente si era raffreddato.
Decise di tentare ancora. Mise giù una gamba, poi l'altra e con le mani si aiutò a sollevare la schiena. Un lieve capogiro la fece quasi desistere, ma Chris voleva rimettersi in piedi e lo avrebbe fatto anche contro il volere dei propri muscoli.

Erano giorni che se ne stava distesa, inerte e senza forze, non ne poteva proprio più. Abbassò lo sguardo sul pavimento alla ricerca delle sue pantofole, ma quello che vide furono solo i suoi piedi bianchi, quasi trasparenti, sottili e magri tanto da mostrare le venature.
Per questo, il giorno prima, aveva domandato a suo fratello Marco di scegliere un colore per le sue unghie e, senza che lei glielo chiedesse, lui le aveva messo quello stesso smalto, con non poca attenzione; a parte qualche sbavatura qua e là, aveva fatto "quasi" un bel lavoro.
Rosso fuoco.
A pensarci Chris sorrise, il cuore le si riempì di amore per suo fratello e gli occhi le divennero languidi.
"Non piangere" si disse e, per farsi forza, volse lo sguardo altrove, alla ricerca di quelle dannate pantofole.

Adagio si alzò e con una mano tesa verso il letto, nel caso avesse bisogno di sostenersi, ne percorse il perimetro, trovando così le sue pantofole; le infilò e si lasciò cadere sul materasso, seduta. Era esausta e non poteva sopportarlo. Il suo corpo sembrava solo una pila di ossa incastonate, come quei finti scheletri che aveva visto in vari studi medici, che al primo tocco sarebbero crollati a terra esanimi. Non poteva sopportare di abbassare la testa e non vedere i suoi capelli scivolare lungo le braccia o avere le mani sudaticce e le gambe tremanti. Quella debolezza la odiava, come l'inerzia a cui era costretta. Fece un gran respiro, strinse i denti e si diede una spinta per rialzarsi.

Lentamente, rifece il giro del letto e si avvicinò alla finestra della sua camera; lasciò che il vento fresco le lambisse il corpo, le entrasse sotto la maglietta del pigiama e le accarezzasse la pelle, come la mano di un uomo, con delicatezza. Chiuse per un attimo gli occhi, assaporando quella sensazione, mentre i raggi del sole le scaldavano il volto. Quando li riaprì, iniziò a guardare lungo la strada che dava sul Corso e quasi se ne pentì.

«Chris! Christina...»

Qualcuno la chiamava, ma lei sembrava non sentire; era in un altro mondo, in un tempo diverso. I suoi occhi erano come coperti da un velo, guardavano di fronte a sé, ma non vedevano realmente; era del tutto assente. Solo quando venne strapazzata come un pupazzo si riscosse, riprendendo conoscenza di sé e di tutto ciò che la circondava.

«Cosa vuoi, ?» chiese Chris alzando gli occhi su sua madre, che la stava chiamando istericamente. Era al suo fianco, pronta a sostenerla se ne avesse avuto bisogno.

«Ti stavo chiamando, ma non rispondevi. Stai bene? Hai bisogno di qualcosa? Sembri accaldata» le chiese sua madre preoccupata, tastandole qua e là prima le mani, poi le braccia fino ad arrivare alle guance. Quando i loro occhi si incrociarono, sua madre li distolse subito, come quando alzi gli occhi al cielo e speri di riuscire a guardare il sole splendere, ma brucia e quindi smetti.

« Sto bene, non devi preoccuparti. Adesso vado a stendermi di nuovo, ok?» Chris cercò di rassicurarla per quanto potesse, sorridendo. Non era ferita o addolorata per il suo gesto; non riusciva proprio a biasimarla o ad essere arrabbiata con lei. Sua madre non la guardava soltanto perché non voleva essere vista, Chris lo aveva capito benissimo. A piccoli passi, si allontanò dalla finestra e tornò a stendersi sul suo letto.

«Riposa un po', sei troppo pallida.» disse sua madre, mentre la rimboccava.

Quarantenne, Jessica, era un avvocato, uno dei migliori nel suo settore. Aveva gli occhi verdi da gatta, che Chris fortunatamente aveva ereditato, e capelli castani che in estate si schiarivano. Quelli di Chris, invece, erano neri come la pece ma più luminosi; li aveva rubati al padre, insieme al viso rotondo e il naso un po' a punta, ma piccolo.

«Grazie, .» disse, lasciandosi sfuggire un sospiro una volta adagiata sul suo morbido letto. Sua madre le sistemò il cuscino e i suoi capelli sciolti sfiorarono il volto della ragazza come una carezza. Chris chiuse gli occhi, mentre li sentiva scorrere sul volto.

«Se hai bisogno di qualcosa chiama, io sto di là e anche Carlo è in camera sua, quindi basta che bussi e lui corre.» sussurrò Jessica, stampandole un bacio sulla tempia, coperta da un foulard azzurro, il suo preferito.

«Lo farò, non preoccuparti» la rassicurò.

Da quando Chris aveva scoperto della malattia, Jessica era diventata morbosa, si portava tutto il lavoro a casa e cercava sempre nuove scuse per starle accanto. Dei tre figli, Chris era l'unica donna, aveva solo diciotto anni e si trovava in quello stato già da mesi; non frequentava la scuola e non vedeva le sue amiche dal giorno in cui aveva rivelato di essere malata. L'unica cosa che rimpiangeva maggiormente era tutto ciò che era successo subito dopo quella rivelazione, anche se sapeva che non sarebbe più potuta tornare indietro.

Distesa, con lo sguardo rivolto nuovamente al soffitto, rammentò quei sentimenti, quelle emozioni che aveva impresso nella sua mente come un'istantanea; ormai viveva solo di ricordi di volti felici, di sorrisi e di risate, momenti, istanti che la facevano tremare come una foglia; lottava per rimanere aggrappata ad una vita che l'aveva colta in fallo e l'aveva fatta cadere e ora risalire era difficile, ma lei lottava, lo faceva con tutte le sue forze. Si addormentò così, coccolata dai desideri inespressi e dai sogni irrealizzabili che la tenevano aggrappata alla vita ogni giorno più del precedente.

 Si addormentò così, coccolata dai desideri inespressi e dai sogni irrealizzabili che la tenevano aggrappata alla vita ogni giorno più del precedente

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