Capitolo 5- Sam

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Sam contava i minuti. Guardava in continuazione l'ora sul cellulare ed ogni volta restava delusa vedendo che erano passati solo due minuti. Era sola in casa. Sua madre era uscita e suo padre aveva chiamato per dire che avrebbe fatto tardi.

Di solito amava questi rari momenti di pace, poteva stare sola con i suoi pensieri, senza che le urla dei suoi genitori la distraessero. Ormai era consuetudine. Ci si era abituata. Da un po' di tempo la pace in quella casa era diventata cosa assai rara, si urlava perché non era pronta la cena, si urlava perché il volume della televisione era troppo alto, si urlava e basta. C'erano giorni in cui tutto le stava stretto e il fatto di dover dividere la stanza con sua sorella Federica non facilitava di certo le cose; sentiva l'esigenza di uno spazio tutto suo in cui rifugiarsi quando le urla diventavano insostenibili.

All'inizio pensava di poter capire il motivo di questa situazione, di poter far qualcosa per cambiarla, ma col passare de tempo aveva cito che non le restava nulla da fare se non rassegnarsi.Poi era arrivata l'abitudine.

Quel giorno però il silenzio che aleggiava tra le quattro mura era insostenibile; si torturava le lebbra, mordendole ripetutamente, mentre vagava per la casa in cerca di una distrazione che le facesse dimenticare il guaio in cui stava per cacciarsi. Il suono del campanello la fece scattare in piedi. Corse da aprire la porta ma si bloccò a pochi centimetri da essa, per qualche istante andò in apnea; si fece coraggio e aprì; le avrebbe detto tutto, si sarebbe liberata da quel peso.

«Devo parlarti.» Marco gli si parò davanti, era agitato. Sam sussultò: cosa diamine ci faceva lì?

La mano con cui aveva aperto tremava, così come il cuore. Deglutì e decise che sarebbe stato meglio farlo entrare, prima che qualcuno potesse vederlo lì.

«Entra.» gli disse con poca convinzione.

Marco era disorientato; forse per la prima volta, guardando quella enorme stanza, perfettamente arredata, ebbe la sensazione che ciò che stava facendo era una follia. Sapeva che Sam non era alla sua portata, lo aveva capito dagli abiti che indossava, così diversi dai suoi, dalla delicatezza che accompagnava ogni suo movimento, anche quello più goffo e distratto. Era consapevole della distanza che c'era tra i loro stili di vita, eppure, quando la osservava, non riusciva a pensare ad altro se non che era tutto ciò che avrebbe potuto tirarlo fuori da una vita mediocre.

Sam gli indicò il divano e lo invitò a sedersi, poi si accomodò accanto a lui, sufficientemente vicina ma anche abbastanza lontana da riuscire a guardarlo attentamente.

Erano uno di fianco all'altro. Improvvisamente Marco scatto in piedi e cominciò a parlare nervosamente.

«Ho pensato a quello che è successo. Io e te, in macchina. Io non penso mai a quello che mi succede, dimentico e basta. Ma questo... non ci riesco.»

«Non capisco cosa vuoi dire.» Sam lo guardava perplessa.

«Ieri sera sono uscito con un mio amico, ci siamo presi un birra e abbiamo fatto un giro con la macchina. Ho fatto una frenata brusca e gli si è rovesciata la birra addosso. Senza nemmeno chiedermelo, ha preso il fazzoletto bianco dal portaoggetti e si è asciugato i pantaloni; non so perché, ma gli ho gridato che era uno stronzo e lui mi ha riso in faccia.»

Sam era sbigottita.

«Ho capito due cose da questa storia: che hai un amico maleducato e che tu sei completamente matto.»

«No. Non è quello che sto cercando di dirti!»

«Allora spiegamelo!»

«Era il tuo fazzoletto! C'era il tuo profumo.»

Adesso restaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora